Propedeuticità, appelli d’esame, laboratori. Ecco come gli studenti di Biologia che frequentano le aule di Monte Sant’Angelo valutano la propria preparazione e il proprio Corso di Studi in una serie di interviste a microfoni aperti. Antonella Mugiare, iscritta al Corso di Laurea Magistrale in Biologia della riproduzione e del differenziamento cellulare, ora che ha superato alcuni scogli pone delle domande sul percorso che ha affrontato: “sono soffisfatta del Corso, dei professori e dell’organizzazione, ma in questi anni alcune propedeuticità non mi sono state chiare. Posso capire che la Chimica Inorganica sia necessaria per la Chimica Organica, ma per Fisica, che blocca tutto il terzo anno, è inutile, non ne vedo il nesso”. Roberta Cozzolino e Mena Romano sono due studentesse del secondo anno della Laurea Magistrale in Biologia delle Produzioni Marine, tutta in inglese e in collaborazione con la Stazione Zoologica Anton Dohrn: “il nostro è un Corso interessantissimo. Siamo in pochi, collaboriamo molto fra di noi, i professori ci seguono tantissimo ed è bellissimo lavorare con l’Acquario, dove operano persone di un certo livello. Senti di stare in un contesto in cui ci tengono alla tua realizzazione. L’unico difetto della classe in formato ‘liceo’ è che ci considerano alla stregua di studenti medi per alcuni aspetti organizzativi. Ci considerano un blocco unico, però non sempre un appello d’esame fissato lo stesso giorno per tutti è davvero comodo, ciascuno ha una
propria organizzazione e nessuno di noi si dedica, come a scuola, ad un’unica attività”. Simona Barricella è
una matricola: “fino ad ora mi sono trovata benissimo, le lezioni sono interessanti, i professori sono molto preparati e disponibili, i programmi sono sostenibili, anche quello di Chimica che non finisce mai, tanto che a gennaio seguiremo ancora delle lezioni per completare tutti gli argomenti. È un po’ più pesante così, ma è anche un vantaggio perché faremo la prova intercorso e alleggeriremo un po’ il carico degli esami di fine gennaio”. Federica Esposito, Antonia Verna, Marianna Scapolatiello e Mariachiara Costagliola Di Mignovillo, studentesse Magistrali di Biologia della riproduzione e del differenziamento cellulare, hanno molto da ridire sulla disponibilità di materiale e la formazione sperimentale. “Non sappiamo dove studiare molte materie, anche se i professori ci mettono a disposizione il loro materiale e le loro dispense. Se si vuole un buon voto, occorrono libri di testo di riferimento e non tutti ci forniscono delle indicazioni in questo senso”, dicono le ragazze che stanno incontrando qualche difficoltà con il corso di Biochimica. Altro punto scottante della chiacchierata con loro è la preparazione, in qualche caso un po’ sbilanciata, con un carico didattico non sempre proporzionale ai crediti previsti e attività di laboratorio
troppo limitate, non in grado di renderle padrone delle tecniche necessarie per affrontare in maniera adeguata il mondo del lavoro: “Biochimica, per esempio, è da sette crediti. Richiede, però, almeno un anno di studio, più di uno da dodici. Alcuni corsi non sono pertinenti con il nostro curriculum, troppo generici, non abbastanza specialistici, e facciamo poca pratica. Abbiamo una buona preparazione teorica, ma poi ci chiedono di riconoscere l’immagine ripresa da un microscopio ottico, quando non ne abbiamo mai visto uno dal vivo. Sono cose che
sanno anche i docenti, l’università non mette a disposizione mezzi sufficienti e alcune attrezzature costano tanto e si utilizzano con cautela”. Silvia Buonaiuto e Maria Concetta Censullo, studentesse Magistrali al curriculum Biomolecolare, confermano quanto riferito dalle loro colleghe: “quasi nessun docente ci fornisce un testo di riferimento, studiamo dagli appunti, ma quello che interessa di più la nostra specializzazione, ossia la pratica
sperimentale in laboratorio, ne facciamo davvero troppo poca. Quando arriviamo al tirocinio di tesi, che da noi è sperimentale, siamo sempre molto titubanti a proporci per attività esterne, magari presso centri prestigiosi. Anche i docenti ci assegnano i progetti in base alla nostra esperienza che, però, è scarsa. All’estero è diverso, hanno molta manualità. Noi alcune tecniche non possiamo nemmeno utilizzarle; non ci sono le attrezzature o costano troppo”. Adele Sangiuliano, Tonia Romano e Francesca Prisco, al secondo anno Triennale, raccontano: “l’organizzazione didattica dipende dai professori. Alcuni ci vengono molto incontro, altri meno, e, anche se fissano più appelli nell’ambito della stessa sessione d’esami, ci permettono di partecipare solo ad uno di essi”. Anche loro sono preoccupate dalla preparazione mirata al laboratorio: “Se dovessimo uscire fuori, nel mondo reale, sapremmo a stento riconoscere un bacher e una pipetta. Se non la si sa mettere in pratica, la teoria è inutile”. “Lo so che siamo in centinaia, ma a volte veniamo valutati solo da un voto, assegnato dopo un paio di domande superficiali. Io, che sono molto ansioso, all’esame ho bisogno di qualche minuto per calmarmi e mostrare tutto quello che so. Non ho sempre trovato questa apertura. Per fortuna, sono quasi alla fine della Triennale”, conclude Stefano Muscetto.
Simona Pasquale
propria organizzazione e nessuno di noi si dedica, come a scuola, ad un’unica attività”. Simona Barricella è
una matricola: “fino ad ora mi sono trovata benissimo, le lezioni sono interessanti, i professori sono molto preparati e disponibili, i programmi sono sostenibili, anche quello di Chimica che non finisce mai, tanto che a gennaio seguiremo ancora delle lezioni per completare tutti gli argomenti. È un po’ più pesante così, ma è anche un vantaggio perché faremo la prova intercorso e alleggeriremo un po’ il carico degli esami di fine gennaio”. Federica Esposito, Antonia Verna, Marianna Scapolatiello e Mariachiara Costagliola Di Mignovillo, studentesse Magistrali di Biologia della riproduzione e del differenziamento cellulare, hanno molto da ridire sulla disponibilità di materiale e la formazione sperimentale. “Non sappiamo dove studiare molte materie, anche se i professori ci mettono a disposizione il loro materiale e le loro dispense. Se si vuole un buon voto, occorrono libri di testo di riferimento e non tutti ci forniscono delle indicazioni in questo senso”, dicono le ragazze che stanno incontrando qualche difficoltà con il corso di Biochimica. Altro punto scottante della chiacchierata con loro è la preparazione, in qualche caso un po’ sbilanciata, con un carico didattico non sempre proporzionale ai crediti previsti e attività di laboratorio
troppo limitate, non in grado di renderle padrone delle tecniche necessarie per affrontare in maniera adeguata il mondo del lavoro: “Biochimica, per esempio, è da sette crediti. Richiede, però, almeno un anno di studio, più di uno da dodici. Alcuni corsi non sono pertinenti con il nostro curriculum, troppo generici, non abbastanza specialistici, e facciamo poca pratica. Abbiamo una buona preparazione teorica, ma poi ci chiedono di riconoscere l’immagine ripresa da un microscopio ottico, quando non ne abbiamo mai visto uno dal vivo. Sono cose che
sanno anche i docenti, l’università non mette a disposizione mezzi sufficienti e alcune attrezzature costano tanto e si utilizzano con cautela”. Silvia Buonaiuto e Maria Concetta Censullo, studentesse Magistrali al curriculum Biomolecolare, confermano quanto riferito dalle loro colleghe: “quasi nessun docente ci fornisce un testo di riferimento, studiamo dagli appunti, ma quello che interessa di più la nostra specializzazione, ossia la pratica
sperimentale in laboratorio, ne facciamo davvero troppo poca. Quando arriviamo al tirocinio di tesi, che da noi è sperimentale, siamo sempre molto titubanti a proporci per attività esterne, magari presso centri prestigiosi. Anche i docenti ci assegnano i progetti in base alla nostra esperienza che, però, è scarsa. All’estero è diverso, hanno molta manualità. Noi alcune tecniche non possiamo nemmeno utilizzarle; non ci sono le attrezzature o costano troppo”. Adele Sangiuliano, Tonia Romano e Francesca Prisco, al secondo anno Triennale, raccontano: “l’organizzazione didattica dipende dai professori. Alcuni ci vengono molto incontro, altri meno, e, anche se fissano più appelli nell’ambito della stessa sessione d’esami, ci permettono di partecipare solo ad uno di essi”. Anche loro sono preoccupate dalla preparazione mirata al laboratorio: “Se dovessimo uscire fuori, nel mondo reale, sapremmo a stento riconoscere un bacher e una pipetta. Se non la si sa mettere in pratica, la teoria è inutile”. “Lo so che siamo in centinaia, ma a volte veniamo valutati solo da un voto, assegnato dopo un paio di domande superficiali. Io, che sono molto ansioso, all’esame ho bisogno di qualche minuto per calmarmi e mostrare tutto quello che so. Non ho sempre trovato questa apertura. Per fortuna, sono quasi alla fine della Triennale”, conclude Stefano Muscetto.
Simona Pasquale