“Uno studioso che nel campo della dantistica non ha bisogno di presentazioni”, così la prof.ssa Rita Librandi, già Ordinario di Linguistica italiana a L’Orientale, Vicepresidente dell’Accademia della Crusca, ha introdotto il relatore, lo scorso 25 marzo, di Dantedì, la giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, che si è tenuta nella suggestiva cornice della Villa medicea di Castello a Firenze: il prof. Andrea Mazzucchi, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici.
‘Una dis-lettura per immagini della Commedia’, il tema scelto dal prof. Mazzucchi, un viaggio attraverso una reinterpretazione iconografica contemporanea del capolavoro dantesco che subisce l’influenza della visione dello scrittore dublinese Samuel Beckett. “Nonostante i sette secoli trascorsi, l’opera di Dante continua a stimolare l’immaginazione, facendo vivere esperienze simulate che sembrano reali, grazie alla sua lingua e alle sue invenzioni”, ha sottolineato in apertura il docente. Poi entra nel cuore della conferenza con la premessa della straordinaria forza visiva della Commedia. Dalle miniature quattrocentesche alle xilografie rinascimentali, fino alle visionarie sperimentazioni dell’arte moderna e contemporanea, il poema ha attraversato le epoche attraverso immagini sempre nuove, in una continua evoluzione estetica e interpretativa.
In particolare, “gli artisti del XX e XXI secolo – da Salvador Dalí a Mimmo Paladino, da Robert Rauschenberg a Sandow Birk per citarne solo alcuni – non si sono limitati ad illustrare la Commedia, ma l’hanno riscritta, citata antifrasticamente e risemantizzata, attribuendole nuove e forti implicazioni ideologiche e semantiche”. La trasposizione visiva dei ‘mirabili ingranaggi verbali’ danteschi può dunque essere vista come una lettura autonoma e forte, ciò che il critico letterario Harold Bloom definisce “dis-lettura – o meglio disl-lettura creativa – un processo in cui il testo originale viene rielaborato in modo autonomo, trovando nuove connessioni con il presente e con le sue tensioni culturali”.
Tra le reinterpretazioni coeve più audaci spicca il lavoro di Cyop&kaf, duo di artisti napoletani che nel 2021, per il settecentenario dantesco, ha realizzato Durante, una serie di 40 tavole ispirate alla Commedia. Le opere sono state esposte a Napoli, prima nel Chiostro di San Pietro Martire del Dipartimento di Studi Umanistici e successivamente nel complesso di San Domenico Maggiore. Influenzati dalle miniature trecentesche e da artisti come “Mario Persico ed Ernest Pignon-Ernest, le tavole di Cyop&kaf trasformano il significato originale del poema sacro, enfatizzandone l’estraneità rispetto al presente e ribaltandone la struttura di senso”.
L’Inferno viene reso con una tavolozza cromatica cupa e disforica, dominata da neri, grigi e rossi, per esaltare il terrore e la brutalità. I dannati appaiono con fisionomie stravolte e corpi dilaniati, privati di qualsiasi umanità. Emblematica è la rappresentazione di Ugolino, “il cui tormento è fissato nell’eternità attraverso una grata incastonata nel teschio, dietro cui si intravedono i corpi dei figli morti”. Anche sul piano simbolico, gli artisti eliminano ogni riferimento alla salvezza: “nessuna traccia di Beatrice, degli angeli o di Virgilio come guida rassicurante attraverso la selva oscura”. Così anche nel Purgatorio si avverte questa desolazione: “La porta di accesso è vuota, priva dell’angelo portinaio, alluso solo dalla presenza metonimica delle due chiavi”.
Soprattutto, in questa traduzione iconica della Commedia, troneggia “l’assenza di Beatrice. Nessun ricongiungimento con l’amata, nessuna epifania della gentilissima sulla sommità del Paradiso terrestre, nessuna redenzione possibile; nessuna tappa di avvicinamento all’assoluto, ma solo il nichilistico annientamento della divinità”. La riflessione del prof. Mazzucchi si è poi estesa al legame tra questa visione e quella di uno dei massimi scrittori del XX secolo, Samuel Beckett, che nella sua opera riprende e trasforma alcuni elementi danteschi, svuotandoli di ogni prospettiva salvifica. L’analisi prende avvio dalla figura di Belacqua, anima purgatoriale che il Poeta incontra nel quarto canto, simbolo di immobilità e rassegnazione: “Beckett lo sceglie come archetipo dei suoi personaggi già nel suo primo romanzo, l’incompiuto Dream of Fair to Middling Women, e lo riprende in molti testi, tra cui Dante and the Lobster”.
In quest’ultimo racconto, il protagonista, Belacqua Shuah, si scontra con l’inesorabilità della sofferenza attraverso l’immagine dell’aragosta, condannata ad essere bollita viva: una metafora brutale di un’esistenza segnata dall’assenza di redenzione. Gli indizi più rivelatori di questa dis-lettura beckettiana emergono nell’ultima tavola dedicata al Paradiso. “Se nel gioco cromatico del bianco e del grigio chiaro e nel rigore geometrico di un cerchio inscritto in un quadrato, i due artisti cercano di restituire il momento di massima tensione e astrazione concettuale di Dante – traducendo con un lieve scarto cromatico i vv. 130-31 di Par., XXXIII – la scritta diafana luminescente Porta in cielo il mio calmo respiro, che richiama suggestioni beckettiane, introduce una nota più cupa, in cui è chiara l’ineluttabilità del destino umano”.
Proprio come l’aragosta immersa nell’acqua bollente, anche l’uomo si confronta con una realtà in cui la sofferenza è inevitabile e il riscatto impossibile. Attraverso un linguaggio iconografico che sovverte la tradizione, Cyop&kaf offrono così la lettura di “un Dante al contrario, dove il Paradiso non è più un traguardo raggiungibile, ma un’aspirazione inafferrabile, un ideale che continua a sfuggire”.
Giovanna Forino
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Ateneapoli – n. 6 – 2025 – Pagina 25