Violenza giovanile: “serve un grande programma di intervento pubblico dedicato all’adolescenza, che ci sta chiamando ad un aiuto”. Assassini e vittime adolescenti o poco più: sugli episodi drammatici di cronaca delle ultime settimane la riflessione della prof.ssa Paola De Vivo

Un quindicenne del quartiere Sanità ucciso al culmine di una sparatoria tra giovanissimi, almeno 5 dei quali armati, nei vicoli tra Piazza Mercato ed il Corso Umberto, a Napoli. Un diciannovenne freddato a San Sebastiano al Vesuvio da un diciassettenne per una banale lite. Sono gli ultimi due episodi di una cronaca nera purtroppo lunga. Assassini e vittime sono adolescenti o poco più. I motivi del crimine, ammesso che possano esserci motivi per sparare ed uccidere, sono talmente futili da lasciare increduli.
Lascia stupefatti, poi, la facilità con cui questi ragazzi si procurano le armi e la noncuranza con la quale le portano con sé anche solo per trascorrere una serata con i coetanei. “I fenomeni di disagio minorile e di bullismo, fino ad arrivare alla criminalità – commenta la prof.ssa Paola De Vivo, sociologa, Coordinatrice del Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale e che a gennaio entrerà in carica come Direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche della Federico II – derivano da elementi di sistema. Ho l’impressione che ci sia stata una deresponsabilizzazione delle famiglie e delle istituzioni scolastiche.
Se un ragazzino gira con le armi e nessun familiare se ne accorge i casi sono due: o la famiglia va in quella medesima direzione o non riesce a seguire il figlio nell’educazione e nella formazione”. Quanto alla scuola, riflette la docente, “tra riforme, tagli finanziari, decadenza del ruolo degli insegnanti, fa quel che può, ma spesso non basta”.
Ci si chiede però anche se gli assistenti sociali siano numericamente adeguati e culturalmente attrezzati ad affrontare la sfida e ad evitare che da situazioni di disagio ed insofferenza si approdi ad episodi di conclamata criminalità. “È ovvio – risponde la prof.ssa De Vivo – che non sono sufficienti. Forse con il Pnrr riusciremo ad avere più risorse per assumerne altri, ma è chiaro che a fronte di fenomeni così preoccupanti e radicati di bullismo e disagio giovanile servirebbero più assistenti sociali e sempre meglio formati. Dal punto di vista qualitativo stiamo compiendo uno sforzo per proporre percorsi sempre più adeguati alle necessità, che prevedano materie sociologiche, psicologiche e relazionali, e giuridiche.
Come Corso di Laurea, inoltre, eroghiamo formazione continua a chi è già inserito nella professione. Cerchiamo di fare il nostro, insomma, ma va pur detto che senza un progetto complessivo che coinvolga diversi attori – scuole, famiglie, istituzioni, associazioni, parrocchie – non ci sono assistenti sociali che bastino”. Argomenta: “In alcune situazioni il problema è la scarsa istruzione e devi andare avanti con un certo percorso. In altre va portata avanti una sorta di educazione alla genitorialità e alla cura, allora va fatto un percorso insieme ai genitori, perché non è possibile che nessuno si accorga che il figlio adolescente va in giro alle tre di notte e magari è pure armato o esagera nel bere oppure consuma stupefacenti. Oltre agli assistenti sociali servono educatori, psicologi. Bisogna che i ragazzi siano seguiti da gruppi di lavoro multidisciplinari”.

“Nelle competizioni del quotidiano dimentichiamo le basi della vita”

La docente è particolarmente impressionata da quello che è accaduto a San Sebastiano al Vesuvio anche alla luce di un’esperienza personale. Racconta: “Ora vivo a Pomigliano, ma fino a qualche anno fa risiedevo a Casalnuovo. Simone Frascogna, il ragazzo che fu accoltellato a morte perché aveva provato a difendere un amico, era conosciuto pure da mio figlio. Frequentavano la stessa palestra. Lui era cresciuto in una famiglia laboriosa, senza ombra di criminalità. Di fronte al palazzo dove abitava Simone c’è una lapide con una dedica che lo ricorda. Una vita stroncata per una banalissima lite, una cosa completamente insensata”.
Va avanti la docente: “Un tema è certamente quello della rabbia e dell’incapacità di gestirla da parte di tanti ragazzi. Si agisce sulla base di un meccanismo stimolo-risposta e non si riflette sulle conseguenze dei propri gesti. È come se ci fosse un distacco, una incapacità di leggere la realtà per quella che è, nella sua concretezza e non nella sua rappresentazione virtuale tramite i social. Da questo discende anche la scarsa o nulla capacità di essere empatici, di immedesimarsi nel dolore degli altri.
La mancanza di empatia porta a commettere azioni – senza arrivare all’omicidio, pensiamo ai vari episodi di bullismo filmati e poi pubblicati in rete – senza che chi le compie provi anche solo per un attimo a mettersi dall’altra parte, ad entrare nella testa e nel cuore di chi è vittima. Secondo la direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche “serve un grande programma di intervento pubblico dedicato all’adolescenza, che ci sta chiamando ad un aiuto. Non solo in Campania, perché sta accadendo in tutta Italia. Bisogna che si insegni la cura: degli affetti, delle relazioni e del disagio quando ci sta. Nelle competizioni del quotidiano dimentichiamo le basi della vita”.
È un tema, quello del disagio dei ragazzi, che investe anche quelli che frequentano le Università. I nostri studenti – testimonia la prof.ssa De Vivo – sono ansiosi ed angosciati per il futuro. Cercano punti di riferimento autentici e raramente li trovano. Spesso sono impauriti, si aspettano poco dal futuro. È una situazione dolorosa e preoccupante, che come docente mi provoca grande sofferenza. Noi adulti dovremmo interrogarci seriamente sul modello sociale che abbiamo contribuito a costruire”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n.18 – 2024 – Pagina 5

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