Crisi della rappresentanza politica De Mita e de Giovanni a Giurisprudenza

Una giornata per discutere i problemi della politica italiana attuale, in particolare “la crisi della rappresentanza politica”, si è svolta lo scorso 24 gennaio presso il Dipartimento di Giurisprudenza. Si è detto “onorato” il Direttore Gian Paolo Califano di avere a propria disposizione per uno scambio di opinioni due personalità che dell’Italia hanno fatto la storia: l’On. Ciriaco De Mita, Presidente del Consiglio dei Ministri e poi Presidente della Democrazia Cristiana, e l’on. Biagio de Giovanni, deputato europeo per il PCI e PDS nonché ex Rettore dell’Università L’Orientale. “Due figure storiche della politica ma anche del pensiero, perché in loro le due dimensioni convivono perfettamente”, specifica il prof. Giuseppe Limone, Ordinario di Filosofia della politica, il quale offre anche alcuni interessanti spunti di discussione: “viviamo una situazione in cui 85 persone hanno metà della ricchezza dell’intera popolazione mondiale e stanno riemergendo atti di terrorismo estremo in tutto il mondo. Parlare di crisi della rappresentanza è un imperativo, anche se oggi, ad essere rappresentati, devono essere non ideali o volontà, ma i nostri bisogni”. Una situazione paradossale rappresentata anche nelle parole di Biagio de Giovanni: “viviamo una contraddizione. Abbiamo rappresentanti a livello provinciale, nazionale ed europeo, eppure nello stesso tempo non ci sentiamo rappresentati”. La crisi della rappresentanza va collegata, per de Giovanni, ad un’altra crisi, quella che ha investito lo Stato nazione: “Lo Stato è stato un grande punto di unità nella cui cornice si sono messe insieme tutte le forme di rappresentanza. Il tramonto dello Stato nazionale equivale al tramonto dei diritti umani”. È quindi allo Stato che vanno riconosciute le più importanti forme di mediazione rappresentativa, che nella particolare storia dell’Italia si sono concretizzate grazie a due grandi partiti politici, come il PCI e la DC: “Questo nesso forte tra Stato e partiti garantiva la sostenibilità della legge, la mediazione tra diritto e giustizia. Con la fine dello Stato, saltano le mediazioni e senza mediazioni non c’è rappresentanza”, rincara de Giovanni, che comunque intende inquadrare tale crisi in un’ottica più ampia: “la Crisi dello Stato nazionale è collegata alla globalizzazione, un fenomeno che non va esorcizzato o disprezzato, ma compreso. In un contesto come questo non si può tornare alle vecchie forme della statualità, ma dobbiamo dare alla funzione dello Stato un ruolo diverso, anche in ambito europeo”. Esordisce con una battuta, invece, De Mita: “Non sono un filosofo, sono un politico, e le cose mi devono essere sempre spiegate”. Come il suo illustre collega, anche l’ex DC torna a parlare di crisi dello Stato- nazione: “Dal Dopoguerra abbiamo accresciuto i diritti delle persone senza che lo Stato potesse garantirli, questa è la base della crisi. La storia della statualità dipende dal fatto che vi siano dei diritti e che la norma li garantisca”. Una serie di diritti che il popolo italiano invocava a gran voce dopo la fine del Ventennio fascista: “Siamo partiti quando la libertà era stata annullata dai fascisti. È andata bene fino a che ci sono state queste due grandi forze politiche in campo a fare da garanti, poi non siamo più riusciti a ripetere quella stagione, e si potrebbe scrivere un’antologia delle stupidaggini fatte”. Stupidaggini che il governo italiano continua a ripetere ancora oggi, in primis se si parla di riforma elettorale: “La rappresentanza è la capacità di recepire i bisogni dei cittadini e cercare di rispondere ad essi; invece stiamo facendo un disegno di legge che non tiene conto di ciò che il cittadino chiede. Metà degli italiani o non vota o vota Grillo, l’altra metà si preoccupa unicamente di ottenere il consenso, senza tener conto che non c’è una larga maggioranza tale da poter governare. Abbiamo elaborato un’idea per cui si possa governare senza avere consenso”. Si è quindi fatta strada nel nostro Paese un’idea della politica sbagliata, anche nel definire le qualità imprescindibili di un leader politico: “Il carisma non è quello di Craxi, Berlusconi e Renzi ma, come dice Weber, esso rappresenta il possesso di poteri straordinari, cioè non concessi agli uomini comuni, o concessi solo in misura tanto inferiore da stabilire una differenza qualitativa”. Infine, qualche battuta sull’UE: “Sarebbe un errore cercare di creare delle comunità di simili, perché l’umanità è fatta di persone diverse. Una comunità non è decisa solo da confini geografici, essa è la base della tutela dei diritti delle persone che ne fanno parte”. 
Il dibattito
Dopo gli interventi dei relatori, gran parte dei presenti, studenti ma anche professori, ha avuto la possibilità di intervenire, e in molti non si sono lasciati scappare un’occasione unica di confronto. La prima domanda viene rivolta a De Mita da uno studente della Scuola di Specializzazione: “Lei crede che ci vorrebbe un sistema di voto differente tra Nord e Sud, dato che in Lombardia il 14% delle persone utilizza le preferenze e al Sud, in Campania e Calabria, il 90%? Queste percentuali sono il risultato di una forte coscienza politica o di diffuse pratiche di clientelismo?”. “Quando ho iniziato a fare politica, molti candidati, dopo il comizio, invitavano gli elettori a cena perché si prediligeva questo tipo di rapporto diretto col cittadino. Io mi sono candidato sempre esponendo il mio pensiero ai miei elettori, anche quando non era conveniente. Tutto dipende chiaramente dalla proposta che un candidato ha da fare: minore è la motivazione politica del programma, minore sarà l’interesse degli elettori, più alta sarà la compravendita. Per quanto riguarda la preferenza ridotta al Nord, è legata a considerazioni storiche che vanno indietro al periodo del boom economico. Già da allora i politici del settentrione davano dei clientelisti a noi del Sud, dimenticando che loro dovevano difendere gli interessi di una classe specifica, come poteva essere quella dei metalmeccanici, a noi spettava l’arduo compito di difendere gli interessi del singolo”, spiega De Mita. Segue l’intervento del prof. Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, che elabora un’analisi della situazione europea: “è impensabile immaginare una democrazia senza confini nazionali. La volontà europea ha difficoltà ad emergere proprio per il sistema delle identità nazionali che la compongono”. Le cose, a suo dire, non vanno meglio a livello nazionale: “Il vero problema in Italia è il sistema elettorale. Non si può pretendere che un popolo pluralista sia costretto a scegliere tra A e B. Abbiamo due schieramenti politici al 30% e uno al 25%, il bipolarismo in Italia è al momento impensabile”. Risponde con piglio critico anche de Giovanni: “se si ristabiliscono le preferenze, i candidati dovranno camminare con gli avvocati perché si riaprirà una marea di inchieste per voti di scambio. La democrazia ha bisogno di decisione. Se non decidono, le democrazie muoiono”. Un discorso valido anche in ambito europeo: “Per quanto riguarda l’UE io credo che la sovranità sia l’identità di una nazione. Allontanandosi dalla dimensione sovranazionale si allontanano anche rappresentanti e rappresentati. Non voglio essere troppo legato alle forme di Stato-nazione, ma la statualità comprende dimensioni come quella della lingua comune che chiaramente non c’è nell’UE”, spiega il prof. de Giovanni. Qualche dubbio sull’effettiva stabilità dell’UE lo manifesta anche il prof. Limone: “L’Unione Europea ha commesso l’errore di costruire una pratica economica e monetaria dimenticando l’idea da cui era partita, che era culturale. Ci deve essere almeno una stabilità europea diffusa e una piena garanzia di diritti a tutte le territorialità che fanno parte dell’unione perché le cose possano funzionare”. Per quanto riguarda l’Italia: “se non c’è cultura politica non ci può essere democrazia, perché tra il proprio tornaconto personale e il bene comune si preferirà sempre il primo senza adeguati valori e coscienza politica. Chi decide deve farlo sulla base dei diritti dei cittadini”. Il colpo finale all’UE lo sferra De Mita: “quando si propone una moneta unica europea lo si fa proprio per evitare un sopravvento della potenza economica tedesca. Mitterand era contro la moneta unica e aveva già previsto quello che in realtà si è poi verificato”. In conclusione, una riflessione sul significato del voto: “Il voto delle persone è di una straordinaria intelligenza. Esso si fonda su credibilità della proposta, dignità della persona che la rappresenta e convenienza dell’elettore, una convenienza che quindi non va intesa come qualcosa di scandaloso”. Chiaramente soddisfatto il prof. Califano: “Questo Dipartimento, oltre a plasmare buoni studenti, ha la presunzione di voler formare le future classi dirigenti del territorio e gran parte degli iscritti sono già attivi politicamente. Eventi come quello d’oggi possono essere un importante momento di crescita e confronto”. Ecco perché il calendario degli incontri sarà particolarmente fitto: “stiamo continuando a lavorare per portare altre personalità di spicco nelle nostre aule”.
Anna Verrillo
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