Intervista al prof. Ugo Grassi, ex senatore, docente di Diritto Civile all’Università Parthenope, su un tema di forte attualità
“In linea di massima possiamo considerare l’autonomia differenziata come un tentativo di porre rimedio alla palese differenza circa la qualità dei servizi erogati dalle Regioni sul territorio nazionale a parità di spesa pro capite”. Il prof. Ugo Grassi, Ordinario di Diritto civile all’Università Parthenope ed ex senatore (fu eletto con i Cinque Stelle e poi è passato alla Lega, ma oggi si definisce un uomo di centro ed ha aderito al partito di Toti e Quagliariello, pur scegliendo di non ricandidarsi alle ultime elezioni e di tornare a tempo pieno all’impegno di docenza e ricerca), riflette sul tema che da tempo è al centro del dibattito politico in Italia. A febbraio – come si ricorderà – il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge preparato da Roberto Calderoli. “C’è una premessa necessaria – dice il docente – ed è che i servizi pubblici in Italia, ma il tema investe anche altri Paesi del blocco occidentale, hanno da tempo un grave problema di qualità delle prestazioni erogate”. Cita un esempio relativo alla Sanità: “La Regione Veneto ha percepito oltre nove miliardi nel 2022. La Regione Campania poco meno di undici miliardi. La spesa pro capite è molto simile, ma è sotto gli occhi di tutti che la qualità dei servizi è molto diversa. Parlo da cittadino che per ragioni personali si è trovato ad avere bisogno del Servizio sanitario nazionale. La prestazione finale in alcuni settori è veramente sconfortante. In alcuni casi i tagli lineari della Regione Campania hanno determinato la chiusura di interi reparti, che non sono più disponibili per il cittadino per alcuni territori. All’ospedale Moscati di Avellino, per citare un esempio, sono stati chiusi interi reparti per il pensionamento dei direttori”. Il problema della qualità dei servizi non nasce ora, peraltro: “Alla fine degli anni Settanta, una relazione di Massimo Severo Giannini sullo stato della pubblica amministrazione proponeva di iniettare nel pubblico i criteri organizzativi dei settori privatistici. Non ha funzionato perché la pubblica amministrazione ha sviluppato procedimenti di controllo di qualità autoreferenziali. Penso ai documenti dei dirigenti per certificare il raggiungimento degli obiettivi che sono affidati ad un certo comparto della pubblica amministrazione. Spesso sono dichiarazioni solo sulla carta perché se lavori con un gruppo del quale non sei soddisfatto non puoi scrivere che gli obiettivi non sono stati raggiunti. Se lo legherebbero al dito e dal giorno seguente il dirigente non potrebbe più lavorare con quelle persone. Sono, dunque, tutti sempre bravi. Inoltre le procedure di autovalutazione sono assurde, una contraddizione in termini”. Rispetto a questo stato delle cose, sostiene il prof. Grassi, “il regionalismo differenziato si basa sull’idea di creare una sorta di competizione tra le pubbliche amministrazioni. L’idea è semplice: il primo passo – e questo è ben chiarito dal disegno di legge Calderoli – è dare vita ad una commissione incaricata di preparare i Lep. I quali non sono dissimili dai Lea, i livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario. Il secondo passo è stabilire quali siano i costi standard, anche per superare l’assurdo criterio della spesa storica. Il meccanismo presuppone l’individuazione di Lep e costi standard. Le Regioni che chiedono la devoluzione di certe materie possono, poi, trattenere una somma originata dal gettito fiscale da esse originato pari al prodotto tra Lep e costi standard. Invece di trasferire allo Stato tutti o alcuni tributi, trattengono il gettito fiscale fino a copertura di quello che serve per raggiungere i livelli essenziali di prestazione”. Pausa, poi riprende il filo del ragionamento: “Fino a qui non ci sarebbe allarme. Si tratta di evitare di far trasferire dalla Regione allo Stato risorse per poi riportarle indietro per realizzare servizi pubblici. Il meccanismo prevede anche che se una Regione raggiunge i livelli essenziali di prestazione e spende meno del previsto dai costi standard ha diritto a trattenere la differenza. Un modo per spingere la pubblica amministrazione ad una gestione efficiente. Se poi una Regione ha un gettito fiscale interno insufficiente a coprire i Lep, ha diritto ad attingere al fondo di perequazione. Parliamo di una regione che spende bene, ma magari è piccola o depressa per cui ha un gettito fiscale insufficiente”. Ma che succede se non è virtuosa, è sprecona, spende male e di più per raggiungere i Lep? “Questo aspetto va chiarito perché se permettiamo di attingere comunque ai fondi di perequazione, vanifichiamo l’aspetto competitivo e di efficienza. Qui c’è un aspetto ancora non chiarito”. Ricorda: “Io a suo tempo proposi non di penalizzare i cittadini e neppure di attingere comunque alla perequazione senza limiti, come auspicavano altri, ma di consentirlo solo per un anno ed in via straordinaria. Proponevo, poi, di far decadere tutti i funzionari e dirigenti di nomina politica competenti per il settore non virtuoso. L’idea era piaciuta ai ministri ai quali l’avevo proposta e colpirebbe il malcostume pervicace dei politici locali di scegliere per fedeltà e non per merito. In sostituzione dei dirigenti decaduti potrebbero essere nominati commissari. Magari anche con la collaborazione dei dirigenti delle Regioni più efficienti. Questo favorirebbe anche un trasferimento di competenze”.
“I criteri non devono essere cervellotici”
Quali sono, secondo il prof. Grassi, i pericoli concreti del progetto di autonomia differenziata? “Staremo a vedere se i Lep saranno stabiliti in via astratta e teorica o tenendo conto delle risorse disponibili su tutto il territorio nazionale. Rischiamo di stabilire un livello di Lep così alto da non poter avere poi il fondo di perequazione per le regioni. Questo è un territorio inesplorato affidato alla commissione che preparerà una relazione, alla quale seguiranno un decreto e poi il parere del Parlamento. Il punto è che questi temi affidati a tecnici e burocrati sfuggono a qualunque controllo. I criteri devono essere di buon senso e non devono essere cervellotici ed esoterici. Devono essere comprensibili da parte di chi non ha alte specializzazioni in Statistica o Economia o Ingegneria, perché, se così non è, sfuggono alla comprensione del cittadino e al controllo dell’elettore. Se l’elettore non capisce nulla, il tema è reso inconoscibile, salta il sistema della democrazia”. Fa una divagazione: “Quanto accaduto all’Università insegna. È sotto il controllo dell’Anvur che decide l’erogazione dei fondi all’esito di procedimenti di valutazione esoterici ed inconoscibili, se non a pochi esperti”. Ritorna all’autonomia differenziata. “Altro elemento di criticità è il rischio che su singole materie le Regioni possano compiere scelte che penalizzano il resto del Paese”. Un esempio? “In relazione ai trasporti in linea teorica una Regione potrebbe stabilire che alcune tratte non servano alcune zone del paese e potrebbero farlo nell’ottica di una concorrenza sul versante del turismo. Si tratterà poi di vedere e di capire se la singola intesa che sarà siglata tra una certa Regione e lo Stato (il ddl stabilisce che duri dieci anni, n.d.r.) sia equilibrata e possa essere corretta. Il disegno di legge fa riferimento a principi di solidarietà del territorio ed il titolo Quinto della Costituzione non è certamente avulso dal resto della Carta fondamentale. Lo ricordo perché, qualora certe scelte possano contrastare con i principi enunciati dalla Costituzione e se si tratta di atti sindacabili dalla Corte Costituzionale, essa potrebbe censurare e annullare quelle leggi e quelle scelte idonee a produrre quel tipo di squilibrio”.
In sintesi ed a completamento del suo articolato ragionamento, Grassi commenta: “L’idea non è male. Lo spunto di base è ragionevole, ma la mia paura è che l’attuazione sia fatta in maniera così tecnica e sleale da introdurre squilibri. Oggi il sistema non è efficiente, ci sono squilibri evidenti, ma facciamo attenzione che la cura che andiamo a sperimentare non sia peggiore del male che vogliamo curare. Ho stima per Calderoli, uomo equilibrato il quale per età ed esperienza credo sia animato da buona fede. Lo reputo una persona leale. Il problema è che altri ben più occulti potrebbero agire nell’ombra e sviluppare criteri di Lep e costi standard lesivi delle regioni più disagiate. Mi riferisco a coloro i quali nei ministeri scrivono i provvedimenti. Funzionari ministeriali, tecnici che non sono scelti sulla base di un criterio politico in senso stretto e non hanno responsabilità politica verso il cittadino”.
Resta una domanda più personale: è dispiaciuto il prof. Grassi di avere abbandonato il Parlamento e gli uffici romani? “Ho la fortuna – risponde – di svolgere un lavoro che amo, mi dà soddisfazioni ed è pure ben pagato. La gente pensa che essere parlamentare sia fantastico, ma io francamente mi trovo molto bene anche nei panni di docente universitario che sono tornato ad indossare. È stata una esperienza importante quella romana, sebbene non priva di delusioni, ma guardo avanti e sono contento così”.
Fabrizio Geremicca