“La musica è un linguaggio universale, proprio come la ricerca”

Quello tra musica e scienza potrebbe apparire, a prima vista, un legame piuttosto labile. Non è così, in realtà, e lo dimostrano i non pochi esempi di ricercatori che coniugano il proprio impegno nella fisica, nella chimica, nella matematica ed in genere nelle scienze esatte, con la pratica di uno o più strumenti musicali. Alcuni di essi, che insegnano alla Federico II, hanno partecipato a metà ottobre alla quarta edizione napoletana del Festival nazionale
Piano City, la manifestazione nata da un’idea del pianista tedesco Andreas Kern che nell’ottobre 2010 ha dato vita al Festival Piano City Berlin riuscendo a coinvolgere 70 salotti e pianisti di successo internazionale. A Napoli l’edizione 2016 è stata organizzata dal Comune in collaborazione con l’Associazione Napolipiano e con la storica ditta napoletana Alberto Napolitano Pianoforti. La maratona musicale, che ha toccato ogni angolo della città con concerti, eventi, appuntamenti, ha coinvolto anche l’Università. Con il supporto degli studenti federiciani Gianluca Pagano di Medicina e Valerio Rosiello di Ingegneria, il 14 ottobre, presso lo scalone della Minerva si è svolto un happening che ha avuto come protagonisti studenti e docenti pianisti dell’Ateneo. C’erano anche il prof. Alfonso
Iadonisi, associato di Chimica organica, e Mario Merola, dottore di ricerca prima, assegnista in Fisica poi. “Mi sono Diplomato in Pianoforte al Conservatorio di Avellino nel luglio 1992, quando avevo avevo 21 anni – racconta il prof. Iadonisi, napoletano, 45 anni, docente di Chimica Organica al Corso di Laurea in Scienze Biologiche – e ben prima di laurearmi in Chimica nel luglio 1994. Una volta diplomato in pianoforte, ho continuato a suonare per puro svago,
nei momenti liberi, anche perché ero letteralmente terrorizzato dall’idea di esibirmi in pubblico. Ho concentrato maggiormente i miei sforzi verso le attività di ricerca nel campo della Chimica Organica. Di fatto, prima di partecipare a PianoCity, erano più di venti anni che non suonavo davanti ad ascoltatori estranei, ad eccezione di qualche sporadica esibizione nelle stazioni ferroviarie di Napoli e Padova, dove da qualche tempo chi voglia può utilizzare un pianoforte”. È una passione, quella per il pianoforte, che il prof. Iadonisi ha iniziato a coltivare da bambino. Ricorda: “Mia nonna aveva uno strumento in casa ed io iniziai a studiare su quello quando avevo 7-8 anni. A 13 ne avevo abbastanza e volevo lasciare, ma I genitori mi convinsero a proseguire e così ho frequentato anche il Conservatorio, diplomandomi ad Avellino. La vera passione per il piano, se devo dire la verità, è sbocciata dopo il conseguimento del diploma, a 21 anni, mentre già studiavo Chimica”. Applicazione e passione, prosegue
il prof. Iadonisi, sono le qualità che non possono mancare ad un musicista e ad un professore e ricercatore di Chimica. Gli autori preferiti? Chopin, Liszt e Beethoven. “Il pezzo che prediligo è la Ciaccona di Bach. Fu
scritta per violino e poi trascritta da Brahms per pianoforte”. Oggi Iadonisi suona, dunque, esclusivamente
per diletto. “A casa – racconta – è anche un momento per rilassarmi. La sensazione più bella, quando capita, ma non sempre succede, è di trovarmi su un altro pianeta, mentre le dita scorrono sulla tastiera del pianoforte”.
Mario Merola, trentaduenne napoletano, ha cominciato a suonare quando ne aveva otto. “La musicista di casa – racconta – era la nonna. Io ho iniziato con lei, poi ho avuto la fortuna di incontrare un grande maestro, che tuttora frequento e si chiama Antonio De Rosa”. Prosegue: “All’Università, mentre frequentavo il primo anno di Fisica alla Federico II, ho intensificato anche lo studio del pianoforte. Fisica e musica si aiutano reciprocamente e, se si trova
il modo di organizzarsi, è possibile dedicarsi ad entrambe le discipline con la medesima intensità. Ho, dunque, cominciato all’epoca anche a tenere qualche concerto”. L’attività di ricerca conduce talvolta Merola all’estero. In quelle circostanze una delle prime informazioni che chiede ai suoi colleghi è se ci sia la possibilità di trovare un pianoforte e di suonarlo. “Mi è successo per esempio al Cern di Ginevra. Ero un po’ timoroso, all’inizio, di porre il quesito, temevo di apparire strambo o troppo mesigente. Quando i colleghi mi hanno indicato un pianoforte collocato nella medesima sede dei laboratori mi sono sentito come se fossi a casa. La musica è un linguaggio
universale, proprio come la ricerca, e chi lo pratica si sente bene accolto in ogni parte del mondo, se trova altri che lo praticano come lui”. Merola ha dunque suonato in Svizzera, ma non solo lì. “Ho vissuto la stessa bella esperienza in Giappone. Mi trovavo lì per motivi di studio, precisamente nella città di Tsukubu. Ebbene, scoprii con enorme piacere che c’era una stanza con un piano, tra quei laboratori all’avanguardia”. A casa, Merola suona prevalentemente la sera, dopo il lavoro. “Cerco di farlo – dice – ogni giorno. La musica richiede un allenamento costante. Se si interrompe, si torna indietro, si perde terreno. Se, poi, devo prepararmi per qualche concerto,
compatibilmente con gli impegni universitari, mi sforzo di esercitarmi un paio di ore al mattino. Sono più fresco e riposato e mi accorgo di rendere meglio, rispetto a quando suono dopo il lavoro, la sera”.
Fabrizio Geremicca
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