“Sono andata a scuola fino alla seconda elementare. Non ho fatto le vaccinazioni. Non potevo avere un lavoro. Avevo paura dei carabinieri, avevo paura di tutti. Mi sentivo imbarazzata, mi sentivo troppo male: erano tutti normali e io mi sentivo diversa. Se andavo in ospedale mi chiedevano la carta d’identità e io non l’avevo e vivevo con la paura dentro di me. Non ci avevo creduto inizialmente, non pensavo di poter avere un’identità: ho perso tanto tempo e speso tanti soldi, e la rabbia dentro di me cresceva perché non riuscivo a raggiungere ciò che sognavo. Grazie alla clinica, ora nei sogni ci credo: sono rinata”. Lei è Milena Todorovic, “apolide riconosciuta”.
Una vita vissuta da invisibile: senza cittadinanza, senza documenti, senza identità. Senza diritti. Poi, l’incontro con la Clinica legale del Dipartimento di Giurisprudenza: riceve assistenza legale, finalmente, ottiene il permesso di soggiorno. Per la prima volta, è davvero una persona agli occhi dello Stato italiano. A portare in aula, il 28 gennaio, la storia di Milena sono stati la prof.ssa Flora Di Donato, alla guida della Clinica legale, in collaborazione con l’associazione studentesca US, rappresentata dal presidente Rocco Capasso: un incontro che ha voluto raccontare un progetto fatto di persone, empatia e competenze messe al servizio della giustizia sociale.
Nata nel 2017, sposando l’idea di dare la possibilità agli aspiranti giuristi di assistere ad operazioni legali, un po’ come fanno i colleghi di Medicina, ha mosso i primi passi occupandosi di casi di persone richiedenti asilo o donne vittime di tratta, per poi concentrarsi sulla popolazione rom, tramite il programma ‘Justrom’ del Consiglio d’Europa. Nel 2021 viene individuata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) per un progetto a tre con l’International University College di Torino e l’Università di Roma Tre: la ‘Statelessness legal clinic’, per l’assistenza legale delle persone apolidi, nel quale, tutt’oggi, è attiva.
Ma che cos’è un apolide? Come sancisce la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU, avere una cittadinanza è un diritto di ogni essere umano, per cui “l’apolidia non è semplice anomalia giuridica, ma una vera e propria violazione dei diritti umani, in quanto non avere una cittadinanza ostacola il godimento di altri diritti: iscriversi all’università, prendere la patente, viaggiare, richiedere un’abitazione”, ha commentato Enrico Guida che, come ‘protection associate’ presso l’UNHCR, segue il progetto.
I dati raccolti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite rivelano che quello dell’apolidia è un problema di portata globale: nel mondo ci sono almeno 4.4 milioni di persone senza alcuna cittadinanza, di cui circa 3000 si trovano in Italia. Di queste, poi, più o meno 2250 appartengono alle comunità rom: provengono, in particolare, dall’ex Unione Sovietica, Cuba, Cina, Palestina… perché le cause dell’apolidia sono, soprattutto, la disgregazione di Stati, le guerre o il far parte di minoranze perseguitate o non riconosciute nel proprio territorio di provenienza.
Campi rom, “6 bagni chimici per 300 persone”
La necessità segnalata da queste persone di avere un’assistenza qualificata, fatta sì di competenze, ma anche di contatto umano, ha portato allora l’UNHCR a scegliere di investire nella formazione dei giovani attraverso proprio le Cliniche legali, erogando sei borse di studio per ogni università partner del progetto. Tra le studentesse che ne hanno beneficiato Maria De Mizio, Carmen Rivetti ed Emanuela Ippolito: i loro racconti sono ambientati tra i campi rom di Scampia e Giugliano, dove si concentra l’intervento della clinica legale.
Tra questi, c’è quello di via Carrafiello: “Solo 6 bagni chimici per oltre 300 persone, di cui più della metà sono bambini, che vivono in roulotte (se ci sono) o in capanne e giocano nel fango, circondati da animali, a rischio di contrarre malattie che potrebbero portare ad epidemie all’interno del campo”, racconta Carmen. Aiutare tutti loro ad ottenere i documenti non è semplice, se poi sono donne ancora meno: non vengono vaccinate, non vengono mandate a scuola… vengono sostanzialmente ‘adultizzate’ in vista del matrimonio: ciò aggrava la dispersione di importanti tracce che potrebbero ricostruirne l’identità, sul piano giuridico. Se diventassero madri, i loro figli prenderebbero, con ogni fortuna, la cittadinanza del padre che avrà avuto, nel frattempo, più chances di essere riconosciuto.
Intanto loro, le madri, resteranno immobili in una condizione di invisibilità, marginalizzate nella loro stessa famiglia, in cui tutti potranno spostarsi, tutti potranno viaggiare, tutti potranno esibire i documenti: tutti tranne loro. Serve allora un approccio molto umano, “che abbatta le simmetrie”, come spiega Maria: “Quando entriamo nel campo, cerchiamo anzitutto di rendere queste persone coscienti del fatto che hanno diritto ad avere dei documenti, a sentirsi qualcuno, e che potrebbero arrivare ad avere anche lo status dei cittadini, se ne hanno i requisiti”.
Un’esperienza che ha arricchito i ragazzi che si sono spesi nella Clinica legale non solo sul piano umano, ma anche professionale: molti ex borsisti oggi sono nell’UNHCR o svolgono la pratica forense presso lo studio legale dell’avv. Luigi Migliaccio, che collabora al progetto in qualità di responsabile delle attività di lawyering, su mandato dell’UNHCR.
Casa Bartimeo, un nuovo centro di accoglienza
Ma la Clinica legale continua a crescere: appena sarà attivato, a febbraio, fornirà assistenza legale presso uno sportello d’ascolto istituito nel nuovo centro di accoglienza ‘Casa Bartimeo’, al Corso Umberto I, curato dell’Arciconfraternita dei Pellegrini e rappresentata dall’avv. Nicola Lavorgna: “una grande catena di solidarietà”, come l’ha definita, che coinvolgerà il Tribunale di Napoli, l’UNHCR, la Federico II, la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio e la Diocesi di Napoli in un percorso di formazione finalizzato al che “l’approccio che si ha per l’aiuto agli ultimi sia multidisciplinare e sarà ciò che contraddistinguerà tutti i magistrati e gli avvocati del futuro”.
Un luogo di accoglienza che unirà più competenze, dagli psicologi agli avvocati, ai mediatori culturali, e dove si investirà sulla formazione dei giovani tramite l’erogazione di alcune borse di studio. Nel corso dell’incontro, poi, si è entrati nel vivo anche degli aspetti più tecnici e sociali della protezione internazionale e dell’ascolto e l’orientamento dei richiedenti asilo, grazie al contributo della dott.ssa Cristina Correale, Giudice della Sezione Specializzata del Tribunale di Napoli in materia di Immigrazione e Protezione Internazionale, seguito da Elisabetta Zevola dell’UNHCR, che si è occupata della creazione del Centro Polifunzionale Comune del Comune di Napoli: un luogo unico come punto di riferimento per tutti i servizi per l’integrazione.
A concludere, la prof.ssa Giuliana Di Fiore, docente di Diritto dell’ambiente e della Clinica legale ambientale, che ha collaborato nell’ambito di un progetto di educazione ambientale che ha coinvolto i bambini rom e non dell’area di Scampia, all’insegna dell’inclusione.
Giulia Cioffi
Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli
Ateneapoli – n. 2 – 2025 – Pagina 22