Ripensare l’autismo, incontro al Dipartimento di Psicologia

“Ripensare: dare una lettura che vada oltre quelli che sono gli stereotipi che la persona autistica si porta dietro”, l’obiettivo dell’incontro che si è tenuto a Psicologia il 1° aprile, in occasione della Giornata Mondiale per la consapevolezza sull’autismo, nelle parole della prof.ssa Ida Sergi, coordinatrice del Servizio di Tutorato del Dipartimento. Riprende una frase tratta da un brano di Fabrizio De Andrè (‘Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole’) la prof.ssa Lucia Ariemma perché ritiene racchiuda una dimensione che sembra perfettamente aderente alla realtà dello spettro autistico.

Quotidianità e luoghi comuni, spesso fuorvianti ed errati, allontanano dalla consapevolezza, che è la chiave d’accesso per un’inclusione di qualità. “Espressioni del tipo ‘non sembra’, ‘poverino!’, ‘che peccato!’ non fanno altro che indurre a dimenticare che dietro a una diagnosi c’è una persona che manifesta in maniera eterogenea la propria diversità”. Nella comunicazione quotidiana scattano numerosi processi di non-inclusione, che offuscano le tante abilità e competenze delle persone con spettro autistico. L’obiettivo è mettere da parte la prospettiva assistenzialistica e non pensare in termini di cura medica, ma di cura educativa: perseguire bisogni educativi tutti individualmente specifici.

“C’è un apparato normativo che regola e garantisce l’inclusione della persona con autismo a scuola”, sottolinea la docente che insegna Pedagogia Generale e Sociale ed ha la delega in Dipartimento per l’inclusione degli studenti con disabilità e Dsa. La diversità “è essenziale, il punto di forza della nostra specie che ci ha permesso la sopravvivenza. Alcuni individui hanno percorsi di sviluppo uguali, altri differenti”, sottolinea il prof. Sebastiano Costa, docente di Psicologia dello Sviluppo tipico e atipico. Nella narrazione delle traiettorie di sviluppo ci si basa sulla norma, sullo standard: questa prospettiva spesso genera stigma, pregiudizi e stereotipi relativi a persone che appartengono a gruppi minoritari. “Spesso il rapporto con la diversità non è stato funzionale, ciò che si chiede ai futuri professionisti è di avere una visione della diversità che si focalizzi non sul deficit, ma sulla persona”.

L’approccio basato sulla norma mostra il deficit solo nei gruppi minoritari: le persone con spettro autistico, ad esempio, ottengono risultati migliori in test in campo percettivo, come la ricerca visiva; “ma nessuno dirà mai che le persone non affette da spettro autistico hanno una minore ricerca visiva”. La domanda: è possibile andare oltre il modello di deficit e riconoscere che alcune forme associate allo spettro autistico, e in generale alla neurodiversità, possono essere vantaggiose in alcuni contesti e creare difficoltà in altri, come qualsiasi altra caratteristica umana che ci rappresenti?

Sul significato di due termini, usati spesso impropriamente come sinonimi, si sofferma il prof. Massimiliano Conson, docente di Neuropsicologia dello sviluppo: la neurodivergenza identifica una varietà che si discosta da un’altra, che diventa neurotipicità; la neurodiversità, invece, è l’insieme delle diverse caratteristiche che costituiscono la neurologia di ciascun individuo, un dato di fatto che non dà alcun giudizio sulla qualità di queste differenze. “Auspico che ci sia un movimento che possa essere sempre più in grado di riconoscere sfumature nello studio del cervello umano, che consenta poi di abbandonare l’idea dicotomica di qualcosa di sano e di qualcosa che non funziona”, afferma Conson.

La scuola è identificata dalle famiglie con persone autistiche come una delle istituzioni dalle quali hanno ricevuto maggiore supporto: le risultanze di uno studio sull’inclusione scolastica citate dal prof. Roberto Marcone, docente di Tecniche di osservazione del comportamento infantile. Un’altra istituzione chiave per le famiglie è il centro di riabilitazione, punto di riferimento assieme al neuropsichiatra infantile. “Con l’arrivo della maggiore età, tutto quello che è stato un processo inclusivo, di crescita, tutto ciò che ha promosso i talenti e le peculiarità di una persona con spettro autistico, viene a mancare”. La scuola finisce e si crea un gap che viene colmato da associazioni e cooperative: “scompare uno degli aspetti fondamentali legati all’inclusione perché queste persone non saranno più circondate da ‘amici neurotipici’ e si aprirà una compagine legata ad un aspetto assistenzialistico”.

L’80% delle persone in condizione di disabilità intellettiva non lavora: “Il passaggio dall’inclusione scolastica a quella sociale e lavorativa è la strada da percorrere”, chiude così il suo intervento il prof. Marcone. Non si riferisce a ‘persone disabili’ ma a ‘persone in condizione di disabilità’ il nuovo decreto legislativo, entrato in vigore da gennaio 2025, che cerca di favorire e semplificare le procedure per l’attuazione di un progetto di vita: progetto ‘individuale, personalizzato e partecipato’ che nasce con la diagnosi e si sviluppa accompagnando la persona in tutta la sua esistenza. Ne parla Roberta Pennarola, presidentessa dell’Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo (Angsa) Napoli Nord.

La partecipazione è uno degli aspetti principali, la persona con spettro autistico è partecipe ed artefice della propria vita, potendo esprimere i propri bisogni, aspettative e il proprio talento. “Molte persone identificano le persone autistiche come eterni bambini, alcuni inconsapevolmente, altri giustificando questo loro atteggiamento con un desiderio di protezione; ma in questo modo non si fa altro che calarle in un ambiente assistenziale, non cercando di capire, accettare e recepire ciò che davvero desiderano come persone, in tutta la loro dignità”, conclude Pennarola.
Angelica Cioffo
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Ateneapoli – n. 6 – 2025 – Pagina 31

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