Architettura, la parola agli studenti

Una grande passione per le materie di studio, unita alla voglia di intraprendere un mestiere affascinante, spesso non sono sufficienti a superare le innumerevoli difficoltà che gli studenti devono affrontare giorno per giorno nel percorso accademico. Materie difficili, che spesso ci si trova ad affrontare all’Università per la prima volta, senza averne alcuna conoscenza pregressa; incomprensioni con i docenti; difficoltà relative alle strutture, spesso inadeguate alle diverse esigenze degli allievi. Sono solo alcuni degli aspetti più rilevanti, legati alla condizione degli studenti della Facoltà di Architettura della Federico II. 
“Gli esami più prettamente scientifici sono senza ombra di dubbio considerati da ognuno di noi come i più ostici – ha detto Antonio S., studente all’ultimo anno in Scienze dell’Architettura – Questo non vuol dire sicuramente che le difficoltà siano le stesse per tutti. Due sono i fattori da tenere presente: il livello di preparazione che si acquisisce durante gli anni precedenti all’Università e soprattutto la capacità dei docenti nell’esporre in maniera chiara concetti già di per sé difficili da comprendere. Molti studenti che si iscrivono ad Architettura, pur sapendo che bisogna sostenere esami su materie completamente ignote, non sanno come aggirare l’ostacolo. Personalmente, non ho avuto grossi problemi. Ricordo, anzi, con piacere il prof. Ennio De Rosa, docente di Statica. A differenza di gran parte dei suoi colleghi, ha saputo spiegare e trasmettere a noi allievi gli elementi necessari per sostenere un esame così difficile”.
Scienza delle Costruzioni, Teoria delle Strutture, Statica: sono queste le ‘bestie nere’ che gli studenti dei primi anni devono sconfiggere. In molti casi si decide di rimandare quegli esami all’anno successivo, con la speranza di potere ottenere una più adeguata preparazione. “Il risultato è che bisogna fare il doppio della fatica – secondo il parere di Alessandra – Non consiglio a nessuno di fare come me. Credevo che posticipare di qualche mese l’esame di Matematica potesse darmi la possibilità di organizzare meglio lo studio, ma è stato un grave errore. Ora sono del parere che, avendo seguito i corsi e studiando giorno per giorno, si possa arrivare al primo appello con una maggiore consapevolezza della materia che si affronta. Altrimenti si rischia di rimanere fermi e compromettere il proprio percorso di studi”. 
Alcuni imputano ritardi e insuccessi anche al passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. E’ il caso, ad esempio, di Caterina e Ugo, studenti fuori corso, che si sono trovati di fronte a un’enorme confusione: “Il gruppo degli appartenenti al vecchio ordinamento, che come noi ancora deve terminare gli studi, venne denominato ‘Tabella 30’. Ci fu data la possibilità di seguire alcuni corsi scegliendo tra i diversi professori. L’unico inconveniente è che, molte volte, il docente con il quale avevamo seguito anche un anno di corso non poteva firmare le camicie d’esame per quelli della Tabella 30. In altri casi, alcuni docenti ci ponevano limitazioni di tempo per sostenere gli esami. E’ capitato di dover seguire di nuovo un corso per non essere riusciti a dare l’esame nei tempi stabiliti dal titolare dell’insegnamento”.
“Uno dei motivi che mi hanno fatto ritardare il conseguimento della laurea è sicuramente da attribuire alla carenza di strutture, specialmente in passato – ha precisato Pasquale – Fino a non molti anni fa, Palazzo Gravina era la sede unica presso la quale si tenevano i corsi e, dato il sovraffollamento delle aule, diventava davvero un  problema seguire le lezioni serenamente e con la giusta concentrazione. Adesso, con la nuova sede di via Forno Vecchio, non possiamo lamentarci”. 
Non è dello stesso parere Michele, studente dell’ultimo anno con una disabilità fisica, il quale denuncia gravi carenze: “Indubbiamente molti problemi legati alle strutture sono scomparsi. Questo non vuol dire che adesso sia tutto rose e fiori. Quando ho deciso di iscrivermi all’Università, pur avendo molta passione per l’Architettura, mi sono dovuto informare prima sulla situazione delle strutture. Dieci anni fa non esisteva neppure una rampa per raggiungere agevolmente l’ascensore dell’Università. Feci presente questo e altri problemi, che non mi avrebbero permesso di recarmi a seguire i corsi, agli organi competenti. Mi fu risposto che intanto avrei dovuto superare il test d’ingresso: secondo il loro parere, non sarebbe stato necessario fare i lavori, se uno studente diversamente abile non avesse avuto prima l’accesso alla Facoltà. Anche dopo essermi iscritto e in seguito ad innumerevoli telefonate da parte dei miei familiari, le cose sono rimaste a lungo invariate”. Con la sede di via Forno Vecchio, racconta Michele, “sicuramente qualcosa è cambiato: in apparenza tutto è in regola, ma le difficoltà che io mi trovo ad affrontare sono pressoché identiche. Ogni piano ha un bagno per disabili, ma per servirsene è necessario utilizzare una chiave, che a me non hanno dato. Il più delle volte, quindi, è impossibile reperirla e anche quando si riesce, bisogna tener presente che la carta igienica manca sempre. Più volte è stato chiesto ai dipendenti dell’impresa di pulizie il motivo e ci hanno semplicemente risposto che l’Università non ha soldi e quindi la carta non arriva”. Gli spazi studio: “il Preside aveva promesso nuovi spazi per noi studenti. I tavoli dove studiamo adesso sono stati portati nei corridoi da alcuni nostri colleghi, in quanto è impossibile pensare di studiare nelle uniche due aule studio del piano terra. I banchi sono minuscoli e non abbiamo lo spazio necessario per lavorare ai progetti”.  Manca ancora la connessione ad Internet: “credo che ormai la nostra Facoltà sia rimasta l’unica nell’Ateneo. Sappiamo che da due anni i locali sono stati predisposti per la rete wireless, ma ancora non si riesce a capire perché gli impianti non siano ancora stati messi in funzione. Inoltre, mancano prese della corrente per poter utilizzare i computer. E comunque entro le 17 di ogni giorno bisogna andare via. Non è facile pensare di studiare bene in queste condizioni. E’ come se si fosse creata un’Università parallela, in cui le regole non ci sono e bisogna crearsele a seconda delle esigenze”.     
Anna Maria Possidente 
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