Il Procuratore Gratteri: “per superare il gap dei ‘figli di’ dovrete lavorare il doppio, lo studio deve diventare una dipendenza”

“In tutti i concorsi ci sono le raccomandazioni, è vero… ma in tutti i concorsi ci sono dei posti per i figli di nessuno: per i figli dei meccanici, dei panettieri, dei muratori. Di tutti! È una fascia che nessuno vi può prendere e la sola possibilità per accedervi è lo studio: mangiarvi i libri, studiare notte e giorno”. Severo, rigoroso e intransigente: sono forse i tre aggettivi che meglio descrivono uno dei magistrati più popolari dei giorni nostri. Una presenza sicura da oltre trent’anni in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, nonché ospite fisso in scuole di ogni ordine e grado perché, per lui, la mafia possiamo sconfiggerla solo partendo dall’educazione.
È Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, che in meno di un anno dalla sua nomina è diventato un punto di riferimento per la città partenopea al punto da essere scelto come ospite d’onore per l’accoglienza dei futuri giuristi federiciani. Nessuna lectio magistralis, semplicemente il racconto di una storia: la sua. Una parabola esistenziale fatta di sacrifici, di un allontanamento quasi obbligato dalla sua terra natia, la Calabria, perché all’epoca nella punta dello Stivale Facoltà di Diritto non ve ne erano.
Scelse allora Catania, nonostante l’esistenza della ben più vicina Messina, perché in quel momento storico mezza università di Messina era in mano alla ‘ndrangheta: tutti i figli dei capimafia erano lì e molti si laureavano con la pistola sul tavolo. Fu perfino ammazzato un professore e un altro fu rinchiuso in un bidone della spazzatura e per poco non lo maceravano. La Casa dello studente era un bazar dove si poteva comprare di tutto, dalle armi alla droga. Allora mi sono detto che dovevo andare in un altro posto, perché io non avevo niente a che vedere con questa gente”.
Quella stessa gente che aveva incontrato fin dalle medie quando, nei lunghi tragitti fino a scuola, durante i quali “vedevo i morti a terra, gente sparata, bruciata, i figli degli ‘ndranghetisti fare quelli che oggi chiamate “bulli”, ma che in realtà erano ndranghetisti in miniatura che si comportavano esattamente come i genitori”.
Spesso si dice che per essere buoni giuristi bisogna essere abili oratori, ma il Procuratore Gratteri non vuole che le centinaia di matricole che riempiono l’aula e che lo guardano senza perdersi neanche un cenno delle labbra credano che basti padroneggiare l’arte della parola per potercela fare: “per essere credibili, bisogna essere coerenti tra ciò che si dice e ciò che si fa, altrimenti tutta la retorica e tutto il discorso forbito non serve assolutamente a nulla e non fa presa su nessuno. Dovete capire se chi vi parla quello che dice lo sente o meno”, anche quando si tratta dei propri insegnanti.
È importante la coerenza di chi viene qui a raccontarvi la norma: se ci crede, se si emoziona o meno ancora rispetto a ciò che fa”. Per lui due sono i valori cardine, che la famiglia ha saputo tramandargli: “onestà e generosità”. “Noi avevamo poco, giocavamo a calcio scalzi sui vetri, ma c’erano miei compagni di scuola che mangiavano una volta al giorno. Però poi si sono affermati, sono diventati professionisti, perché hanno avuto la fortuna di nascere in famiglie oneste, vere, dove i genitori seguivano i figli”, il che non significa sommergerli di regali costosi ma “parlare con loro, spiegare la vita e il mondo”.
Il messaggio è uno e rimbomba forte e chiaro, al punto tale da incutere, in effetti, un po’ di timore in chi sta approcciando ad un mondo come quello dell’Università, che agli occhi di un ragazzo diciottenne appena uscito dal liceo non può che apparire mastodontico: studiare, studiare tanto. “I concorsi non si preparano da quando andate a sedervi a fare i quiz o le prove scritte, ma già dalle scuole elementari. Per superare il gap dei ‘figli di’ dovrete lavorare il doppio, in modo sistematico: lo studio deve diventare una dipendenza”, qualcosa di cui non poter più fare a meno.
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Ateneapoli – n.13-14 – 2024 – Pagina 18

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