“Qualsiasi disturbo di cui non si conosce la causa, oggi viene ascritto ad allergie o intolleranze alimentari. Nasce dunque una vera e propria epidemia di pseudo-intolleranti alimentari, molti dei quali condizionati a livello psicologico”, così il prof. Vincenzo Zappia, ordinario di Biochimica alla Seconda Università, introduce il workshop voluto dall’Arfacid (ONLUS di promozione degli studi sul cancro, l’invecchiamento e le malattie degenerative) in collaborazione con la Federico II, la SUN e l’Ordine dei Medici, tenutosi il 18 ottobre presso l’IDC Hermitage Capodimonte. Il Titolo: “Vere e false intolleranze alimentari: Percorsi diagnostici e diete tra Internet e medicina basata su evidenze (EBM)”. Il tema è rilevante: “perché tocca il 6% dei minori e il 3% degli adulti. Fenomeno sempre più diffuso è l’effettuazione di test proposti da farmacie ed erboristerie, che non hanno alcuna valenza scientifica”, continua il docente. “C’è un grosso giro economico, che riguarda test e fonti d’informazioni non attendibili, quali siti internet non accreditati. Questi manipolano le normali abitudini alimentari dei cittadini, generando speculazioni di mercato, mediante omeopati alternativi o prodotti leggeri venduti come gluten free”. Il workshop si propone di far capire che: “esiste una scienza con secoli di studio, perciò i pazienti devono andare nei centri diagnostici, non affidarsi a ciarlatani”, sottolinea. Le reazioni determinate dagli alimenti possono essere diverse: “accanto alle più comuni allergie, esistono patologie immunologiche, come il morbo della celiachia ed intolleranze alimentari. Per ognuna di queste c’è un percorso diagnostico ben preciso e documentato che serve ad evitare rischi di shock anafilattico. La cattiva medicina tende a proporre pratiche diagnostiche che risultano dannose per il cittadino”, afferma Giacomo Lucivero, docente di Medicina Interna alla SUN.
Molti i test da non effettuare, come: la Kinesiologia applicata, quelli di citotossicità, EAV (elettroagopuntura) biorisonanza, analisi del capello, pulse test e simili. “Questi non sono attendibili in quanto non individuano agenti causali di presunte intolleranze alimentari, quindi risultano privi di valenza scientifica e non riproducibili”, spiega il prof. Giuseppe Spadaro, allergologo della Federico II. Ne illustra alcuni: “La kinesiologia applicata è basata sul principio che ogni disfunzione dell’organismo determina una riduzione della forza muscolare”. Il test si effettua: “facendo tenere in mano al paziente una fiala contenente l’alimento da testare, mentre con l’altra si spinge la mano dell’esaminatore. La percezione di quest’ultimo di una riduzione della forza muscolare nel paziente indica una risposta positiva e l’intolleranza all’alimento contenuto nella fiala”. Poi c’è il test del capello, proposto anche dai parrucchieri: “si basa sul principio della biorisonanza. Ogni individuo emette frequenze uniche e tipiche di quell’organismo. Il capello, essendone parte, emette la frequenza specifica dell’individuo cui appartiene. Ponendolo a contatto con altre, tipiche di alimenti, farmaci o minerali, è possibile valutare se le frequenze siano compatibili tra loro, oppure no”. Curioso il Vega test, che parte dal presupposto che i potenziali elettrici dei tessuti variano a causa di alimenti non tollerati. “Il paziente tiene in mano un elettrodo, attraverso il quale passa un impulso, un altro elettrodo viene poggiato su varie parti del corpo in corrispondenza dei punti dell’agopuntura. La sostanza da testare viene inserita in una fiala di vetro nel circuito dell’apparecchio. Una diminuzione del potenziale elettrico registrato indica l’intolleranza a quella sostanza”. La verità è che: “le letture del potenziale non sono modificate dall’introduzione della sostanza, in quanto il vetro non è un conduttore elettrico”. Per non incorrere nei falsi test descritti dal prof. Spadaro: “è importante conoscere la storia del paziente per diagnosticare un’intolleranza. Ovvero quante volte ha mangiato quell’alimento e se vi è stata sempre una reazione. Senza dimenticare che spesso l’intolleranza è causa di fattori psicologici, come nel caso dei disordini alimentari, perciò è necessario ascoltarlo, per stabilire se è o non è allergico”, informa Raffele De Palma, associato di Medicina Interna alla SUN. La strada giusta per curare un’allergia è: “escludere l’alimento che dà fastidio e dotare il paziente di un rimedio di pronto intervento. Negli ultimi anni sono attivi protocolli di vaccinazione che consistono nel somministrare l’alimento per generare una condizione di desensibilizzazione. Le quantità di alimento somministrato per via orale dunque aumentano gradualmente, fino a raggiungere una fase di mantenimento”, spiega il prof. Corrado Astarita, allergologo alla SUN. Contro le pratiche “alternative” anche la prof.ssa Patrizia Iardino, Direttrice della sezione Immunologica del morbo celiaco: “è assurdo che questi test non scientificamente convalidati siano supportati economicamente dalla Regione, mentre la diagnostica per la celiachia, che comporta lo screening a tutti i componenti della famiglia, con una spesa non indifferente, non venga supportato”.
Allegra Taglialatela
Molti i test da non effettuare, come: la Kinesiologia applicata, quelli di citotossicità, EAV (elettroagopuntura) biorisonanza, analisi del capello, pulse test e simili. “Questi non sono attendibili in quanto non individuano agenti causali di presunte intolleranze alimentari, quindi risultano privi di valenza scientifica e non riproducibili”, spiega il prof. Giuseppe Spadaro, allergologo della Federico II. Ne illustra alcuni: “La kinesiologia applicata è basata sul principio che ogni disfunzione dell’organismo determina una riduzione della forza muscolare”. Il test si effettua: “facendo tenere in mano al paziente una fiala contenente l’alimento da testare, mentre con l’altra si spinge la mano dell’esaminatore. La percezione di quest’ultimo di una riduzione della forza muscolare nel paziente indica una risposta positiva e l’intolleranza all’alimento contenuto nella fiala”. Poi c’è il test del capello, proposto anche dai parrucchieri: “si basa sul principio della biorisonanza. Ogni individuo emette frequenze uniche e tipiche di quell’organismo. Il capello, essendone parte, emette la frequenza specifica dell’individuo cui appartiene. Ponendolo a contatto con altre, tipiche di alimenti, farmaci o minerali, è possibile valutare se le frequenze siano compatibili tra loro, oppure no”. Curioso il Vega test, che parte dal presupposto che i potenziali elettrici dei tessuti variano a causa di alimenti non tollerati. “Il paziente tiene in mano un elettrodo, attraverso il quale passa un impulso, un altro elettrodo viene poggiato su varie parti del corpo in corrispondenza dei punti dell’agopuntura. La sostanza da testare viene inserita in una fiala di vetro nel circuito dell’apparecchio. Una diminuzione del potenziale elettrico registrato indica l’intolleranza a quella sostanza”. La verità è che: “le letture del potenziale non sono modificate dall’introduzione della sostanza, in quanto il vetro non è un conduttore elettrico”. Per non incorrere nei falsi test descritti dal prof. Spadaro: “è importante conoscere la storia del paziente per diagnosticare un’intolleranza. Ovvero quante volte ha mangiato quell’alimento e se vi è stata sempre una reazione. Senza dimenticare che spesso l’intolleranza è causa di fattori psicologici, come nel caso dei disordini alimentari, perciò è necessario ascoltarlo, per stabilire se è o non è allergico”, informa Raffele De Palma, associato di Medicina Interna alla SUN. La strada giusta per curare un’allergia è: “escludere l’alimento che dà fastidio e dotare il paziente di un rimedio di pronto intervento. Negli ultimi anni sono attivi protocolli di vaccinazione che consistono nel somministrare l’alimento per generare una condizione di desensibilizzazione. Le quantità di alimento somministrato per via orale dunque aumentano gradualmente, fino a raggiungere una fase di mantenimento”, spiega il prof. Corrado Astarita, allergologo alla SUN. Contro le pratiche “alternative” anche la prof.ssa Patrizia Iardino, Direttrice della sezione Immunologica del morbo celiaco: “è assurdo che questi test non scientificamente convalidati siano supportati economicamente dalla Regione, mentre la diagnostica per la celiachia, che comporta lo screening a tutti i componenti della famiglia, con una spesa non indifferente, non venga supportato”.
Allegra Taglialatela