Tra i seguaci della cosiddetta ‘via della cedevolezza’, che si concretizza nella pratica del judo, anche uno dei docenti della Federico II. Il prof. Luigi Verolino, docente di Elettrotecnica ad Ingegneria, Direttore del SOF-Tel, ha intrapreso lo studio dell’arte marziale dopo aver abbandonato il nuoto. “Un incidente mi ha costretto a smettere di nuotare e ho iniziato la boxe, che era lo sport di mio nonno – racconta – Pratico sport da quando avevo 4 anni, ma mi sono reso conto che facendo a pugni rischiavo di rompermi il naso. Così ho incontrato il mio maestro, il quale mi ha assicurato che nel judo non avrei certo corso questi rischi! In questo sport non vale la regola della forza che vince su tutto, qui si tratta di usare l’intelligenza, un po’ come nella storia di Ulisse e Polifemo. E infatti, anche se attualmente mi trovo a confrontarmi con ragazzi molto più giovani di me (e quindi più forzuti), se applico bene le tecniche riesco anche ad avere la meglio su di loro”.
Verolino è cintura nera, ma confessa di non aver mai vinto gare prestigiose. “Discorso a parte per mio figlio – dice – Ha seguito le mie orme, con la differenza che è diventato molto più bravo e pratica lo sport anche a livello agonistico. E’ un metodo efficace per scaricarmi e rilassarmi, non si tratta solo di combattimento. Lo spirito del judo è il comprendere che è la mente a governare i muscoli e non il contrario. Questo viene insegnato nel dojo, ossia nel luogo in cui l’arte viene trasmessa dal maestro agli allievi”.
Verolino è cintura nera, ma confessa di non aver mai vinto gare prestigiose. “Discorso a parte per mio figlio – dice – Ha seguito le mie orme, con la differenza che è diventato molto più bravo e pratica lo sport anche a livello agonistico. E’ un metodo efficace per scaricarmi e rilassarmi, non si tratta solo di combattimento. Lo spirito del judo è il comprendere che è la mente a governare i muscoli e non il contrario. Questo viene insegnato nel dojo, ossia nel luogo in cui l’arte viene trasmessa dal maestro agli allievi”.