“La dimensione spaziale è cruciale, poiché la forza e la rilevanza degli effetti dipende fortemente dalla distanza tra il luogo di insediamento dell’Università e l’area che ne beneficia, mentre all’aumentare della distanza si riduce l’effetto benefico”.
Questa la tesi di partenza di “Il ruolo economico delle Università Napoletane” con sottotitolo “Le Università quali agenti di sviluppo economico locale”, la relazione che la prof.ssa Maria Rosaria Carillo, docente di Economia politica alla Parthenope, ha presentato il 20 marzo al Suor Orsola Benincasa in occasione dell’incontro “Università Svelate”, durante il quale si sono confrontati il Sindaco Gaetano Manfredi e i cinque Rettori degli Atenei napoletani sul ruolo delle Università per il recupero urbanistico e sociale delle città. In sostanza, lo studio di Carillo sottolinea il ruolo di vettore di crescita che possono (e devono) svolgere le Università per il territorio in cui vivono.
“Garantiscono l’offerta di capitale umano – spiega ad Ateneapoli la docente – fattore fondamentale per lo sviluppo economico. Hanno capacità di attrarre talenti dai circuiti nazionali ed internazionali, favorendone inoltre l’integrazione. Supportano l’innovazione delle imprese effettuando trasferimento tecnologico, formano classi dirigenti che migliorano le istituzioni”.
Ma la realtà degli Atenei napoletani (e di quelli di tutto il Meridione) racconta qualcosa di diverso: infrastrutture materiali e immateriali carenti, burocrazia fitta (questo in tutto il Paese), sottofinanziamento e, di conseguenza, un’emorragia di giovani che aumenta vertiginosamente il gap con le Università del Nord, deprimendo intere aree del Paese: di questo passo “l’intera struttura demografica del Sud verrà interamente distrutta”.
Tanta burocrazia, pochi servizi
Professoressa, una delle prime criticità che affronta nella relazione è la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’. Lei afferma che, al contrario, le università dovrebbero favorire processi di brain-gain attirando studenti stranieri. Come possono riuscirci gli atenei partenopei?
“Costruendo un’offerta formativa aperta anche al mercato estero, valorizzando le peculiarità locali. Se Napoli ha una particolare specializzazione negli studi sulla Vulcanologia, sull’Aerospaziale, sul Teatro o sulla Musica – tanto per fare degli esempi, che si tratti di studi scientifici o umanistici – bisogna puntarci. Questo processo, bisogna dirlo, è già stato avviato da tante università locali. Il problema è che ci si scontra con infrastrutture materiali e immateriali carenti”.
Attualmente, a Napoli, a fronte di una popolazione di fuorisede di 33.026 studenti e studentesse, sono disponibili appena 482 posti letto in strutture pubbliche, che con il Pnrr passeranno a 665, secondo un recente report di Udu e Cgil. E, tra l’altro, pare che quelli in costruzione possano finire in gestione ai privati…
“Esattamente. Il mio messaggio è: costruire alloggi studenteschi interamente gestiti dalle Università, che dovrebbero fare rete. Ma questo non è l’unico problema. Mancano biblioteche, luoghi di incontro, aule studio, tutte strutture che favoriscono e velocizzano l’integrazione degli studenti. Siamo assolutamente carenti in questo. Guardiamo all’Inghilterra, dove hanno puntato già trent’anni fa sugli studenti stranieri aprendo le biblioteche tutto il giorno, costruendo mense e campus. Qui, al contrario, si percepisce un totale disinteresse. Non c’è potenziamento né valorizzazione, ma solo abbandono. Eppure parliamo di strutture fondamentali tanto per i fuorisede che per gli iscritti stranieri. Possiamo migliorare l’offerta quanto vogliamo, ma bisogna capire il valore enorme di queste risorse. E poi, come dicevo, c’è un problema serio anche con le infrastrutture immateriali”.
Cioè?
“Mi riferisco a tutta la burocrazia – pazzesca – che impone vincoli sempre più stringenti all’immigrazione, fatto che naturalmente coinvolge anche coloro che vogliono iscriversi alle università italiane. Perdiamo dottorandi stranieri perché impiegano mesi per avere visti e permessi di soggiorno, e noi siamo costretti a tardare il loro inserimento facendo salti mortali per trattenerli. E spesso non ci riusciamo”.
“Non ci si deve meravigliare se continuiamo a perdere studenti”
Una parte importante della sua relazione si concentra inevitabilmente anche sugli squilibri tra nord e sud, e soprattutto su un paradosso.
“Bisogna partire dal 2010, cioè dalla riforma Gelmini, i cui effetti si sono visti soprattutto tra il 2012 e il 2015. Sono stati cambiati i meccanismi di finanziamento e non è vero che più iscritti ha significato più finanziamenti, ma l’esatto opposto. Sulla base di una serie di indicatori, correlati anche al reddito medio dei territori, si sono distribuite le risorse in un totale sottofinanziamento per gli atenei meridionali e insulari. Le risorse sono passate dal sud verso il nord. Addirittura le Università del settentrione sono state sovrafinanziate. Gli effetti di tutto questo li stiamo vedendo adesso. Le Università meridionali, pur di mantenere l’offerta formativa, hanno aumentato il carico didattico dei singoli docenti e non hanno potuto né innovare tanto quelle del nord, né ottenere di conseguenza nuovi punti organico. Nessuno lo ha mai detto tutto questo. E non ci si deve meravigliare se abbiamo perso e continuiamo a perdere studenti, che si trasferiscono al nord. Ancora di più, perciò, ci troviamo a dover svolgere un ruolo sociale per far sì che le classi meno abbienti abbiano accesso all’istruzione universitaria – cosa che paradossalmente, con questi meccanismi, ci penalizza ancora di più perché le tasse sono un indicatore che vale molto in sede di attribuzione dell’FFO”.
Se non si riduce questo gap quali sono le prospettive per il futuro?
“Ci vuole la volontà per ridurlo, altrimenti lo spopolamento delle aree del sud continuerà in maniera accelerata. La struttura demografica verrà interamente distrutta, perché questa, in generale, risente molto della collocazione territoriale dei giovani. È stato creato un meccanismo per cui le università del nord hanno combattuto il loro inverno demografico assorbendo studenti dal sud, che si sta svuotando. Spesso si parla di lotta contro lo spopolamento delle aree interne: sono solo parole. Bisogna capire che le università, con il loro insediamento, possono incidere molto in questo senso. Se non vengono collocate in modo più diffuso sul territorio si condannano intere regioni”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 6 – 2025 – Pagina 5