Emanuele Giordana, un giornalista che veste i panni altrui

Emanuele Giordana, un giornalista che veste i panni altrui

Giornalista, saggista, geografo esperto di conflitti, diplomato all’IsMEO, è stato ospite della cattedra di Indonesiano

Emanuele Giordana ha il volto di chi ha passato la vita intera a conoscere ‘l’altro’. Che sia l’afghano o l’indonesiano. Ha la pacatezza di chi non pensa di portare in dote nessuna verità; solo storie che spesso raccontano di sofferenze di interi popoli, di culture che l’occidentale medio reputa inferiori o totalmente prive di interesse. Per il Manifesto, per l’Atlante delle guerre del quale è Direttore, per il mook di prossima uscita Lettera 22: giornali sui quali ha impresso e continua ad imprimere uno sguardo che accantoni il pregiudizio, per avvalersi della capacità di vestire i panni altrui.

Forse proprio per questo, e soprattutto per le grandi competenze sviluppate negli anni sull’Indonesia, si è laureato in Geografia umana a Milano e diplomato all’IsMEO dove è stato docente di cultura indonesiana, che L’Orientale, grazie all’intuizione della prof.ssa Antonia Soriente, l’ha ospitato lo scorso 28 aprile a Palazzo Corigliano. Per presentare due libri e ricordare lo studioso e amico comune Guido Corradi, scomparso lo scorso anno. ‘La sfida Indonesiana. La svolta del XXI secolo tra eredità coloniale e scelte democratiche’ la prima opera, proprio a firma Corradi e Giordana. Il secondo: ‘Viaggio intorno all’Indonesia: prospettive storiche, geografiche e antropologiche’, raccolta di testi di Corradi curata da Giordana e con una prefazione proprio di Soriente.

A margine dell’incontro, assai partecipato, con la presenza pure del Rettore Roberto Tottoli e del Direttore del Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo Andrea Manzo, il giornalista ha rilasciato un’intervista ad Ateneapoli.
Cosa non può mancare nella cassetta degli attrezzi di un giornalista?Per me devono esserci una matita e un block notes. Tutto il resto sono i nostri occhi che, andando nei luoghi e non semplicemente studiandoli a tavolino, ci consentono di capire che la realtà è molto più complessa e si può vedere da diversi punti di vista. Andando nei luoghi si capisce, in parte, le persone che sono lì, che sia una guerra o una pace. Andando nei luoghi diventa inevitabile mettersi nei loro panni”.

A L’Orientale si insegnano 38 lingue, si offre una preparazione approfondita dei luoghi più remoti del mondo. Quanto è importante per chi pensa di intraprendere questo lavoro?Indubbiamente tutto questo facilita la capacità di comprensione e di immedesimazione che poi, a volte così forte, si finisce col perdonare ad alcuni Paesi cose terribili, se non altro perché si capiscono episodi che hanno portato a violazioni, violenze”.
Perché, secondo lei, è così importante raccontare aree del mondo apparentemente lontane dall’occidentale medio? Innanzitutto perché il nostro è un Paese provinciale. Oggi, quelli che una volta erano luoghi lontani in termini di spazio, sono raggiungibili con un clic; il mondo è una cosa unica ormai. Tuttavia, noi, per guardarci l’ombelico, non ci accorgiamo che il globo si muove. Soprattutto in quelle zone che io seguo da vicino, dal Mar cinese all’Indopacifico. Sono Paesi che stanno avendo uno sviluppo incredibile”.

Ci parli di Lettera22, rivista dell’omonima associazione che si appresta a pubblicare il primo numero cartaceo a giugno. “Lettera22 è innanzitutto un’associazione di giornalisti che si occupano di politica estera. Abbiamo pensato, a un certo punto, avendo lavorato per la maggior parte in quotidiani italiani, che forse avremmo potuto metter su qualcosa noi. Così è stato deciso, con un po’ di follia, di tornare alla carta con un mook, che sta a metà tra un libro e un magazine, con pochi articoli ma lunghi. Per restituire al lettore tutti i dettagli di un Paese, di una situazione; non solo delle notizie flash”.

Com’è cambiato secondo lei il giornalismo da quando lei ha iniziato? “È cambiato nel bene, nel fatto che la professione si è allargata. Non è più una consorteria alla quale si accede per cooptazione familiare. Oggi tutti possono farlo. D’altra parte, c’è meno qualità. Le imprese editoriali hanno puntato su notizie brevi, che fanno boom, potendo contare su una massa di lavoratori disposti ad essere pagati 25 euro ad articolo, e questo non va bene”.

Due curiosità per chiudere. Cosa ha trattato nel suo primo reportage e quale sarà il suo prossimo viaggio? “Quella che ha sancito l’inizio di questo lavoro è stata una cosa scritta per ‘Il diario di una settimana’, una rivista che non esiste più. Era una storia di attraversamento della frontiera tra la Repubblica Srpska e quella che ancora non era la Federazione croato-musulmana. C’erano storie di persone che vivevano la guerra senza capire perché stesse accadendo, mi colpì molto”. La meta del viaggio: “Tra pochi giorni parto per l’India, vado a vedere le zone nord-orientali, sopra il Bangladesh. Non ci sono mai stato”.
Claudio Tranchino

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