Riforma bocciata, come ad un esame. Dopo il via libera della Commissione istruzione del Senato al Disegno di legge delega che rivede le modalità di accesso ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi dentaria e Medicina Veterinaria, nel mondo dell’università si è scatenato il dibattito sulla questione – in realtà ha raggiunto il suo acme, poiché se ne discute da anni. La Ministra Bernini l’ha definito ‘un passo storico’, mentre la Crui è parsa tutt’altro che d’accordo: ‘le Facoltà non possono sostenere 60mila studenti in più’, con la Presidente Giovanna Iannantuoni che ha ricordato i ‘tagli ministeriali da 800 milioni’.
Come noto, la riforma prevede l’abolizione del numero chiuso al primo semestre, consentendo l’iscrizione aperta per tutti gli aspiranti medici senza sostenere i test d’ingresso. Ma lo sbarramento, a ben vedere, è solo posticipato: per accedere al secondo semestre, infatti, gli studenti dovranno superare una serie di esami che, in base al risultato, li classificherà con un certo punteggio nella graduatoria di merito nazionale. Stando ancora alle dichiarazioni della responsabile del dicastero, il governo farà di tutto affinché il nuovo sistema entri in vigore dal prossimo anno accademico. Questo l’iter: già approvato dalla Commissione Istruzione del Senato, il testo ora deve passare in Aula e poi alla Camera.
Discrezionalità dei docenti e differenze tra Università
Nel frattempo Ateneapoli ha sondato gli umori degli addetti ai lavori delle università campane, registrando una certa preoccupazione tra coloro che, a conti fatti, dovranno mettere mano ai piani di studio e all’organizzazione del famoso semestre aperto. E sono diversi i punti del disegno di legge che hanno suscitato più di una perplessità per il futuro. “Il numero chiuso non si può abolire – dice il prof. Giovanni Esposito, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia della Federico II – comporterebbe una recrudescenza del precariato. Ricordo ancora il primo anno in cui è stato introdotto il test, ci furono meno domande dei posti banditi, perché iscriversi a Medicina significava intraprendere un periodo lungo di formazione senza certezze lavorative. Inoltre si rischia di affidare la selezione alla discrezionalità dei docenti e di creare differenze tra università”.
Il docente si è espresso pure sul fabbisogno di 30mila camici bianchi per i prossimi sette anni, a detta della Bernini: “Chi si iscrive oggi sarà operativo tra dieci anni e secondo le proiezioni potrebbe bastare il numero di medici che stiamo già formando”. Senza contare il problema spazi, che inficerebbe sulla qualità dell’offerta: “se devo formare 3000 studenti invece di 600, devo avere aule e docenti a sufficienza per poterlo fare”.
Il problema vero sarebbero alcune Scuole di Specializzazione, non più attrattive ma fondamentali: “Medicina d’urgenza, Radioterapia, Chirurgia – addirittura in questo caso parliamo del 50% dei posti che restano vacanti. Molti preferiscono perdere un anno piuttosto che iscriversi a una di queste, gli stipendi sono da fame e si rischia di essere anche malmenati. Vanno rese più attrattive e magari si potrebbe fare in modo di rendere i medici arruolabili nei pronto soccorso già dopo sei anni, o rendere i primi due anni delle Specializzazioni comuni a tutti, per reclutare anche specialisti”.
Si “sposta in avanti il problema”
Dunque, “bisogna stare molto attenti ai decreti attuativi della riforma, per evitare il rischio che la soluzione sia peggio del problema che si sta tentando di risolvere”. Lungo la stessa scia il Coordinatore del Corso di Medicina e Chirurgia federiciano, il prof. Gerardo Nardone, che si definisce “davvero molto perplesso” per un disegno di legge che, carte alla mano, “crea difficoltà e sposta in avanti il problema: come facciamo a erogare la didattica a tutti gli studenti che potrebbero iscriversi? Dobbiamo capire come il governo intenderà applicare il tutto, ma si intravedono tante criticità”. Anche il prof. Ivan Gentile, Direttore del Dipartimento di Medicina clinica e Chirurgia, parla del numero chiuso e del test come “un male necessario, non è pensabile di accogliere così tanti studenti”.
E non solo per il limite delle aule, ma anche per “l’apprendimento sull’ammalato, nei termini di un rapporto da rispettare con i pazienti e le corsie di ospedale”. Inoltre, al docente spaventa “affidare la selezione alla discrezionalità dei professori, perché uno potrebbe essere più severo, un altro troppo largo con i voti; mi pare un criterio contestabile anche il giudicare su poche materie, magari uno studente non molto bravo in chimica potrebbe diventare un grande medico”. Con tutti i suoi limiti, il test garantirebbe maggiore oggettività “grazie alle domande a risposta multipla”.
L’analisi di Gentile si estende all’intero Sistema sanitario nazionale e al fabbisogno di camici bianchi: “i medici ci sono, ma li distribuiamo male, pochi nei pronto soccorsi e magari troppi a fare guardie mediche, che magari hanno anche un impatto relativo”. Potenziamento delle università “creando nuove possibilità formative di alta qualificazione, incrementando pure il numero di docenti, personale amministrativo, posti letto”, potrebbero essere orizzonti di cambiamento sui quali ragionare. “Non è semplice, un sistema ideale non esiste, ma bisogna proporre una riforma organica e razionale”.
“Cosa succede agli esclusi?”
Ci va giù duro anche il prof. Ludovico Docimo, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia della Vanvitelli. “Ritengo sia negativo (il disegno di legge, ndr)”. E definisce le nuove modalità “estremamente pericolose”. Per più di un motivo. “Innanzitutto, si potrebbe iscrivere al primo anno un numero di studenti notevolmente superiore rispetto agli spazi didattici necessari”. In proiezione si parlerebbe di “quattro volte il numero attuale, il che significherebbe avere quattro volte scale, aule, servizi igienici, segreterie, ascensori. È come se in uno stadio tarato per un certo numero di spettatori facessimo entrare tutti indistintamente”.
In secondo luogo, si eliminerebbe l’anonimato della prova di selezione, lasciando spazio al “personalismo del professore che giudica e che non potrà essere uguale su tutto il territorio nazionale. Come si farà a rendere identica la prova per tutti?”. Differenze che potrebbero insorgere non solo tra un docente e l’altro, “ma anche tra un Ateneo e l’altro, addirittura tra un Ateneo pubblico e uno privato, tanto nei programmi che nei criteri di valutazione. Il cittadino, libero di iscriversi dove vuole, potrebbe recarsi nell’università x dove il primo semestre è più semplice che altrove”.
Pensando poi alla situazione degli studenti, Docimo si chiede: “cosa succede agli esclusi?”. “Magari potrei essere indeciso tra Medicina e Ingegneria, e sapere di non essere entrato dopo sei mesi mi precluderebbe la possibilità in quell’anno di intraprendere percorsi diversi se non quelli attinenti all’ambito. Si perderebbe tempo, con un appesantimento economico sulle famiglie, un potenziale ritardo degli studenti che potrebbero subire anche conseguenze psicologiche. Ancora un altro caso: non riesco ad accedere al secondo semestre pur avendo superato gli esami, che farò l’anno successivo, ripeterò tutto? Potremmo arrivare ad un numero esponenziale di iscritti”.
Il Presidente chiude riflettendo sulle efficienze del sistema già esistente: “In Italia facciamo l’errore di abbattere qualcosa che presenta criticità piuttosto che migliorarla. Quest’anno è stato fatto un passo in avanti importante mettendo a disposizione degli studenti la banca dati: tutti si sono trovati nelle stesse condizioni di conoscere i quiz, e questo ha consentito a chi ha più memoria e sangue freddo di ricordarsene durante la prova, e che sicuramente potrebbe essere un medico migliore rispetto al passato”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.17 – 2024 – Pagina 4-5