Storie di rapporti luminosi e nodi inglesi che danno vita a una nuova generazione di macchine. Di scienziate e scienziati che potenziano a vicenda le proprie intelligenze generando visioni fuori dal tempo, un po’ come i fasci di luce nell’Oppenheimer di Nolan.
È tanto vertiginosa quanto affascinante la narrazione proposta da Valeria Patera, poetessa-drammaturga, regista, attrice o, come si suole dire per brevità, artista poliedrica, che è stata invitata dalla Scuola Politecnica il 24 marzo nella Biblioteca Storica di Ingegneria a Piazzale Tecchio per parlare di ‘Viaggio alle origini del digitale’, titolo dell’incontro per ‘La Scienza Plurale’, ciclo di seminari scientifici interdisciplinari organizzati dalla Commissione Outreach & Divulgazione. Presente per l’occasione il Presidente, il prof. Andrea Prota, i professori Bruno Siciliano e Paolo Massarotti che della Commissione citata è coordinatore.
Ed è stato proprio quest’ultimo a introdurre l’ospite e, dopo una presentazione dettagliata che ha toccato alcuni passaggi biografici, ha sottolineato poi lo scopo dell’incontro: “uscire dai tecnicismi delle scienze e offrire una visione molto più ampia della questione relativa alle origini del digitale”. E Patera è la personalità adatta: “ha focalizzato la sua ricerca verso un teatro multicodice, contaminando linguaggi e campi del sapere.
Si è formata con Dario Fo alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e ha conseguito la laurea in Filosofia della Scienza con Carlo Sini discutendo una tesi sul rapporto tra la poetica di Samuel Beckett e il cambio di paradigma scientifico del tempo. Ha scritto e diretto spettacoli ricevendo premi e riconoscimenti per la drammaturgia e la poesia. Ha scritto e diretto molte produzioni teatrali sulla vita e il lavoro di scienziati come Alan Turing, Charles Darwin, Max Peruz, Rita Levi-Montalcini, Elena Cattaneo, Ada Byron Lovelace e Mary Somerville, prima componente donna della Royal Astronomical Society, di cui Napoli conserva le spoglie”.
Presa la parola, la drammaturga chiarisce subito l’approccio di metodo: “l’idea è sottolineare la connessione tra le scienze, Somerville è stata la prima ad avere la visione dell’interdisciplinarietà. Dunque, andando a ritroso, quasi in modo genealogico, partirò da Alan Touring, ritenuto il padre del calcolatore, per spiegare da chi ha ereditato i concetti di macchina universale e programmabile, cioè di hardware e software”. E bisogna fare un salto indietro di circa cento anni, alla prima metà dell’Ottocento, per arrivare al “nodo inglese”, cioè un nodo formato da più nodi fissati, che “insieme si potenziano”.
E le cime di questo groviglio ordinato sono tre menti geniali: Ada Lovelace, Charles Babbage e proprio Mary Somerville. “Tra loro si crea un legame fortissimo e dallo scambio scientifico nasceranno l’informatica e la visione dell’intelligenza artificiale. E soprattutto la certezza di poter costruire macchine pensanti”. A testimonianza della genialità dei tre: “a quel tempo si andava ancora a cavallo e non si usava luce elettrica; la massima tecnologia era il telegrafo”. Attraverso un breve excursus la regista racconta di un contesto storico in cui nasce un nuovo paradigma del mondo – è il tempo della teoria di Darwin, per esempio – e qui emerge la figura straordinaria della Somerville, nata a fine ’700 (vivrà gli ultimi trent’anni di vita a Napoli, dove tuttora è sepolta), una capacità scientifica conclamata in tutta Europa, astronoma, fisica; non a caso definita regina delle scienze del XIX. “Lei dà il via a cambiamenti incredibili. Intravede e crea la base concettuale per l’interdisciplinarietà e l’interconnessione tra le scienze 150 anni prima che questo concetto venga accettato. Secondo lei, le scienze non vanno trattate come compartimenti stagni, ma on connection”.
E a proposito di connessioni, Somerville diventa tutrice della giovane Ada Lovelace, figlia del poeta romantico Lord Byron, la educa con la sua visione di matematica sistematizzata e le fa conoscere Charles Babbage, matematico e inventore di una sorta di prototipo della calcolatrice. E Lovelace, mente che pensa già a una nuova idea di matematica – ‘number is king’, diceva – resta folgorata. Babbage le parla del suo progetto successivo, la macchina analitica, la cui idea alla base era meccanizzare certe facoltà e mettere la macchina nelle condizioni di fare da sé.
Detto altrimenti: “questi tre geni capiscono come trasferire dati di conoscenza, e la Lovelace vede ben oltre l’operazione di calcolo: nasce lì l’idea di macchina universale, cioè non rigida ma programmabile, dalla quale Touring poi partirà, per sua stessa ammissione”. La giovane inventa il software. E ne è pienamente consapevole: “è assolutamente necessario che nasca la scienza delle informazioni”, cioè l’informatica. “La Lovelace descrive già allora ciò che noi facciamo oggi con internet”. E così si torna a Touring e a un suo passo in particolare che, secondo la drammaturga, denuncia un profondo debito epistemologico nei confronti di Somerville: “ci vogliono più livelli di descrizione del mondo connessi, per poter dire qualcosa di interessante sul mondo”.
E dunque, genealogicamente, dal padre del calcolatore si risale alla stessa Somerville, poi a Babbage e Lovelace per chiudere la spirale del viaggio alle origini del digitale che Patera definirebbe senz’altro luminoso. E il medesimo aggettivo vale pure per il “nodo inglese” tra le tre menti: “una storia luminosa, fatta da rapporti luminosi – e possibili – tra donne e uomini”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 6 – 2025 – Pagina 12