La visita maturata grazie ad un accordo con la School of Architecture della Chinese University. Il racconto del prof. Multari
Autunno 2019: la Chinese University di Hong Kong diventa il cuore della protesta antigovernativa che infiamma ormai da alcuni mesi la città e che è stata innescata dalla proposta di emendamento della legge sulla estradizione verso paesi con i quali Hong Kong non ha accordi in tal senso, come la Cina continentale. Gli studenti che manifestano temono che la legislazione violi la linea di demarcazione tra i sistemi legali e giuridici che era stata alla base della restituzione della ex colonia alla Cina da parte della Gran Bretagna nel 1997.
Cosa è rimasto di quelle proteste e quale clima si respira oggi nelle aule della Chinese University tra gli studenti? Ateneapoli lo ha chiesto al prof. Giovanni Multari, che insegna Progettazione architettonica urbana nel Dipartimento di Architettura e che ha soggiornato ad Hong Kong dal 15 al 21 aprile, visitando in particolare l’Ateneo tra i capisaldi della rivolta anticinese.
È stato lì nell’ambito di un accordo di collaborazione scientifica che intercorre con la School of Architecture di quella università. “Ho trovato – risponde – una situazione che è tornata alla normalità. Su questa normalità, ovviamente, possiamo discutere e porci domande.
Certamente la pandemia che sarebbe poi scoppiata di lì a qualche mese ha contribuito ad anestetizzare, per così dire, anche quella protesta che aveva infiammato l’ateneo nel 2019. Dei moti di allora non si parla in quella università o almeno nessuno ne ha parlato con me, neppure con brevi accenni, nei giorni che ho trascorso ad Hong Kong”.
Dal punto di vista dell’attività scientifica le giornate del soggiorno di Multari e del dottorando che ha vissuto con lui quella esperienza sono sfilati via tra seminari, conferenze, incontri con i docenti e con gli studenti. “Abbiamo avuto anche occasione – riferisce il prof. Multari – di partecipare ad un evento che è stato organizzato dal nostro consolato: la giornata della ricerca italiana nel mondo”. Iniziativa istituita alcuni anni fa dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca d’intesa con la Farnesina e il Ministero della Salute, in occasione del 15 aprile, anniversario della nascita di Leonardo da Vinci.
Prosegue Multari: “Sono tornato molto soddisfatto dalla visita. La School of Architecture è estremamente interessante ed ha caratura internazionale. La dirige un tedesco ed insegnano lì docenti di vari paesi. L’Università mi ha convinto molto”. Quanto alla città, sostiene: “È un luogo interessante per molti profili. I camminamenti che si muovono in quota, per esempio, e che costituiscono una città nella città. Hong Kong mi ha affascinato davvero”. Cosa è rimasto della pandemia ad Hong Kong? “Mi ha colpito la circostanza che l’utilizzo delle mascherine è ancora generalizzato. Però magari lì la mettevano tutti anche prima del Covid, non saprei”.
Quanto al famigerato clima, ecco il resoconto di Multari: “Tutto sommato sarebbe potuta andare peggio. C’è stato un solo giorno nel quale abbiamo avuto un tasso di umidità del 96%. Ci sono stati, poi, scrosci di piogge torrenziali, che peraltro mi hanno consentito di apprezzare il sistema perfetto che è stato realizzato per far defluire le acque. Non si verificano allagamenti. La vera insidia, dal punto di vista climatico, del mio soggiorno ad Hong Kong è stata l’aria condizionata. Ne fanno un uso smodato a temperature improponibili: diciotto gradi. Praticamente ti ammazza se non vai in giro con una sciarpa che ti aiuti ad evitare guai al collo ed alla gola”.
L’accordo tra il Dipartimento e la School of Architecture proseguirà con scambi di docenti e studenti, ricerche in collaborazione ed altre iniziative. “È uno dei molti tasselli – conclude Multari – di un programma di scambi internazionali che è sempre più fitto e nutrito per Architettura. Ne abbiamo in piedi davvero molti e riguardano l’Europa, il Sudamerica, l’Asia, il Nord America e l’Africa. A volte i nostri studenti sono anche i nostri ambasciatori. Partecipano a scambi e progetti, magari limitati a pochi giorni, e poi da lì si sviluppano iniziative e rapporti di collaborazione molto più organici”.
Fabrizio Geremicca