“La cucina unisce ed affratella popoli divisi da guerre e inimicizie”

Ad Architettura della Federico II una iniziativa con ActionAid. Gli studenti di Design per la Comunità hanno progettato postazioni, stand e contenitori attraverso i quali proporre alcuni piatti tradizionali nelle fiere del cibo etnico e come street food

Un centinaio di studenti del Corso di Laurea Triennale in Design per la Comunità hanno progettato stand e contenitori per 12 ricette culinarie che identificano diverse culture e vari Paesi: Sri Lanka, Pakistan, Iraq, comunità dei popoli slavi, Messico e Benin. Il progetto è nato in collaborazione con ActionAid International Italia E.T.S. Napoli nell’ambito del Laboratorio di Design dell’interazione condotto dai professori Erminia Attaianese, Ivo Caruso, Paola De Joanna, Carla Langella. Tutor: Camilla Amato, Daniele De Pascale, Giovanna Nichilò, Iole Sarno. Referenti per ActionAid Napoli: Michela Forgione, Daniela Capalbo, Yury Borghetto, Marta Peperna. “Tutto è partito – racconta la prof.ssa Langella – dagli incontri che gli studenti hanno avuto con le diverse comunità. Nel primo sono state presentate un paio di ricette rappresentative per ciascun Paese”.
Solo per citarne alcune: il pozol e il tacos del Messico; l’insalata russa; il watalappan e il kiribath, pietanze tipiche dello Sri Lanka; i dolma iracheni; il chicken biryani pakistano insieme al tè speziato masala chai; il coco del Benin. “Ce le hanno raccontate secondo un format orientato al progetto ed abbiamo chiesto loro di soffermarsi sugli aspetti iconografici, sugli ingredienti, sui legami con i paesaggi, sul valore culturale per quella comunità.
È stato interessante notare che ricette antiche e povere si sono rivelate benefiche dal punto di vista nutrizionale ed in linea con le attuali tendenze del mangiare sano. Abbiamo verificato, inoltre, che la cucina unisce ed affratella popoli che oggi sono purtroppo divisi da guerre e inimicizie, per esempio quelli dell’area slava”. Dai racconti dei rappresentanti delle comunità, prosegue la prof.ssa Langella, “hanno preso forma i progetti di postazioni, stand e contenitori attraverso i quali proporre quei piatti tradizionali nelle fiere del cibo etnico e come street food”.

I progetti sono stati condivisi con le comunità

Le bozze dei progetti sono state discusse con i rappresentanti delle comunità, i quali hanno proposto talora modifiche, hanno suggerito aggiustamenti ed adattamenti. “Per dirla in altri termini – sottolinea la docente – i progetti sono stati condivisi con coloro i quali sarebbero stati i fruitori delle produzioni di design che gli studenti si apprestavano a realizzare. L’ascolto delle comunità alle quali ci si rivolge e per le quali si progetta è essenziale, direi anzi che è esso stesso parte del progetto”.
Gli esponenti della comunità slava, per esempio, hanno riferito agli studenti che avrebbero voluto che la postazione per l’insalata russa fosse legata alla bicicletta e la stessa ricetta è stata affrontata da due gruppi: uno ha progettato uno stand che si monta su una bici e un altro uno stand con una ruota. Dopo questa tappa intermedia, si è passati alla fase di progettazione finale e lì ragazze e ragazzi hanno dato sfoggio di creatività e fantasia, senza mai, però, allontanarsi dall’obiettivo, che era quello di creare oggetti ed utensili destinati a facilitare la vendita e la proposta al pubblico dei piatti tradizionali delle varie comunità. “Abbiamo inoltre chiesto loro – ricorda Langella – di adottare soluzioni economiche, tali da rendere possibile ai rappresentanti delle comunità di replicare i progetti e servirsene”.
C’è stato anche chi si è spinto ad immaginare un modo per proporre le ricette tradizionali nei negozi e nei supermercati. Il tè pachistano, per esempio, sotto forma di palline liofilizzate e inserite in contenitori impreziositi da immagini che richiamano a quella cultura e che potrebbero essere sciolte in acqua bollente. Un altro gruppo ha chiesto ad un artigiano del centro storico di Napoli di intrecciare il legno di castagno per realizzare un cesto-zaino dotato di supporti che rendano possibile la trasformazione in uno stand. Obiettivo: vendere in strada i tacos, conservandone però a lungo fragranza e calore. “Il progetto – prosegue la prof.ssa Langella – è durato un anno, ma gli studenti sono stati coinvolti da settembre del 2024”.
I prodotti del Laboratorio sono stati esposti in una mostra che si è svolta a febbraio a Palazzo Gravina. Michela Forgione, antropologa di comunità di ActionAid, traccia un bilancio positivo della collaborazione dell’associazione con la Federico II: “In diversi incontri in aula abbiamo condiviso con oltre 100 ragazze e ragazzi la nostra esperienza con le comunità migranti sviluppate da molti anni di pratiche e programmi di inclusione lavorativa e sociale come Sweet net. Abbiamo portato un contributo di antropologia transculturale e abbiamo seguito gli studenti attraverso il coinvolgimento attivo dei leader di comunità (messicana, irachena, pakistana, beninese, bielorussa, irpina, srilankese)”.
Conclude: “Attraverso il Food Design gli studenti hanno reinterpretato la cultura legata al cibo dei diversi paesi per produrre degli artefatti pensati per il largo pubblico: oggetti di design per trasformare la vinegret (insalata russa da noi) in cibo da street food, un contenitore per le spezie ‘take away’, contenitori da asporto ispirati dall’arte azteca e tanto altro. Il Food Design come strategia sociale di incontro e condivisione, come strumento per ripensare il legame e le relazioni delle Comunità con Napoli e il suo territorio”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 4 – 2025 – Pagina 5

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