Riutilizzo dei beni confiscati, il modello italiano fa scuola a Bruxelles

Alla riunione belga il prof. Michele Mosca di Scienze Politiche

Il modello Italia, in materia di riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, sbarca in Belgio. Lo scorso 16 novembre, ad Anderlecht, si è discusso di una proposta di legge, la Loi CrimOrg, che il Partito Socialista vorrebbe portare nella Camera dei Rappresentanti per regolamentare la restituzione alla collettività delle ricchezze e dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali. Per suffragare l’importanza di un tale strumento e dei possibili risultati, ospiti, accanto ad Ahmed Laaouej, deputato socialista, il prof. Michele Mosca, docente di Politica Economica al Dipartimento di Scienze Politiche, che, in rappresentanza della Federico II e dell’intero Paese, ha raccontato dell’esperienza italiana con l’applicazione della legge 109/96 (poi incorporata nel dlgs 159/2011, cosiddetto Codice Penale), e Fabrice Rizzoli, presidente e fondatore di Crim’HALT, organizzazione transalpina che dà battaglia alla corruzione. Il dibattito è stato animato anche dalla presenza di diversi politici europei, testimonianza diretta di quanto sia esteso e delicato il problema. Raggiunto da Ateneapoli, il prof. Mosca, che nove anni fa ha sostenuto la nascita a Bruxelles di Cultura Contro Camorra, un’associazione di stampo europeista in lotta contro le mafie tramite il riuso sociale dei beni sottratti, ha raccontato i punti salienti dell’evento. “La giornata, che si è suddivisa in tre momenti, aveva lo scopo di promuovere una riflessione su come contrastare le organizzazioni criminali a livello internazionale, per sensibilizzare le coscienze di governi e politici sul tema, a partire dal modello italiano. Se alle politiche repressive si aggiungono quelle preventive, allora la criminalità può essere indebolita, addirittura sconfitta con un’ambizione forte. L’utilizzo sociale di un bene confiscato, in tal senso, può produrre un’economia alternativa a quella criminale”. A quanto pare, dopo un periodo di latenza, i riflettori sul fenomeno, in Belgio, sono tornati ad accendersi. “Generalmente, si pensa che quello delle mafie sia un problema solo italiano. Sono anni che noi affermiamo il contrario. Molti erano convinti che il fenomeno criminale, in territorio belga, si esaurisse con la vendita di sostanze stupefacenti. Adesso, tuttavia, stanno prendendo coscienza dell’estensione del problema. Io e il collega francese siamo andati lì per supportare la loro riflessione”. Già, perché pure la Francia è stata assunta come modello. Ma è un cerchio che si chiude ancora in Italia, perché “i transalpini – continua Mosca – hanno approvato una legge di contrasto un anno fa proprio seguendo l’esperienza italiana”. Perché la penisola sia arrivata in anticipo a maturare anticorpi giuridici e culturali, purtroppo, è presto detto. “Le stragi degli anni ’90 ci hanno costretto a fare i conti con la parte più cruenta delle mafie”. La giornata è cominciata con l’inaugurazione di uno spazio comune gestito da una cooperativa sociale che si occupa di inserire persone svantaggiate nel mondo del lavoro. Poi la lunga riflessione sulla scia del percorso virtuoso di Italia e Francia. Infine, la degustazione di prodotti del Bel Paese.

Claudio Tranchino

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