Gli studenti al quinto anno di Medicina, alle prese con il Progress test del 14 novembre, discutono della loro Facoltà, delle loro aspirazioni e idee per migliorare il Corso di Laurea. Il test nazionale, previsto per il terzo, quinto e sesto anno di studi, li lascia un po’ perplessi. Molti si domandano che utilità possa avere, ai fini pratici della didattica. “Credo che più che altro serva alle Facoltà italiane per valutare che tutte siano ad uno stesso livello, e non ci sia disparità di preparazione. Ad esempio, se alla Sapienza la maggioranza degli studenti totalizza un punteggio basso e alla Federico II altissimo, vuol dire che nella prima bisogna fare qualcosa per migliorare la didattica”, interpreta Antonia Giudicepietro. Altri studenti forniscono una spiegazione più pragmatica. “Per ogni test a cui partecipiamo, possiamo avere 0,1 punti in più in seduta di laurea, per un massimo di 0,3, ovviamente prendendo parte a tutti e tre i progress annuali. È poco, ma ci può servire ad arrotondare per eccesso la media”, informa Vincenzo Marrone. Sei ore di tempo, divise tra mattina e pomeriggio, per un totale di 300 domande a risposta multipla, 150 per volta. “La prima parte tratta dell’area preclinica, materie che abbiamo studiato durante il primo triennio; la seconda è solo clinica, ed è più difficile. In genere le domande sono tutte su argomenti trattati durante il percorso di studi, ma con il passare degli anni li si dimentica, specialmente se si entra nello specifico”, continua Vincenzo, che si ritiene soddisfatto della scelta della Facoltà. “Mi aspettavo che il percorso fosse impegnativo, ma in futuro riceverò molte gratificazioni per ciò che sto affrontando. In primis, la prospettiva di un lavoro, oggi garantito a pochi”. Il collega Vincenzo Napolano spiega quali sono le possibilità occupazionali a breve termine: “Una volta laureati possiamo fare le guardie mediche e con l’abilitazione anche sostituire il medico di reparto, in caso di ferie”. Un percorso lungo e tortuoso dunque, alla fine del quale c’è la tanto sospirata Specializzazione, quando finalmente si guadagna. Ne parla Rocco Aversa: “Lo studente di Medicina deve continuamente pensare al futuro, già facciamo l’internato, cioè stiamo in reparto alcune ore. La scelta della tesi è importantissima: quella sperimentale consente un punteggio maggiore e può essere un viatico per la Specializzazione che si intende frequentare”. Fa un esempio: “se decidi di chiedere la tesi in Cardiochirurgia, lavorerai nel reparto di Cardiologia, e questo ti consentirà di accumulare sette punti all’esame da sostenere, per entrare alla Scuola di Specializzazione. Il bonus non è molto sul totale di 100 punti, ma già è qualcosa”.
I ragazzi sono tutti concordi nel dire che a Medicina c’è bisogno di più pratica. “Stiamo sempre a studiare, dalle otto alle dieci ore al giorno in periodo d’esami, ma la teoria ad un certo punto si dimentica, la pratica resta”, commenta Marrone. “Ho scelto questa Facoltà sia per l’aspetto scientifico, che umano della professione. Quando sei a contatto con la persona è tutto diverso. Ho avuto la fortuna di conoscere un paziente di papà con una malattia invalidante, ed assisterlo vuol dire dargli anche supporto morale, quasi come fossi un familiare”, racconta Gianmarco Maresca. La teoria è utile se vuoi diventare docente, meno se il tuo sogno è quello di fare il medico. “Dal punto di vista didattico non ho nulla da obiettare, ma noi sappiamo solo misurare la pressione, se ci chiedono di fare un prelievo già entriamo in serie difficoltà. L’istituzione di un corso di BLSD sembra essere una concessione”, prosegue lo studente. Non è utile conoscere le minuzie molecolari di una malattia. “La preparazione di base ci dev’essere, è ovvio, ma senza entrare troppo nel dettaglio, che non è indispensabile”, conclude. Si riallaccia al discorso Antonia, che narra un po’ della sua esperienza Erasmus a Tarragona. “Noi qui siamo portati subito a pensare alla malattia più rara, quando qualcuno ci dice ‘ho mal di testa’ o ‘mi duole la pancia’, avendo innumerevoli conoscenze teoriche. Siamo bravissimi a fare diagnosi impossibili, come al Dr House, ma nel concreto abbiamo difficoltà a curare una semplice influenza”. In Spagna hanno apprezzato molto la sua grande preparazione teorica, ma “quando mi hanno chiesto di effettuare una paracentesi evacuativa, ero come impietrita. Sapevo tutto sul liquido ascitico, ma non avevo idea su dove mettere le mani. Lì, anche uno studente dei primi anni riusciva ad effettuarla”. La differenza tra i due paesi si rileva anche nel modo di porsi dei docenti e nella loro dedizione verso gli studenti. “Qui i docenti sono preparatissimi e apprezzatissimi a livello internazionale, ma mantengono un maggiore distacco”. La ragione potrebbe risiedere nella mole elevata d’impegni che comporta il Policlinico. “Questa struttura è un punto di riferimento a livello regionale, quindi è normale che i docenti abbiano più da fare e meno tempo a disposizione per noi”, aggiunge Gabriella Di Leva. Un’altra particolarità rilevata da Antonia è la differenza tra didattica e libri di testo. “I docenti hanno un diverso modo di fare didattica e d’intendere la materia, anche all’interno della stessa area clinica. In più i libri di testo consigliati spesso giungono a conclusioni che i professori non condividono. Quindi, per sostenere gli esami, ti devi attenere molto agli appunti presi in aula. Infatti, una teoria diversa del docente sulle ipotesi patogenetiche, rispetto al testo d’esame, potrebbe costarti un voto in meno”.
Allegra Taglialatela
I ragazzi sono tutti concordi nel dire che a Medicina c’è bisogno di più pratica. “Stiamo sempre a studiare, dalle otto alle dieci ore al giorno in periodo d’esami, ma la teoria ad un certo punto si dimentica, la pratica resta”, commenta Marrone. “Ho scelto questa Facoltà sia per l’aspetto scientifico, che umano della professione. Quando sei a contatto con la persona è tutto diverso. Ho avuto la fortuna di conoscere un paziente di papà con una malattia invalidante, ed assisterlo vuol dire dargli anche supporto morale, quasi come fossi un familiare”, racconta Gianmarco Maresca. La teoria è utile se vuoi diventare docente, meno se il tuo sogno è quello di fare il medico. “Dal punto di vista didattico non ho nulla da obiettare, ma noi sappiamo solo misurare la pressione, se ci chiedono di fare un prelievo già entriamo in serie difficoltà. L’istituzione di un corso di BLSD sembra essere una concessione”, prosegue lo studente. Non è utile conoscere le minuzie molecolari di una malattia. “La preparazione di base ci dev’essere, è ovvio, ma senza entrare troppo nel dettaglio, che non è indispensabile”, conclude. Si riallaccia al discorso Antonia, che narra un po’ della sua esperienza Erasmus a Tarragona. “Noi qui siamo portati subito a pensare alla malattia più rara, quando qualcuno ci dice ‘ho mal di testa’ o ‘mi duole la pancia’, avendo innumerevoli conoscenze teoriche. Siamo bravissimi a fare diagnosi impossibili, come al Dr House, ma nel concreto abbiamo difficoltà a curare una semplice influenza”. In Spagna hanno apprezzato molto la sua grande preparazione teorica, ma “quando mi hanno chiesto di effettuare una paracentesi evacuativa, ero come impietrita. Sapevo tutto sul liquido ascitico, ma non avevo idea su dove mettere le mani. Lì, anche uno studente dei primi anni riusciva ad effettuarla”. La differenza tra i due paesi si rileva anche nel modo di porsi dei docenti e nella loro dedizione verso gli studenti. “Qui i docenti sono preparatissimi e apprezzatissimi a livello internazionale, ma mantengono un maggiore distacco”. La ragione potrebbe risiedere nella mole elevata d’impegni che comporta il Policlinico. “Questa struttura è un punto di riferimento a livello regionale, quindi è normale che i docenti abbiano più da fare e meno tempo a disposizione per noi”, aggiunge Gabriella Di Leva. Un’altra particolarità rilevata da Antonia è la differenza tra didattica e libri di testo. “I docenti hanno un diverso modo di fare didattica e d’intendere la materia, anche all’interno della stessa area clinica. In più i libri di testo consigliati spesso giungono a conclusioni che i professori non condividono. Quindi, per sostenere gli esami, ti devi attenere molto agli appunti presi in aula. Infatti, una teoria diversa del docente sulle ipotesi patogenetiche, rispetto al testo d’esame, potrebbe costarti un voto in meno”.
Allegra Taglialatela