Cosa succede sotto i Campi Flegrei?

Sciami sismici scuotono la città partenopea e dai primi anni 2000 si è registrata un’intensificazione dell’attività del bradisismo di Pozzuoli e della vicina Solfatara. Segnali che hanno contribuito ad alimentare i timori della popolazione, perché l’area flegrea ospita quello che viene definito un ‘supervulcano’, composto da decine di crateri, non sempre facili da individuare, che aggettano sulla caldera. Ma qual è il rischio reale? Lo ha spiegato il prof. Roberto Moretti, docente di Geochimica e vulcanologia, nel corso del seminario ‘Il bradisismo: dalle osservazioni alle interpretazioni di cosa succede sotto i Campi Flegrei’, che si è tenuto nell’aula C2 del Dipartimento di Ingegneria lo scorso 30 ottobre.
L’imperativo è fare chiarezza perché, come afferma il docente, “molti studi non dettagliano il reale stato delle cose”. L’ultima eruzione nota dei Campi Flegrei risale al 1538 (dopo una quiescenza trimillenaria) e fu preceduta da un ‘rigonfiamento’ del suolo che in due anni arrivò a 19 metri.
L’eruzione dette origine al Monte Nuovo e distrusse il villaggio medievale di Tripergole. Oggi l’area è abitata da oltre 500mila persone e l’ipotesi di un’eruzione può davvero suscitare previsioni catastrofiche. Ma cosa si sa di certo? “Sappiamo che c’è molto magma incamerato a 8 km di profondità – spiega il docente – e che stagna a una temperatura di 1.100 gradi. Sappiamo che sotto di esso c’è un corpo cristallizzato, probabilmente magma solido. La domanda è: può cambiare? Sappiamo anche che c’è una grossa quantità di gas, CO2, che preme sulle rocce e dà origine alle scosse”. Nessuna previsione sulle tempistiche, nessuno può darle, ma il preavviso non necessariamente potrebbe essere adeguato.
Il docente ha parlato di eruzioni freatiche, che avvengono quando il magma incandescente entra in contatto con terra o acqua in superficie. Se il magma giunge alla falda acquifera, l’elevatissima temperatura porta all’evaporazione istantanea dell’acqua, con la conseguente esplosione. Un’eruzione di questo tipo è avvenuta in Nuova Zelanda nel 2019, provocando la morte di 22 persone e il ferimento di altre 25. L’isola (Whakaari/White Island) era una nota meta turistica proprio grazie alla forte attività vulcanica.
Al momento dell’esplosione, sebbene vi fossero state delle avvisaglie, non si prevedeva il pericolo di un’eruzione di quel tipo. “Tutte le eruzioni esplosive, come quella pliniana, passano per una fase freatica – continua a spiegare Moretti – L’unico motivo per cui non se ne trova traccia è perché la fase esplosiva spazza via i segni dell’eruzione freatica. Un’evenienza di questo tipo non è facile da prevedere perché le eruzioni freatiche sono caratterizzate da cambiamenti molto repentini, di conseguenza non si può garantire che vi sia tempo sufficiente per l’evacuazione di tutta la popolazione”.
L’area flegrea è continuamente monitorata, ma riguardo al rischio concreto (attualmente indicato come ‘basso’ dalla Protezione Civile) non ci sono garanzie e gli esperti si dividono. L’attività vulcanica (sollevamento del suolo) degli ultimi anni, preceduta da quella del biennio 1982-84, potrebbe ricondursi a più fattori: “Potrebbe esserci una seconda camera magmatica a poca profondità – riprende il docente – Il che costituirebbe una pessima notizia per via della prossimità con la falda acquifera. La sua presenza non sarebbe rilevabile a causa della poca quantità di magma. Un’altra ipotesi, più ottimistica, è la presenza di gas che preme verso la superficie deformandola”.
È seguita una spiegazione tecnica, ingegneristica, della composizione del suolo e dei fenomeni geofisici correlati. Una spiegazione che ha avuto lo scopo non solo di informare gli studenti presenti sulla conformazione del territorio in cui risiedono, ma anche di mostrare loro diverse prospettive di carriera. “Il mondo presenta numerosi problemi – conclude Moretti – Il compito dell’ingegnere è quello di cercare di risolverli, trovando soluzioni che abbiano come scopo il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani”.
Nicola Di Nardo
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Ateneapoli – n.18 – 2024 – Pagina 23

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