“Mi sono sentito esattamente come Ulisse che torna a casa”

Da studente a docente: laurea in Chimica nel 1995 e, dopo venticinque anni, Giuseppe Milano è rientrato alla Federico II, al Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale (Dicmapi) come professore di Chimica Industriale.
“Quando mi sono laureato, il Dipartimento di Chimica era a Mezzocannone. Il mio relatore fu il professor Barone che, fino a poco tempo fa, è stato il Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e che, all’epoca, era un giovane associato. Negli anni Novanta, in Italia, la chimica andava forte, in particolare se parliamo nell’ottica delle industrie – ricorda il prof. Milano – Dopo la laurea, poi, ho vinto un Dottorato a Salerno dove ho cominciato ad occuparmi di materiali polimerici”. A Salerno, il prof. Milano è rimasto fino al 2014; intanto, la grande passione per la sua disciplina, coltivata fin dalla scuola superiore, lo conduceva fuori dall’Italia: “In Europa i polimeri parlano due lingue, l’italiano e il tedesco. Questo mi ha portato in Germania dove nel 2004 ho ricevuto la Humboldt Fellow, un importante riconoscimento assegnato a scienziati non tedeschi che hanno prodotto ricerche influenti”. A Brema, il docente è rimasto per circa due anni: “Nel corso del tempo, poi, sono cresciuti i contatti internazionali. Io mi occupo di modelli al calcolatore di materiali polimerici e questo mi ha avvicinato al professor Doi, un docente giapponese che si occupa della stessa tematica e che ha contributo a diffonderla in ambito accademico e industriale”. Il Giappone quindi, nel 2017, è la tappa successiva del suo viaggio: “Fui contattato dal Rettore della Yamagata University proprio per le mie competenze nel campo sia dei polimeri che dell’elettronica organica. Sono rimasto in Giappone fino a febbraio 2020, i rapporti si sono interrotti a causa della pandemia, in un Dipartimento di Ingegneria dei Materiali, piuttosto simile al Dicmapi, dove insegnavo Chimica Computazionale”. 
La timidezza dei giapponesi
Un’esperienza, questa, profondamente significativa: “Uno dei miei compiti era costringere – e sorride – colleghi e studenti a parlare in inglese, lingua per cui lì hanno un certo blocco psicologico. Né io parlavo fluentemente il giapponese che è piuttosto complesso. Tre alfabeti più i kanji non erano proprio facili da memorizzare”. La cultura giapponese è profondamente diversa da quella occidentale: “La prima cosa che, da napoletano, mi colpì fu che gli studenti, quando entravano nel laboratorio occupato dal docente, non salutavano per non disturbarlo. Entravano, svolgevano il loro compito e poi andavano via come se io non avessi dovuto accorgermi della loro presenza. Misi subito in chiaro, invece, che nel mio laboratorio avrebbero dovuto salutare”. Questo ha contribuito a creare “un clima disteso. Altra cosa che mi colpì fu la grande timidezza, non solo degli allievi, ma anche degli stessi colleghi. In università, ad esempio, ognuno mangiava per conto suo, non c’era la cultura del desco che abbiamo noi”. Lo scorso febbraio, poi, ha segnato il ritorno ad ‘Itaca’: “Sono entrato in servizio al Dipartimento federiciano dopo aver vinto un concorso aperto a candidati esterni all’università. Mi sono sentito esattamente come Ulisse che torna a casa”. In Dipartimento “ho ricevuto da subito un’accoglienza molto calorosa e ho stabilito un’intesa professionale con i colleghi Mensitieri, Greco, Maffettone e Fraldi del Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura. Ho trovato un’intesa anche con i professori Molinaro di Chimica e Aloisio di Fisica che hanno in comune con me un focus sul Giappone. Con loro potremmo aprire un discorso interessante sul potenziamento dei rapporti tra questo Paese e il nostro Ateneo”. 
Insegnerà modellazione dei materiali
Il suo primo insegnamento alla Federico II, inerente proprio alla modellazione dei materiali, partirà a settembre: “In Italia questo tipo di disciplina è considerata piuttosto teorica. Se prendiamo come esempio il Giappone o gli Stati Uniti, invece, noteremo che la ricerca è molto orientata al mondo industriale. Vorrei che i miei studenti ne cogliessero questo duplice aspetto, teorico e pratico insieme”. Manca, forse, “da noi quell’interazione con il mondo industriale, stretta, come avviene all’estero. All’estero, inoltre, c’è un grande movimento sia in entrata che in uscita. In Italia, spesso, mi sembra che sia solo in uscita”. 
Un consiglio che agli studenti sarebbe utile cogliere “è quello di imparare a guardarsi intorno. Nel nostro Paese, talvolta, si tende a rimanere in una dimensione troppo provinciale. Invece, in un mondo così globalizzato, bisogna aprire gli orizzonti. La stessa conoscenza dell’inglese, ad esempio, non è questione di quei pochi crediti in piano di studio, ma è un fatto di apertura culturale”. Progetti di rientro in Giappone per il futuro? “Sto seguendo, al momento via Skype, alcuni dottorandi. Ma andare lì non sarà possibile, almeno finché rimarrà in vigore una politica tanto restrittiva sugli ingressi”. 
 
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