Riflettere sul futuro del design e sulla sostenibilità della moda, rendendo protagonisti 450 studenti nella riprogettazione di 500 capi invenduti. Lo scorso 27 gennaio, nell’Aula Magna del Dipartimento di Architettura e Disegno industriale, è andato in scena il secondo appuntamento di ‘Yamamay Reloaded’, progetto che coinvolge la nota azienda di abbigliamento (da lì provengono i capi in stock) e la Triennale in Design per la Moda, coordinata dal prof. Roberto Liberti, e la Magistrale in Design per l’Innovazione, guidata dalla prof.ssa Rosanna Veneziano.
Dopo l’incontro di metà dicembre, le parti si sono riunite per verificare lo stato di avanzamento dei lavori: alla presenza della dott.ssa Laura Rivas Llorens, rappresentante dell’azienda, i partecipanti, suddivisi in gruppi, hanno presentato i propri progetti, illustrando tecniche utilizzate e soprattutto il concept alla base. I capi sono stati anche indossati da modelle e sono stati proiettati brevi video scenario con tanto di claim finali accattivanti – “questa non è solo moda, ma storia reinventata”, uno dei più suggestivi. “Il brief con Yamamay continua – ha detto proprio il prof. Liberti ad Ateneapoli – Quest’oggi sarà valutato lo stato di avanzamento dei lavori degli studenti, prima dell’ultima tappa, prevista per il 18 febbraio, in concomitanza con l’esame”.
Nel valutare poi i progressi dei vari gruppi, proprio Rivas Llorens si rivolge a tutta la platea complimentandosi: “i capi sono rielaborati in modo fantastico, tenendo anche presente che non siete dotati nemmeno di macchine particolari”.
Tra un video e l’altro, inoltre, sono intervenute anche alcune delle docenti che hanno supportato gli studenti. La prof.ssa Pina Pirozzi di Laboratorio di Design per la Moda II ha parlato della creatività come “atto di ribellione nei confronti della società” e dei nuovi designer come “attori del cambiamento”; sulla stessa falsariga la prof.ssa Simona Ottieri, docente del medesimo corso, si è soffermata sul concetto di sostenibilità “non come costrizione, ma grande opportunità creativa”.
Gli altri insegnamenti coinvolti nel brief sono stati Fashion Eco-Design I, Laboratorio di Design per la Moda II (entrambi tenuti da Liberti), Disegno di Moda II della prof.ssa Alessandra Avella, Storia della Moda della prof.ssa Ornella Cirillo, e Tecnologie e Materiali per Fashion design della prof.ssa Antonella Violano.
Grande contributo all’organizzazione e alla supervisione del lavoro dei singoli gruppi anche quello di Luigi Chierchia, dottorando di ricerca in Design per il Made in Italy: “Coordino sia la parte progettuale che quella di prototipazione dei capi. Cioè, gli studenti mi portano a revisionare la collezione e assieme decidiamo di apportare correzioni, soluzioni affinché i capi possano avere nuova vita dal punto di vista della reindustrializzazione all’interno del processo moda, ma anche da quello della performance di sfilata, che facciamo ogni anno. Ogni gruppo porta una collezione dai sei ai dodici capi, ne vengono scelti due di cui uno destinato alla reindustrializzazione e uno alla performance. Dopodiché gli studenti li realizzano”.
Ma le idee sono degli studenti, stimolati a dare il meglio sul campo con idee innovative e competenze tecniche. Ateneapoli ha intervistato i team leader. “Noi siamo partiti dal concetto di metamorfosi della farfalla: le facciamo intraprendere un viaggio dal nostro pianeta verso uno ignoto, migliore del nostro”, ha detto Marica D’Aniello; mentre Lorenza De Monte parla di “capi come se fossero una fenice, che muore e rinasce dalle proprie ceneri”.
Si chiama ‘Evolutshein’ il progetto del gruppo guidato da Diana Candice che, partendo da pigiameria, bluse, camicie, ha provato a “creare una collezione che potesse rispondere alla domanda: cosa sei disposto a diventare per arrivare al lusso? La nostra vuole essere una critica alla società che aspira al lusso ma non ha coscienza del danno dal fast fashion”. Chiude Rocco: “siamo partiti dall’idea delle ballroom della New York anni ’70 e ’80, creando qualcosa di teatrale e iconico per celebrare ispanici e neri che non riuscivano a trovare spazio nella società dell’epoca”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 2 – 2025 – Pagina 27