La forza nella debolezza. È il paradosso che il Dipartimento di Scienze Politiche ha provato a sbrogliare organizzando il 18 maggio, nella sede di via Rodinò, un convegno che ha proprio questo titolo: La forza delle lauree “deboli”. Deboli tra virgolette, perché aggettivo da utilizzare con cautela quando si parla di se stessi; e in fondo proprio circoscrivere ed individuare questa presunta debolezza è stata la missione dei numerosi docenti, alcuni provenienti da Atenei fuori regione, che si sono alternati nei tavoli messi in piedi dall’organizzazione dell’Università federiciana.
Ad accoglierli il prof. Marco Musella, Direttore del Dipartimento napoletano, che ha aperto gli interventi augurando il benvenuto a tutti i presenti: “Siamo qui per una iniziativa promossa nell’ambito dell’Osservatorio regionale sui sistemi universitari. Da un lato abbiamo coinvolto alcuni colleghi di altre università italiane, che su questo tema hanno prodotto elaborazioni che ci possono far immaginare meglio la funzione della laurea in Scienze Politiche in questo scenario economico e sociale. Dall’altro lato abbiamo invitato alcuni nostri ex-studenti, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza nel mercato del lavoro, anche per dare suggerimenti a chi è qui oggi”.
Via, allora, all’introduzione dei lavori, coordinati dal prof. Salvatore Strozza, che hanno visto come primo intervento quello del prof. Giancarlo Ragozini, a cui è spettato il compito di provare ad analizzare i dati divulgati dall’Osservatorio regionale. E per fare questo, però, ha scelto come punti di partenza articoli e pubblicità prese da giornali generalisti: “La stampa ci dice che i saldatori e gli elettricisti sono i posti più ambiti, che ‘se rinasco faccio l’artigiano’, che ci sono troppi laureati. Per cui, prima di chiedermi se è bene o no laurearsi in Scienze Politiche, mi sono chiesto se è bene laurearsi in un qualunque Corso di Laurea. Ebbene, possiamo vedere che durante la crisi, il divario tra laureati e non laureati, per quanto riguarda la disoccupazione, si è allargato, e i tassi di disoccupazione dei diplomati sono circa il doppio rispetto a quelli dei laureati”. C’è un problema mediatico, sembra suggerire il prof. Ragozini. I media veicolano l’idea, entrata quasi nel senso comune, che i laureati siano troppi. Ma è davvero così? “Analizzando i dati sull’occupabilità – ha continuato Ragozini – vediamo che la classe di Scienze Politiche ha un tasso del 67 %. Non siamo ai livelli di Ingegneria, ma è comunque un buon risultato: vuol dire che 7 studenti su 10 avranno la possibilità di trovare lavoro nel biennio successivo alla Laurea Magistrale. In generale, i laureati hanno un tasso di occupabilità del 144%, cioè c’è un fabbisogno di laureati maggiore rispetto a quello che riescono a produrre gli Atenei italiani in uscita. Questo, ovviamente, non significa che tutti i laureati italiani lavorano, perché poi intervengono diversi problemi, tra cui il matching tra profili professionali e mercato del lavoro; ma, insomma, i laureati servono”. E in questo quadro la situazione della Federico II è quella di un Ateneo tra due fuochi: “Siamo sotto la media nazionale, per quanto riguarda l’occupazione, ma ampiamente sopra se consideriamo i dati del Mezzogiorno. E in relazione al Sud Italia, abbiamo anche dei dati molto incoraggianti per quanto riguarda la questione di genere, perché da noi la differenza di occupazione tra laureati e laureate è minima”.
Ad accoglierli il prof. Marco Musella, Direttore del Dipartimento napoletano, che ha aperto gli interventi augurando il benvenuto a tutti i presenti: “Siamo qui per una iniziativa promossa nell’ambito dell’Osservatorio regionale sui sistemi universitari. Da un lato abbiamo coinvolto alcuni colleghi di altre università italiane, che su questo tema hanno prodotto elaborazioni che ci possono far immaginare meglio la funzione della laurea in Scienze Politiche in questo scenario economico e sociale. Dall’altro lato abbiamo invitato alcuni nostri ex-studenti, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza nel mercato del lavoro, anche per dare suggerimenti a chi è qui oggi”.
Via, allora, all’introduzione dei lavori, coordinati dal prof. Salvatore Strozza, che hanno visto come primo intervento quello del prof. Giancarlo Ragozini, a cui è spettato il compito di provare ad analizzare i dati divulgati dall’Osservatorio regionale. E per fare questo, però, ha scelto come punti di partenza articoli e pubblicità prese da giornali generalisti: “La stampa ci dice che i saldatori e gli elettricisti sono i posti più ambiti, che ‘se rinasco faccio l’artigiano’, che ci sono troppi laureati. Per cui, prima di chiedermi se è bene o no laurearsi in Scienze Politiche, mi sono chiesto se è bene laurearsi in un qualunque Corso di Laurea. Ebbene, possiamo vedere che durante la crisi, il divario tra laureati e non laureati, per quanto riguarda la disoccupazione, si è allargato, e i tassi di disoccupazione dei diplomati sono circa il doppio rispetto a quelli dei laureati”. C’è un problema mediatico, sembra suggerire il prof. Ragozini. I media veicolano l’idea, entrata quasi nel senso comune, che i laureati siano troppi. Ma è davvero così? “Analizzando i dati sull’occupabilità – ha continuato Ragozini – vediamo che la classe di Scienze Politiche ha un tasso del 67 %. Non siamo ai livelli di Ingegneria, ma è comunque un buon risultato: vuol dire che 7 studenti su 10 avranno la possibilità di trovare lavoro nel biennio successivo alla Laurea Magistrale. In generale, i laureati hanno un tasso di occupabilità del 144%, cioè c’è un fabbisogno di laureati maggiore rispetto a quello che riescono a produrre gli Atenei italiani in uscita. Questo, ovviamente, non significa che tutti i laureati italiani lavorano, perché poi intervengono diversi problemi, tra cui il matching tra profili professionali e mercato del lavoro; ma, insomma, i laureati servono”. E in questo quadro la situazione della Federico II è quella di un Ateneo tra due fuochi: “Siamo sotto la media nazionale, per quanto riguarda l’occupazione, ma ampiamente sopra se consideriamo i dati del Mezzogiorno. E in relazione al Sud Italia, abbiamo anche dei dati molto incoraggianti per quanto riguarda la questione di genere, perché da noi la differenza di occupazione tra laureati e laureate è minima”.
La start up di successo di un ex-studente
Questo lo stato dell’arte, il punto di partenza di tutta la discussione della giornata, da cui hanno preso le mosse i tavoli di discussione. Tre gli ambiti toccati: le opportunità nello sviluppo economico, nell’imprenditorialità e nella valorizzazione dei territori; le opportunità offerte dall’amministrazione, dagli enti e dalle autorità di regolazione; infine, l’ambito del Welfare, della cittadinanza e della sfera pubblica. Un ampio ventaglio, che solo un Corso a carattere fortemente multidisciplinare può vantare. Lo testimonia la storia di uno dei numerosi ex-studenti intervenuti, in questo caso nel primo tavolo tematico, ovvero Salvatore Fonzo, amministratore unico di Youareu: “Mi sono laureato in questa Università, nel curriculum statistico, e ho presentato durante la discussione della mia tesi il progetto di cui mi occupo adesso. Si tratta di un nuovo sistema di chiusura magnetica per capi di abbigliamento, brevettato ed unico al mondo. La multidisciplinarietà è stata fondamentale nel mio caso, perché ho avuto modo di studiare marketing, statistica, diritto. Oggi tutto il sistema si regge sulle idee e sulle startup, e a mio avviso la situazione sarà così almeno fino al 2020. Se non sarete voi i fondatori di una startup, probabilmente ne sarete i collaboratori”. È dal 2012 che Fonzo ha fondato la sua azienda, e in questi anni ha avuto l’opportunità di vivere esperienze eccezionali, andando a cercare perfino investitori in America e lanciando anche una campagna di crowdfunding internazionale: “Noi con questa semplicissima idea siamo diventati il progetto numero uno in Italia su Kickstarter, la più importante piattaforma di crowdfunding del mondo: abbiamo toccato quota 21 mila dollari”. Per cui di non sola amministrazione vive Scienze Politiche, anche perché, come è stato sottolineato più volte durante l’evento, negli anni si è assistito ad un retrocedere progressivo dello Stato nella vita pubblica, con relativa diminuzione delle opportunità lavorative. Nonostante ciò, è ancora importante formare funzionari all’altezza delle nuove sfide lanciate dalla contemporaneità, ed è inseguendo quest’ottica che ha discusso il tavolo tematico dedicato a questi temi, che ha visto anche l’intervento di ex-studenti oggi funzionari della Regione Campania. E delle nuove sfide si è parlato anche alla ripresa dei lavori, con il tavolo sul Welfare, un tema sul quale i partecipanti al dibattito hanno evidenziato le nuove frontiere e le mancanze italiane: politiche attive del lavoro, reddito di cittadinanza, costruzione del pubblico. Tutti temi sui quali si è segnalata la necessità di uno sforzo maggiore da riservare anche all’attività di ricerca.
Durante i lavori è arrivato anche il saluto del Rettore Gaetano Manfredi, che non si è limitato alle formalità istituzionali, ma ha espresso alcuni concetti fondamentali che, del resto, sono stati un po’ il leitmotiv della giornata: “Ci troviamo in una situazione molto complessa, ma che offre delle opportunità. La grande valenza del modello formativo europeo è essere sufficientemente strutturato per offrire una formazione di base, e questa è una cosa importante, perché l’avanzamento tecnologico è così rapido che le competenze specialistiche possono durare anche solamente cinque anni dopo la laurea, dopodiché vanno aggiornate. A questo si aggiunge il cambiamento del mondo del lavoro, che ha reso la capacità di adattamento uno degli strumenti fondamentali per emergere. Quindi la formazione di base è molto importante, ma, nonostante ciò, non possiamo pensare di essere conservatori. Al contrario, dobbiamo ridiscutere i nostri profili formativi all’insegna della contemporaneità. Di certo la complessità del mondo ci impone di risolvere problemi multidisciplinari: in questo le lauree ‘deboli’ sono le più equipaggiate”.
Durante i lavori è arrivato anche il saluto del Rettore Gaetano Manfredi, che non si è limitato alle formalità istituzionali, ma ha espresso alcuni concetti fondamentali che, del resto, sono stati un po’ il leitmotiv della giornata: “Ci troviamo in una situazione molto complessa, ma che offre delle opportunità. La grande valenza del modello formativo europeo è essere sufficientemente strutturato per offrire una formazione di base, e questa è una cosa importante, perché l’avanzamento tecnologico è così rapido che le competenze specialistiche possono durare anche solamente cinque anni dopo la laurea, dopodiché vanno aggiornate. A questo si aggiunge il cambiamento del mondo del lavoro, che ha reso la capacità di adattamento uno degli strumenti fondamentali per emergere. Quindi la formazione di base è molto importante, ma, nonostante ciò, non possiamo pensare di essere conservatori. Al contrario, dobbiamo ridiscutere i nostri profili formativi all’insegna della contemporaneità. Di certo la complessità del mondo ci impone di risolvere problemi multidisciplinari: in questo le lauree ‘deboli’ sono le più equipaggiate”.
Percorsi quinquennali e potenziamento delle lingue straniere
A tirare le somme del convegno, ancora il prof. Musella, accompagnato dal prof. Adalgiso Amendola, dell’Università di Salerno, e dalla prof.ssa Franca Alacevich, dell’Università di Firenze, nel ruolo istituzionale di Vice Presidente della Conferenza che unisce i Direttori dei Dipartimenti di Scienze Politiche italiani. Proprio quest’ultima ha calcato su alcuni obiettivi importanti per il futuro dell’organizzazione dei Corsi di Laurea in Scienze Politiche, come l’ideazione di percorsi quinquennali, più efficaci dal suo punto di vista a livello didattico, e anche uno sforzo “mediatico”, che vada ad intervenire sulla vulgata offerta da giornali e televisioni, che identifica Scienze Politiche come un Corso dalla scarsa efficacia. “Dal punto di vista delle lingue straniere – ha continuato la prof.ssa Alacevich – possiamo migliorare molto, perché i corsi presenti nei nostri CdL o sono abilitazioni, e quindi vengono seguiti dagli studenti con scarso impegno, oppure sono corsi in cui c’è un po’ di tutto: lingua, cultura, letteratura… Su questo si può agire. E poi bisogna aprirsi al mondo del lavoro e alle nostre professioni. Perché, diciamoci la verità, a volte noi professori di Scienze Politiche pensiamo di saperla tutta noi. Vi assicuro che una delle cose più difficili è convincere i colleghi a cambiare i crediti formativi o i programmi dei loro corsi. Questo perché il vero problema è che non riusciamo a guardare a quello che insegniamo con occhi che non siano i nostri. Su questo possiamo fare molto: proviamoci”.
Valerio Casanova
Valerio Casanova