Direttore artistico del Master in Cinema e Televisione, si concede in una lunga intervista
Nella Torre di Comunicazione, lo spazio dove gli apprendisti sceneggiatori e registi studiano, sembra quasi nascondersi a occhi indiscreti. È un martedì qualsiasi e la lezione sta per terminare: gli allievi sono disposti a ferro di cavallo di fronte al docente, che sta spiegando cosa non va nelle sei sceneggiature scritte per esercizio. ‘Sei soggetti in cerca di produttore’ potrebbe essere il titolo di questo spaccato di quotidianità universitaria; con tanto di lieto fine, perché il produttore è stato trovato. Nientemeno che Nicola Giuliano.
Direttore artistico del Master in Cinema e Televisione e, soprattutto, produttore con Indigo Film de La Grande Bellezza (e non solo), il cui Oscar ha compiuto dieci anni poche settimane fa. Giuliano accoglie Ateneapoli al termine del corso in un’aula già predisposta per qualche ripresa – tramite camere di ultima generazione – e con poster ai muri che ricordano agli astanti l’immortalità del cinema. Da Alien a Velluto blu, da Dracula a Vertigo, finendo ovviamente con la perla di Sorrentino del 2014. Tra qualche ricordo legato alla famosa statuetta – “Servillo ci disse di non poter venire a Hollywood perché aveva una replica ad Avellino” – e qualche considerazione sull’impatto dell’intelligenza artificiale – “il cinema supera tutto, perché l’essere umano avrà sempre bisogno di raccontare storie” – il produttore confessa il suo amore per la produzione di film per i più giovani.
Partiamo proprio dalla lezione: come si sceglie un soggetto? “Ai ragazzi ho dato il compito di scrivere dei soggetti per lungometraggio. Li ho letti e analizzati con loro, simulando dunque una situazione di vita professionale. Perché è proprio così che funziona: mi arrivano dei soggetti e ne discuto con gli autori; fatto questo, se si inizia anche a immaginare e a raffigurare quello che potrebbe essere una serie o un film, si prosegue. È un meccanismo che sta tra il razionale e l’istinto. Conta anche il gusto personale”.
Dal presente al passato. Precisamente alla notte tre il 2 e il 3 marzo del 2014: ‘La Grande Bellezza’ vinceva l’Oscar come miglior film straniero… “È stata ed è ancora una roba incredibile. Paolo Sorrentino e io, con lo stesso background culturale, entrambi della borghesia media napoletana, abbiamo avuto la fortuna di far diventare un lavoro la nostra passione per il cinema. E lo abbiamo fatto insieme”.
Tutti vi ricordiamo sul palco: tu e Servillo alle spalle di Sorrentino che omaggia Maradona, Scorsese, Talking heads e Fellini. Raccontaci qualche retroscena di quella sera. “Era previsto, in caso di vittoria, che fossero solo produttore e regista a salire sul palco, ma noi eravamo in tre, perché riuscimmo a convincere Toni Servillo a venire a Hollywood. E qui ci vuole un inciso: inizialmente disse di non poter partire perché quel giorno avrebbe avuto una replica in teatro ad Avellino – è un vero stacanovista del palco. Con tutto il rispetto, gli feci notare che forse un’occasione simile non ci sarebbe ricapitata e quindi alla fine accettò, ma capii pure che la riluttanza veniva da una certa paura di volare.
Tornando a poco prima della premiazione: Paolo si avviò con la moglie Daniela sul palchetto adibito per i cinque potenziali vincitori, mentre io e Toni rimanemmo in platea. Al momento della proclamazione, partii praticamente saltando sopra una balaustra pensando ‘e chi ci ferma?’; mentre Toni faceva il giro per raggiungerci. Così ci siamo trovati tutti e tre sul palco”.
‘Il Padrino’, “capolavoro assoluto”
A proposito di film che restano nell’immaginario: ce n’è uno che ha segnato il tuo? “Ce ne sono centinaia, ma dico ‘Il Padrino’. Film totale, capolavoro assoluto. L’ho visto per la prima volta nel ’78 in un cinema a pochi metri proprio dal Suor Orsola, oggi è un garage credo. Ne rimasi folgorato; da allora l’ho rivisto una miriade di volte”.
Al Nicola docente: cosa pensi debbano portare sempre con sé i tuoi studenti per tentare di entrare in questo mondo? “Perseguire e provare a raggiungere i sogni senza porsi alibi. Ad esempio, ai miei tempi c’era il tema delle difficoltà di accesso al mondo dell’audiovisivo. Io ci sono riuscito attraverso una scuola: ho superato un concorso e ho studiato produzione. Ma le barriere erano anche economiche; per fare un lungometraggio bisognava accedere a pellicola, luci, gruppi elettrogeni, elettricisti, stampa, sviluppo ecc”.
Stai dicendo che oggi è più semplice? “Il mondo predigitale è stato superato dalla tecnologia. Nelle sale si distribuiscono film girati con un telefonino, e possono farlo tutti, montandoli con un programma gratuito. Senza dimenticare il problema della distribuzione. Quando ho iniziato io c’erano solo i festival, oggi si mette tutto in rete e, se una pellicola vale, ci si fa notare”.
E intanto le sale sono vuote e pure le piattaforme perdono colpi… “Tutto si evolve, ma non passa la necessità dell’essere umano di raccontare storie. Dalla trasmissione orale, poi la scrittura, per arrivare al teatro o al cinema, avremo sempre bisogno di storie da raccontare. Come vengano poi realizzate e diffuse fa parte del progresso dei mezzi e dell’industria”.
E come la mettiamo con Sora, l’intelligenza artificiale che crea anche i video? “Certo, gli si può chiedere di realizzare in pochi secondi un inseguimento tra due camion, magari tra qualche anno potrebbe realizzarlo con la stessa qualità di Ridley Scott. L’IA rielabora informazioni esistenti, un po’ come il cinema. Questo presunto nuovo crepaccio nel quale potrebbe schiantarsi l’industria verrà superato, come accaduto in passato”. Sul cinema in generale si sente dire spesso che nei film ci sono sempre gli stessi volti: non si punta sui talenti emergenti o non ci sono? “Ci sono attori che sono più conosciuti. Ma questo è inevitabile e accade anche nella musica – guardiamo i Rolling Stones che ancora si esibiscono. C’è pure un mercato da tener presente, che magari chiede determinati volti. Nessuno si è mai scandalizzato che Sordi, Gassman, Mastroianni facessero sei o sette film l’anno, non è quello il problema”.
In un’intervista quattro anni fa hai detto che ‘di storie per piccolo e grande schermo ce ne saranno sempre, non moriranno mai’. Ce n’è una che ancora non sei riuscito a raccontare e produrre? “Una cosa alla quale tenevo moltissimo – e che sono riuscito a fare con ‘Il ragazzo invisibile’ di Gabriele Salvatores – è un film di supereroi per bambini. La nostra industria ha bisogno di film per ragazzi e più piccoli. Proprio quel film ha superato limiti di budget – è costato quanto una sola scena di Harry Potter – attraverso la forza di un’idea, ed è entrato nell’immaginario di tanti bambini.
Credo ci sia spazio per questo: far pensare ai più piccoli che la realtà che vivono possa essere terreno fertile per creare storie che li riguardino e nelle quali riescano a specchiarsi. All’epoca abbiamo anche vinto l’oscar europeo come miglior film per ragazzi: segno che siamo riusciti a parlare davvero a tutti”.
Che pellicola è ‘Another End’ di Piero Messina, film in uscita prodotto da Indigo? “Si tratta di una pellicola che ha una sceneggiatura bella, lavorata; e pur essendo italiano gioca una partita inusuale per il nostro cinema: la creazione di un mondo distopico. È ambientato in un futuro imprecisato in cui viene sviluppata una tecnologia grazie alla quale persone morte possono rivivere nel corpo di locatori, cioè vivi che fittano il proprio corpo. Un servizio per l’elaborazione del lutto, in sostanza. Il protagonista è un uomo che non si rassegna alla perdita della compagna e ne fa uso, ma a un certo punto inizia a vedere e apprezzare il locatore, non più la proiezione della persona che aveva amato”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.05 – 2024 – Pagina 34