“Tutto, persino l’acqua e l’aria, non è più bene comune”

Al termine della lezione, in un clima cordiale che lascia anche il tempo per la giovialità – “la prossima volta invitatemi per darmi il Dottorato Honoris Causa”, scherza l’ospite – le domande non si fanno attendere. Il mondo della produzione comincia a sentire l’esigenza della sostenibilità delle proprie attività
e della rendicontazione sociale, richieste che rivolgono anche all’università. Lo sottolinea nel suo intervento il prof. Mauro Sciarelli. “Qual è il ruolo della formazione e come gioca l’informazione, libera ma non sempre accurata, in questo sistema?”, domanda, citando Olivetti. “È giusto citare Olivetti,
lui aveva trovato una nicchia, ma la sua visione è fallita – risponde Latouche – Oggi sempre più si cerca di evitare il contatto umano, seguendo
una logica di irresponsabilità. Nel XIX secolo è stata inventata la società anonima, non più fatta di persone, ma di capitali gestiti solo per profitto da una mano invisibile. Al Re puoi tagliare la testa, ma come tagliare una mano invisibile? Dobbiamo ritrovare l’umanità dietro la macchina, non dico prendere il Palazzo d’Inverno o annientare il capitale, ma reintrodurre l’umano nell’Economic; in piccoli mercati, con piccoli capitali. Il problema dell’informazione: è monopolizzata, ma l’Universitas ha i mezzi per la controinformazione”. “La mercificazione di tutte le relazioni  e, ancora peggio, dei beni essenziali induce frustrazione e perdita di senso. Ma come si arginano i predatori? La nostra Costituzione dice che è compito della Repubblica, qual è il compito dello Stato?”, domanda il prof. Renato Briganti. “Abbiamo nostalgia dello Stato che protegge i cittadini, mentre è diventato sempre più, con la globalizzazione, uno strumento di dominio sui cittadini. La parola d’ordine è privatizzazione e scopriamo che tutto, persino l’acqua e l’aria, non è più bene comune. Si possono fare gruppi di acquisto solidale e costruire degli spazi alternativi, alternative all’incubo della globalizzazione e del fallimento dello Stato”. “La scienza è entrata oggi in una visione specialistica, quasi scientista, ma penso che sarà l’esaurimento delle materie e del petrolio a determinare una decrescita”, interviene il ricercatore di Ecologia Angelo Fierro che solleva delle obiezioni: “non è vero che l’Economia non sia un organismo, usa materia ed energia per realizzare prodotti, e non è vero che la Natura ricicla tutto, la fotosintesi ha modificato l’ambiente immettendo ossigeno, prodotto di scarto nell’aria”. Risponde il docente francese: “È necessario tornare a rispettare la Natura, ma la scienza è sempre più legata alle imprese trasnazionali. In Francia ha chiuso un Dipartimento di Biologia che studiava la vita del suolo, perché alla Monsanto interessa fare pesticidi geneticamente modificati. Mia figlia studia Biologia e trova finanziamenti per le ricerche sull’Alzheimer perché i ricchi ne soffrono, ma non per curare la bronchite cronica del padre dovuta all’inquinamento. Il problema della nostra epoca è l’illimitatezza, per fortuna resiste ancora in Cina, in Africa, nel Sud America, una saggezza diversa
che ritroviamo anche in Epicuro e Diogene, che resiste alla trappola della razionalità a tutti i costi. Sarà impossibile trasformarci totalmente in Homo economicus”. “Non tutti i mali del mondo vengono dal Marketing, anche le buone idee hanno bisogno di un veicolo. Servono ospedali, università. Anche questa è crescita, persino occupazionale, e permette alle fasce popolari il  controllo dello Stato e della sua  politica economica”, interviene il prof. Aldo Barba, docente di Politica Economica. “La domanda è ‘Quali servizi mercificare e quali no?’. Abbiamo il mito della dematerializzazione della produzione, ma abbiamo bisogno di sviluppare beni relazionali e recuperare l’amore per la conoscenza non brevettata”.
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