In un articolo di Caterina Fazion, pubblicato sul sito della Fondazione Umberto Veronesi due anni fa, si citava una rilevazione condotta nel 2022 dal Cnr, che si chiama Espad Italia, secondo la quale il 23,7% degli studenti italiani avrebbe consumato cannabis almeno una volta nella vita, il 17,7% nell’ultimo anno ed il 10,2% nel mese antecedente alla rilevazione.
Circa un terzo della popolazione italiana tra 15 e 64 anni, secondo un’indagine di alcuni anni fa dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Dipendenze, ha fatto uso almeno una volta nella sua vita di cannabis. Della quale, però, esiste anche un uso terapeutico. Ne parla ad Ateneapoli il prof. Livio Luongo, docente di Farmacologia presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università Vanvitelli. Lavora nel gruppo di ricerca coordinato dal prof. Sabatino Maione.
Quando per la prima volta si è pensato ad un possibile uso terapeutico della cannabis?
“L’utilizzo terapeutico della cannabis risale al 2700 a.C. e la sostanza era presente in uno dei primi intrugli impiegati a scopo anestetico. Più recentemente, tra i primi ad utilizzarla a scopo terapeutico ci furono alcuni medici britannici, tra i quali W.B. O’Shaughnessy, un irlandese che trascorse del tempo in India. Nel nostro Paese tra i primi ambulatori a somministrare cannabis a scopo medicamentoso fu a Napoli il prof. Raffaele Valieri presso l’antico Ospedale degli Incurabili. I primi preparati standardizzati risalgono alle mani esperte di Carlo Erba, noto farmacista che operava a Milano”.
Per quali patologie oggi è previsto un uso della cannabis?
“Dal 2006 i medici italiani possono prescrivere cannabis, ma la regolamentazione ministeriale risale al 2015 (decreto ministeriale del 9/11/2015 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30/11/2015). In essa la cannabis viene indicata per analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali, per analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rilevato inefficace, per contrastare nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per hiv, se non lo si può ottenere con trattamenti tradizionali.
Ancora, è prevista con effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali, per la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamento standard, nella terapia contro il dolore ove sia ritenuto indispensabile.
La cannabis non viene considerata dalla legislazione sanitaria italiana una terapia di prima scelta, ma un trattamento sintomatico di supporto alle terapie standard, quando queste abbiano prodotto poco o nullo sollievo. Una cosa importante da sottolineare è che per queste patologie la terapia a base di cannabis è rimborsabile dal Sistema sanitario regionale, sia pure con qualche differenza tra regione e regione.
Viene redatto un piano terapeutico, il paziente lo consegna al proprio medico di medicina generale, che lo trascrive su una ricetta-modulo riportante la sua intestazione che va timbrata e firmata. Alcune regioni hanno da poco tempo allargato ai medici di base la possibilità di essere accreditati alla prescrizione di cannabis terapeutica con rimborso, soprattutto allo scopo di facilitare la ripetizione di piani terapeutici in pazienti cronici e non deambulabili. Ogni medico iscritto all’albo dei medici-chirurghi può tuttavia prescrivere cannabis a carico del paziente”.
In quali casi è controindicata?
“Nell’adolescenza, negli individui con disturbi cardio-polmonari (ipotensione, tachicardia), nei casi di possibile peggioramento della steatosi epatica, in soggetti con disturbi psichiatrici e con una precedente storia di tossicodipendenza, in donne che pianificano una gravidanza”.
Perché non si usano a scopo terapeutico solo i prodotti con il CBD, il cannabidiolo, che non ha effetti psicotropi, al posto di quelli che contengono anche il THC, che invece li ha?
“Ancora oggi si confonde la cannabis light contenente solo il cannabidiolo, con la cannabis terapeutica. Il cannabidiolo (CBD) è un utile componente della cannabis (fitocannabinoide) ed è stato licenziato dagli enti regolatori per due sindromi epilettiche farmaco-resistenti in età pediatrica.
Per le altre patologie, incluso il dolore ma anche l’emesi e l’anoressia, la stimolazione dei recettori CB1 del sistema endocannabinoide sembra essere importante. Nella cannabis solo il THC stimola questi recettori, che sono poi gli stessi responsabili dell’effetto psicotropo per cui la cannabis è utilizzata a scopo ricreazionale. Questo è il motivo per cui in terapia si usano varietà di cannabis che contengono diverse percentuali di THC e CBD, che sono i soli due composti titolati nelle preparazioni”.
Come agisce
Da dove proviene la cannabis utilizzata in Italia a scopo terapeutico?
“Per i primi tempi si importavano le infiorescenze dall’azienda olandese Bedrocan. Le infiorescenze derivano da diverse varietà di cannabis coltivata indoor (cioè non all’aperto nel terreno ma in apposite serre). Le diverse varietà differiscono in concentrazione dei due principi attivi titolati THC e CBD. In Italia la cannabis medicinale è coltivata presso lo stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, dove sono prodotte due varietà. Le infiorescenze arrivano in farmacia dove vengono manipolate al fine di ottenere le opportune forme farmaceutiche, tra cui la più utilizzata è l’olio.
A partire dal settembre 2023 esistono degli estratti standardizzati e stabilizzati a diverse concentrazioni di THC e di CBD. Questo in parte riduce la variabilità dovuta alle estrazioni operate nelle diverse farmacie con diversi macchinari e diverse metodiche di estrazione”.
Come agisce la cannabis, a quali recettori del nostro cervello si lega?
“La cannabis in realtà contiene moltissimi principi attivi che hanno una farmacologia diversa gli uni dagli altri. Tuttavia, quando pensiamo agli effetti che dà la cannabis, anche quella utilizzata a scopo ricreazionale, stiamo in realtà osservando gli effetti del THC sui recettori dei cannabinoidi e, in particolare per gli effetti psicotropi, stiamo stimolando i recettori CB1.
Nel nostro organismo, così come in quasi tutte le specie viventi, esistono infatti due recettori del sistema cannabinoide denominati CB1 e CB2. Questi due recettori sono entrambi inibitori, ossia quando sono stimolati riducono l’eccitabilità delle cellule. Sono molto simili strutturalmente ma la loro localizzazione nell’organismo è diversa.
In particolare il recettore CB1 è molto espresso nel sistema nervoso centrale ed è quello a cui sono ascrivibili gli effetti psicotropi della cannabis. Si trova infatti in aree come lo striato (dove controlla il movimento), l’ippocampo (dove ha effetti sulla memoria), nell’ipotalamo (dove la sua stimolazione incrementa l’appetito e riduce la temperatura corporea). Il recettore CB2 invece è molto espresso dalle cellule del sistema immunitario e anche dalle cellule del sistema immunitario residenti nel sistema nervoso che si chiamano microglia”.
Esistono sostanze naturalmente prodotte dal nostro corpo con effetti simili alla cannabis ed in quali circostanze le produciamo?
“Sì, il sistema endocannabinoide è costituito non solo dai recettori ma anche da alcune sostanze endogene di natura lipidica (grassi) che vengono prodotti a partire dalle membrane delle cellule. Questi composti si chiamano N-arachidonoiletanolamide, nota anche con il nome di anandamide, e 2-arachidonoilglicerolo. Possono essere prodotti in diverse condizioni e nel cervello hanno un importante ruolo in molti processi legati allo sviluppo cerebrale, all’umore, alla regolazione del dolore e tanto altro ancora”.
Uso voluttuario, danni per gli adolescenti utilizzatori abituali
Quali rischi comporta per il cervello e per il corpo in generale l’uso abituale voluttuario della cannabis? C’è differenza tra marijuana e hashish in termini di principi attivi?
“Il nostro cervello termina il suo completo processo di maturazione intorno ai 25 anni. La continua stimolazione massiva dei recettori CB1, coinvolti in diversi fenomeni di plasticità neuronale, in queste fasce di età può provocare danni a lungo termine a strutture importanti del cervello come l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Va detto anche che è cambiata la concentrazione del principio attivo psicotropo nella cannabis. Le preparazioni maggiormente utilizzate derivanti da essa sono la marijuana (in gergo erba) o l’hashish (sarebbe la resina concentrata ‘fumo’).
Generalmente nella marijuana il THC è meno concentrato rispetto all’hashish. Tuttavia, oggi si assiste a varietà di cannabis che contengono quantitativi molto elevati di THC. Negli anni ’70 la marijuana conteneva un 4-5% di THC, oggi parliamo di varietà che raggiungono o superano il 30%. Sebbene ci siano delle variabilità dovute alla genetica, oggi esistono varietà di cannabis come la Godfather e altre che raggiungono il 34% di THC. Dalla letteratura scientifica emerge che in una sigaretta di cannabis, comunemente denominata ‘spinello’, siano presenti in media circa 0.3 grammi di infiorescenze quindi circa 10 milligrammi di THC in una singola sigaretta rispetto ai circa 1,5 milligrammi della cannabis che veniva utilizzata qualche anno fa. Stiamo parlando quindi di dosaggi circa dieci volte superiori.
La cannabis è classificata come una droga dispercettiva deprimente e con questi dosaggi così elevati di THC soggetti geneticamente predisposti possono slatentizzare delle psicosi e eventi di allucinazione. Purtroppo è quello che si osserva con gli utilizzatori abituali adolescenziali di cannabis”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 8 – 2025 – Pagina 8-9