Incontro con Mattia Ferraresi del ‘Domani’ su comunicazione e politica internazionale

Incontro con Mattia Ferraresi del ‘Domani’ su comunicazione e politica internazionale

“La politica globale soffre di una sempre più limitata copertura mediatica in Italia”, sostiene Mattia Ferraresi, caporedattore del quotidiano ‘Domani’ e curatore dell’inserto di politica internazionale ‘Scenari’. Ferraresi è stato ospite (tramite streaming su Teams) al seminario ‘Comunicazione e politica internazionale’ organizzato dal Dipartimento di Scienze Umane e Sociali il 17 maggio. Un dibattito guidato dai professori Paolo Wulzer (Storia della politica internazionale) e Raffaele Nocera (Storia dell’America latina), che ha affrontato il tema delle relazioni internazionali attraverso l’ottica della comunicazione italiana. Secondo Ferraresi, la problematica principale riguarda la banalizzazione con cui vengono presentate le notizie di politica internazionale, insieme ad altri problemi strutturali come il ridimensionamento di figure editoriali di rilievo, come i corrispondenti esteri.

“Inoltre, l’accessibilità odierna alle dinamiche globali ha radicalmente cambiato il modo in cui viene veicolata l’informazione, portando ad un calo dell’emozione e dell’empatia nei confronti di persone, luoghi, situazioni e dinamiche sconosciute”.
“Oggi sottostiamo ad una forma di censura strisciante. Anche se non si può negare che l’evoluzione dei media sia stata importantissima per la conoscenza di situazioni in tempo reale. Bisogna osservare, però, che nel mondo digitalizzato, più di prima, c’è il pericolo del manicheismo. In una realtà globale così complessa, non tutti vogliono riflettere e dunque si va verso formule facilitate, sintetiche, che abbassano l’interesse delle persone. C’è bisogno di migliorare l’approccio”, sottolinea il prof. Giuseppe Cataldi, Direttore del Dipartimento, cattedra di Diritto Internazionale.

Mentre il prof. Fabio Amato, docente di Geografia, preme sulla forma di spettacolarizzazione a cui assiste, in maniera sempre più pressante, la politica internazionale: “C’è una modalità sbagliata con la quale ci relazioniamo con il mondo che ci circonda. Questo fenomeno porta a una mal interpretazione dei fatti e ad una mancanza di analisi approfondita. L’abbondanza di informazioni che riceviamo quotidianamente rende difficile distinguere tra ciò che è rilevante e ciò che non lo è”. L’esempio: la narrazione della guerra russo-ucraina. “Si parla di prediligere la quantità alla qualità. Oggi siamo in grado di elencare quanti edifici ucraini, purtroppo, sono stati colpiti dalle forze russe pur mancando un’analisi approfondita sulle radici di questa guerra”, conclude il prof. Wulzer.

Le domande degli studenti

Gli studenti del corso di Storia della politica internazionale, insieme al proprio docente, hanno poi espresso le proprie curiosità a Ferraresi, con lo scopo di conoscere meglio le dinamiche della comunicazione nel contesto nazionale.

In che modo l’opinione pubblica italiana segue le questioni di politica internazionale?
“A mio avviso gli scopi del giornalismo sono gli stessi di quelli che Cicerone aveva applicato per la retorica: docere, delectare e movere. Credo che nell’opinione pubblica italiana, in particolar modo relativamente alle questioni di politica internazionale, il movere abbia preso il sopravvento su tutti gli altri elementi, creando uno squilibrio. L’informazione italiana ha scommesso tutto sulla dimensione di suscitare una reazione immettendo il rischio di polarizzazione e divisione. Il lettore o il fruitore viene dunque trattato in questo modo alla stregua di un tifoso che non riesce a distinguere le adeguate procedure logiche, precludendosi all’obiettivo del docere, né a godere il piacere di un testo ben scritto intaccando il diletto della sana informazione”.

Il conflitto russo-ucraino sta contribuendo alla trasformazione dell’approccio comunicativo alla guerra?
“Non ritengo che il conflitto in Ucraina abbia avuto un impatto trasformativo rilevante sul fronte comunicativo, come ad esempio è avvenuto con la guerra del Vietnam, considerata la prima vera guerra televisiva. Questo perché, dopo una breve fase iniziale di invasione, il conflitto è diventato, come accennavo, un evento polarizzante, un evento da tifoserie. Inoltre, la crisi nel settore in cui opero è evidente a tutti. La narrazione di questa guerra, destinata al pubblico italiano, è stata in gran parte affidata a pattuglie di freelance poco informati e non adeguatamente tutelati, molti dei quali non parlano né russo né ucraino.
Per quanto riguarda gli aspetti più interessanti che questo conflitto ha portato, vorrei menzionare l’importanza acquisita dai giornalisti locali. Queste figure hanno una conoscenza cristallina degli eventi, proprio perché sono immersi nel contesto che raccontano. Tuttavia, questa immersione comporta la presentazione del conflitto da una prospettiva specifica, mentre ritengo che la narrazione giornalistica di temi così rilevanti richieda una certa forma di distacco”.

Per quanto riguarda la televisione italiana, ritieni che l’era berlusconiana abbia impattato, e se sì quanto, sul modo di raccontare le notizie?
“Sono convinto che l’era Berlusconi abbia avuto un impatto significativo sul panorama mediatico italiano, ma ritengo anche che non si possa considerare un fenomeno isolato. Il cambiamento comunicativo legato all’avvento della televisione commerciale è stato il risultato di una concomitanza di fattori importanti in un determinato periodo storico. Da quel momento in avanti, si è verificato un declino evidente nell’approccio alla narrazione delle notizie che si è orientata sempre più verso l’intrattenimento e un’accentuata superficialità, caratterizzata da lustrini e paillettes, dietro cui nascondere un messaggio politico subliminale. In confronto ad altri Paesi, l’Italia ha avuto forse meno fortuna e capacità di preservare spazi di nicchia, di approfondimento. Oggi è estremamente difficile ricostruire qualcosa attorno al quale restano soltanto macerie”.
Giovanna Forino

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