Filippo Caccamo, comico, attore e insegnante disperato

Laurea in Storia e critica dell’arte a Milano, nella scuola per due anni (“ma non ero felice”), poi la scelta di mollare tutto per calcare i palcoscenici teatrali

Si definisce comico, autore, attore e insegnante disperato. Ed è a partire da quest’ultima espressione che si può davvero capire l’evoluzione della persona e del personaggio. Era il gennaio del 2017 quando, alla ripresa dell’anno scolastico, si rendeva conto di non essere nel posto giusto, cioè dietro la cattedra. Ma la scuola e l’università, con tutte le loro contraddizioni, avrebbero lasciato un segno che sarebbe poi diventato l’orizzonte primo, ma non ultimo, della carriera di comico. Bando al posto fisso, via con la scommessa dei contenuti online e dei palcoscenici teatrali tra imitazioni, parodie e tormentoni legati a insegnanti, gite scolastiche, precariato e graduatorie. Filippo Caccamo, 30 anni, lodigiano con una Triennale in Beni culturali e una Magistrale in Storia e critica dell’arte a Milano, circa 800mila followers tra tutte le piattaforme social, sta girando l’Italia con il suo “Tel Chi Filippo”, con tappa prevista pure a Napoli, il 10 febbraio al Teatro Acacia. Tra un applauso e l’altro anche l’occasione per una lunga chiacchierata con Ateneapoli. Dagli inizi, passando per il libro ‘Vai tranquillo’, fino ai progetti futuri che, forse, potrebbero portarlo nel mondo del cinema.

Filippo, partiamo da una frase che hai scritto nella biografia sul tuo sito internet: ‘ed è proprio il mondo universitario il punto di partenza della mia carriera’. Perché è stato quello l’inizio di tutto? Che ruolo ha giocato l’Università?

“Io ho iniziato a fare video proprio sull’Università, era gennaio 2017. Sentivo che, da un punto di vista comico e non solo, mancassero video e riferimenti comici in quel mondo. Ho pensato potesse esservi mercato e soprattutto di avere qualcosa da dire. Ho avuto fortuna ad intercettare subito un pubblico. Da lì ho fatto subito spettacoli, lezioni”.

Qual è stato il primo video?

“Una cosa abbastanza buffa. Con la fotocamera interna dell’I-Pad, senza alcun montaggio, prendevo in giro i vari Dipartimenti. A dire la verità una sciocchezza assurda, ma ha funzionato”.

Agi e disagi di uno studente universitario

Nel tuo libro, ‘Vai tranquillo’, il sottotitolo è ‘Agi e disagi di uno studente universitario’. Quali sono stati i tuoi agi e disagi? Ci racconti qualche aneddoto?

“Beh, a ben vedere, l’Università è molto meme. Nel senso che è facile dire ah che sfortuna, che brutto studiare questo o quello. Sembra un mondo di disagi. Tuttavia dobbiamo ricordarci che se la facciamo è perché possiamo permettercela, in termini di tempo e soldi. Oggi lo studio è accessibile a tutti. Chi la finisce, inoltre, ha la possibilità di farsi valere sul mercato del lavoro. Agi non indifferenti. Io, appena finito, ho capito subito di potermela giocare su più fronti. Tutto questo, oltre alla grande formazione umana che ho ricevuto. Disagi molti, tutto il resto(ride, ndr). Si è lasciati a sé stessi, c’è poco margine di errore. Se si sbaglia bisogna aspettare mesi e mesi, pagare migliaia di euro, rette in più. In quel mondo devi rispondere, non puoi parcheggiarti”.

Il momento più bello del periodo universitario?

“Senza dubbio l’ultimo esame, quella è la vera fine dell’Università. Ricordo che scoppiai a piangere sulle scale antincendio mentre parlavo al telefono con mio padre. Il momento più brutto, un esame al quale sono stato bocciato ben sette volte. E studiavo eh! Poi alla fine ho preso 30, chissà se meritato”.

Cosa ti ha consentito di fare ‘il metro della risata’ – così lo definisci tu – nel raccontare scuola e università?

“Direi che provo a raccontare la vita. Faccio alcuni esempi. Carlo Verdone non fa la battuta, ma racconta un personaggio, le cose come sono. Lo stesso Pucci con la moglie. Io lo faccio con scuola e Università. Osservo e traduco in termini comici. Vedersi rappresentati in modo accentuato fa molto ridere, da sempre”.

In un video recente imiti gli insegnanti a dicembre, poco prima delle vacanze. E quelli di gennaio come sono?

“Hanno tanta voglia di iniziare, ma avvertono la calma prima della tempesta, perché sanno di dover ottimizzare al massimo i tempi, altrimenti andranno in difficoltà. Dall’altro di sicuro contenti di essere tornati”.

In molti descrivono, oggi, l’Università come un mondo fatto di competizione e mero ottenimento di esami? Cosa ne pensi?

“Io vedo alla Barbero (lo storico, ndr) in questo momento. Ha detto più volte che la scelta del percorso universitario viene fatta in base alla spendibilità sul mercato del lavoro. Se tutti facciamo Economia, Medicina, Giurisprudenza, è naturale che la competizione sia altissima. Anche studiando Storia o Storia dell’Arte si possono ottenere soddisfazioni economiche e personali, soprattutto è ciò che ci piace. Per me, comunque, il vero fulcro dell’Università deve essere questo: dare di nuovo una visione a lungo termine ai ragazzi e non limitarla al 3 febbraio, data dell’esame.

Tu che tipo di docente sei stato?

“Da un lato, molto umano e vicino ai ragazzi, dall’altro avrei potuto fare di più. In classe davo veramente tutto, tant’è che sono rimasto in ottimi rapporti con tutti e mi vengono a vedere a teatro. Tuttavia, avendo tante carriere parallele, tra video, teatro, scrittura, non sono riuscito a concedere più di quello che davo. Fortunatamente mi vogliono ancora bene, dunque qualcosa di buono spero proprio di averlo fatto”.

All’epoca, come ha preso la tua famiglia la scelta dell’abbandono del ‘posto fisso’ per la carriera teatrale?

“Beh, il tutto è successo tre mesi fa praticamente. Io gli ultimi due anni li ho passati a scuola. Non ero felice. Non mi sentivo a casa. La scuola è alienante. Mio padre questa cosa l’ha capita, ed è un dirigente scolastico. Ha spinto fin dal primo giorno affinché io avessi un posto fisso, così come mia mamma che era medico. Due persone che non hanno mai contemplato il rischio. Nonostante questo, lui li ha visti i miei occhi e ha capito. Una domenica gli ho detto che non ce la facevo più, non mi ha né spinto né ostacolato, mi ha lasciato libero”.

Tolta la Lim, la scuola è “ancora negli anni ’70”

Cos’è che proprio non va, secondo te, in una battuta, nel mondo della scuola?

“Io faccio sempre la stessa battuta: tolta la Lim(la lavagna interattiva multimediale, ndr), siamo ancora negli anni ’70. Non si regge più in piedi. C’è un gap generazionale incredibile tra docenti e ragazzi. È una scuola vecchia. Insegnanti divisi tra parcheggiati e demoralizzati, che vorrebbero dare tutto, ma vengono soffocati da mille scartoffie. Per di più ora, le famiglie hanno in mano tutto. Non possiamo più avere autorevolezza, non c’è rispetto, conoscenza, confronto. Non possiamo bocciare, mettere note. Non si può lavorare così”.

Digitando il tuo nome sul web, google suggerisce le ricerche più frequenti degli utenti legate al tuo nome. Tra queste: ‘dove insegna Caccamo?’ Ci racconti del tuo primo giorno da insegnante in assoluto?

“Ho insegnato a Lodi. Il primo giorno, tornato a casa, mi sono detto: no, non voglio farlo. Sono stati tutti gentilissimi, i colleghi, i ragazzi. Un’accoglienza eccezionale. Ma, come detto, non era il mio posto”.

C’è stato un giorno in particolare in cui hai capito che non faceva per te?

“Sì. Dopo l’Epifania, il lunedì di rientro insomma. Apro gli occhi alle 6.50, realizzo di dover tornare e sento una sensazione di chiusura fortissima. Non ero felice, volevo fare altro. Ci tengo a dire che, pure essendo all’epoca una Mad (Messa a disposizione), avrei potuto andare via subito, ma ho onorato il contratto fino ad agosto”.

Il titolo del tuo spettacolo ne ricorda uno di Aldo, Giovanni e Giacomo. Chi sono i tuoi riferimenti artistici?

“Certamente Benigni, Pintus, Pucci. Tutti gli one-man-show. Li ho visti per ore e ore. Benigni l’ho visto così tanto che potrei prendere una terza laurea. Per fare il comico serve questo: osservare altri comici e fare palco.

Progetti per il futuro?

Fino a giugno il tour di ‘Tel chi Filippo’, che mi porta a stare sul palco un giorno sì e un giorno no. Sono completamente assorbito da questo affetto, dunque voglio concentrarmi su questo. Ovviamente c’è l’idea di spostarsi su cinema, televisione, ampliare i canali che già uso”.

Dal 2017 al 2022, come tiri le somme di questi cinque anni?

“L’altro giorno facevo un gioco in scatola. A domande esistenziali bisognava rispondere in maniera secca. A me è capitata questa: cosa cambieresti degli ultimi anni. Ebbene, vivrei tutto con meno ansia. Sono stati anni intensi, un saliscendi di emozioni. La morte di mia mamma, le lauree, il ritrovarmi di fronte a 2mila persone. Bisogna vivere tutto con meno preoccupazioni, perché si affronta tutto. E soprattutto, se si vuol seguire un sogno, si può fare, basta metterci la testa.

Claudio Tranchino

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