La ricerca artistica della performer NicoNote e il tedesco, una lingua che “è già di per sé poesia”

Performer, cantante, artista intermediale tra le più originali della scena contemporanea, NicoNote – pseudonimo di Nicoletta Magalotti – ha incontrato l’8 maggio gli studenti del corso di Letteratura Tedesca, in un appuntamento organizzato dal prof. Luca Zenobi presso l’aula 4 della sede centrale.

“Quest’anno, oltre alle lezioni istituzionali, ho strutturato un programma internazionale al quale ho invitato i miei studenti a partecipare: incontri, conferenze, non solo studio sui testi scritti, ma anche un confronto con artisti che lavorano sulla contemporaneità, che portano avanti la letteratura tedesca anche al di fuori dei confini canonici. Per questo ho pensato che il lavoro di NicoNote fosse particolarmente adatto anche come esperienza creativa”, ha spiegato Zenobi, introducendo l’ospite.

La scelta non è casuale: voce della band Violet Eves negli anni ’80 e figura di riferimento della scena musicale e performativa – tra teatro, installazioni e clubbing – NicoNote, di origini austriache da parte di madre, ha intrecciato negli anni la sua ricerca artistica con poesia e lingua tedesca. Cuore dell’incontro è stato il racconto del processo creativo dietro An die Unerkannte/Alla sconosciuta, performance sonora per voce, poesia e musica elettronica ispirata ad una lirica di Friedrich Hölderlin, presentata il giorno prima al Centro di Cultura Domus Ars nell’ambito di un progetto del Goethe-Institut. Si parte dall’inizio.

“Quando mi hanno chiesto, al Festivaletteratura di Mantova, nel 2023, di preparare uno spettacolo sul Romanticismo, mi sono detta: mi interessa? Mi tocca? Ho del materiale pronto? Dieci anni prima avevo già lavorato sulla diaristica di Schumann, io, cantante di musica pop, insieme ad una pianista classica, e avevo già esplorato la dimensione linguistica tedesca, che per me ha un valore fortissimo. È una lingua che raggiunge profondità estreme, è già di per sé poesia”.

Il sì al progetto è arrivato quindi in modo naturale. “C’era una poesia che mi girava in testa da tempo, che avevo già registrato in un altro progetto, con una voce più angolosa, più secca, più viscerale. Era una voce che dal cuore passava al pensiero e poi tornava al corpo, come accade quando la parola diventa spirito. Già questo per me era un segnale, un indice da decifrare, come un’anima in movimento”.

L’artista ha raccontato di essere partita proprio da quell’incipit sospeso, misterioso, amato: “Sono cinque-sei righe che si aprono con delle domande e ti dicono anche: ‘non la potrai riconoscere’. Questa sconosciuta, chi è? Che importa? È tutto: è detto di me, di te, è la vita, la libertà, la natura, l’unità profonda che attraversa le cose. Seguendo questo flusso emozionale, ho iniziato a raccogliere frammenti. Il frammento è al centro del mio lavoro: è un modo di costruire, ma anche di esplorare. Ogni pezzo ha un titolo, un’identità, non si tratta di un discorso lineare”. Ma come si arriva dalla parola scritta alla scena? “Il palcoscenico ha regole diverse dalla pagina: la parola si trasforma, si alza, chiede di essere portata altrove.

Parto da un punto e mi muovo per territori, nutrita da intuizioni che poi elaboro. È la tensione tra le parti che costruisce l’insieme. Non è solo una somma di elementi: è una costruzione consapevole, una risposta al presente”.

Un presente che, osserva, ci ha immersi nella cultura della disgregazione: “Un tempo c’era l’album, con lato A e lato B. Oggi, con le piattaforme digitali, conosciamo solo cinque-sei tracce. Questo è diventato naturale. La frammentazione non è una mancanza, ma una tensione, una ricerca, un’intersezione. Esiste anche nella teologia, nell’arte, nella letteratura. Mi interessa confrontarmi sia con chi ha creato architetture solide, sia con chi ha lasciato domande aperte. È un apprendimento continuo”. La performance si configura così come un attraversamento: “da Novalis a Wagner, dalle voice-song anni ’80 e ’90, poi c’è Schumann, i Lieder della Dichterliebe: sono canzoni che parlano della natura, dei monti, dei boschi, della forza dell’anima.

Io sento queste cose risuonare dentro, le percepisco come un richiamo romantico, fatto di sinestesia, di unione tra l’individuo e l’ambiente circostante. Avevo poi delle registrazioni importanti, delle improvvisazioni fatte anni fa in Francia, che ho ripreso per questo lavoro. Io mescolo tutto, senza paura. Non cerco una nicchia, ma un accento non scontato. Voglio costruire un paesaggio sonoro e visivo che parli ad un pubblico trasversale”, ha confessato l’artista.
Per gli studenti non solo uno sguardo inedito sull’eredità romantica, ma un’immersione nelle ossessioni, nei rischi, nelle tensioni creative di chi porta in scena un dialogo vivo tra radici e contemporaneità.
Giovanna Forino
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Ateneapoli – n. 9 – 2025 – Pagina 16

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