“Iniziative di questo genere sono opportune perché è un tema che ci colpisce moltissimo e ora che la stampa mette in circolazione articoli con pareri contrastanti, c’è bisogno ancora di più di sapere e capire cosa sta succedendo nel mondo”, dice in apertura della tavola rotonda organizzata dal CeSEC (Centro di Studi sull’Europa Contemporanea) la Rettrice de L’Orientale Elda Morlicchio, e continua: “saranno chiamati a intervenire colleghi di diversi ambiti, perché il problema è interdisciplinare e anche la lingua non è immune dalle vicende storiche e politiche. Ritengo che il nostro Ateneo sia chiamato a svolgere questa missione culturale per superare pregiudizi e informazioni scorretti”.
Ideato e coordinato dal prof. Paolo Frascani, l’incontro del 2 febbraio a Palazzo Du Mesnil si pone l’obiettivo di “interpretare e analizzare una situazione drammatica, poiché il CeSEC ha nella sua connotazione originaria due prospettive: una comunitaria sugli aspetti istituzionali, politici, organizzativi; e l’altra analitica sulle questioni di fondo della storia, cultura e società in Europa”, come spiega il docente di Storia e storiografia delle società europee in età contemporanea.
Ideato e coordinato dal prof. Paolo Frascani, l’incontro del 2 febbraio a Palazzo Du Mesnil si pone l’obiettivo di “interpretare e analizzare una situazione drammatica, poiché il CeSEC ha nella sua connotazione originaria due prospettive: una comunitaria sugli aspetti istituzionali, politici, organizzativi; e l’altra analitica sulle questioni di fondo della storia, cultura e società in Europa”, come spiega il docente di Storia e storiografia delle società europee in età contemporanea.
Un’analisi critica
interdisciplinare
interdisciplinare
“Dopo alcune settimane, il dramma si è sfocato ma non è che la paura del nemico sia passata. Se guardiamo al conflitto, dobbiamo considerare due angolazioni: quella dei singoli Stati, come per esempio Francia e Germania, dove c’è un’immigrazione più forte rispetto ai paesi Mediterranei; e quella dell’Unione europea che ha un problema con la definizione dei diritti. Sicuramente, l’evento di Parigi è stata una lezione di condivisione, di ricerca di identità democratica e di riscoperta illuministica, ma si ha l’impressione che non sia più andata avanti, forse perché è tutto legato alla cronaca e il tempo metterà in sordina ciò che è stato, se non si verificheranno di nuovo episodi del genere, ma la contrapposizione religiosa, o meglio questa realtà diversa, esiste. Gli storici dell’età moderna non hanno difficoltà a individuare che si tratti di una guerra non combattuta, ma lo scontro frontale c’è già stato ed è alle origini dell’Europa moderna, quando il Mediterraneo era al centro di una guerra vera”, commenta il prof. Frascani.
Segue l’intervento della prof.ssa Rossella Bonito Oliva, docente di Etica interculturale e di Filosofia morale: “i terroristi hanno attaccato la sede di un giornale satirico – luogo centrale della rivendicazione ideologica e della libertà di stampa – quindi la battaglia non è riconducibile solo ad uno scontro di civiltà o religione. Si tratta di immigrati di seconda e terza generazione, di francesi che non si sentono tali. Bisognerebbe capire quanto si sono trasformati nel tempo questi cittadini e che l’Europa aveva offerto loro benessere e felicità, ma non libertà. Dopo la prima guerra mondiale, l’Europa non ha garantito sicurezza nemmeno ai cittadini europei e l’idea è che ci siano stati in passato sintomi di disagio per quanto riguarda i diritti umani. Se osserviamo le foto della manifestazione di solidarietà, ci sono i politici che sgomitano per essere in prima fila e le barriere per separarli dalla gente: questo è un esempio per dire che la crisi profonda si sia biforcata tra una cultura d’élite e una cultura di massa, dopodiché tra queste non c’è stato più dialogo e ora l’Europa deve interrogarsi”. A esprimere delle considerazioni in materia giuridica il prof. Giuseppe Cataldi, docente in Diritto internazionale: “tra le questioni sul tavolo, ci sono quelle dell’immigrazione e della cittadinanza. Si parla di un’Europa che nei fatti non c’è, e in queste occasioni i diritti umani servono proprio a contrastare il facile aggancio agli stereotipi e alla doppia morale. Basti pensare che nel 2008 fu licenziato un giornalista di Charlie Hebdo, perché aveva ironizzato su una falsa conversione all’ebraismo del figlio di Sarkozy. Per quanto riguarda il rapporto con l‘Islam, l’intesa non si è mai potuta realizzare, perché non si tratta di una Chiesa con al vertice un capo, ma di una galassia. Questa difficoltà di approccio si riscontra nuovamente nella diversa valutazione delle norme sui diritti umani che, in alcuni casi, non hanno efficacia all’interno degli ordinamenti singoli nel mondo arabo, poiché molto spesso i trattati internazionali si ratificano solo per addomesticare l’opinione pubblica. La nostra risposta al terrorismo deve essere democratica. Difendiamo principi universali senza farci spaventare da chi usa la violenza come strumento di lotta”. Centrale il discorso della prof.ssa Lea Nocera, docente in Lingua e Letteratura turca, che si è soffermata sulla situazione di un paese “importante dal punto di vista strategico, perché in esso transitano armi e terroristi. Pare, infatti, che prima degli attentati la compagna di Coulibaly sia partita proprio per la Turchia. Si tratta di un paese costituzionalmente laico, ma in maggioranza musulmano in cui è stato avviato da dieci anni un processo di adesione all’Unione europea, ma di fatto molti capitoli delle negoziazioni sono rimasti fermi per la questione di Cipro e per motivi interni e regionali. Malgrado lo sviluppo economico che tutto sommato procede, la Turchia ha registrato un passo indietro sui diritti civili e politici, in primis sulla libertà di espressione, in cui si può leggere una certa doppia faccia. Il primo ministro, che era in prima linea durante la manifestazione di Parigi contro l’islamofobia, qualche giorno dopo ha bloccato i camion che trasportavano i giornali per verificare con perquisizioni inaspettate il contenuto dell’edizione turca di Charlie Hebdo”. A proporre un diverso punto di vista la riflessione del prof. Rosario Sommella, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, docente di Geografia politica ed economica: “quello che è successo a Parigi dipende da conflitti che hanno il proprio centro pulsante altrove. Una delle interpretazioni più generiche della politica internazionale è che l’instabilità sia da ricercare all’origine della formazione degli stati nel Medio Oriente e nel Nord Africa. È da considerare che negli ultimi venticinque anni sia predominante la prospettiva americana, come se il mondo si guardasse dallo stretto di Hormuz. Noi siamo abituati a guardare verso sud, ma da questo punto di vista il Mediterraneo appare periferico, laddove diventa centrale invece il golfo Persico. Questo ci aiuta a capire come la frontiera del Mediterraneo sia in realtà un vuoto, in cui agisce fortemente la politica estera francese. Se l’Europa tende sempre al mantenimento dello status quo, per gli Americani la frontiera è legata al passato e la si può scavalcare solo guardando avanti”. Prende in seguito la parola il prof. Roberto Tottoli, Direttore del Dipartimento Asia Africa e Mediterraneo, docente di Islamistica: “stupisce come la realtà politica e giornalistica venuta fuori con l’ennesima crisi possa risvegliare l’opinione pubblica internazionale su cos’è l’Islam e chi sono i musulmani. L’episodio di Parigi così mediatizzato e insidioso ha di nuovo aperto il confronto con ciò che è sconosciuto e pericoloso. Se vi è una crisi dell’Occidente, vi è anche una crisi del mondo musulmano, che è una realtà tutt’altro che coesa e stabile e che è frutto di processi di reislamizzazione in atto dagli anni ’70, quando si è verificato il crollo di legittimità politica delle forze che avevano guidato il mondo arabo verso la decolonizzazione. Da quel momento in poi, molte realtà hanno sostenuto l’espressione politica dell’Islam, che ha spinto verso un’adesione identitaria alla religione. Un elemento al centro degli attentati è l’atteggiamento della comunità musulmana verso alcuni aspetti fondanti: al di là della non rappresentabilità di Maometto, bisogna fare i conti con una concezione teologica secondo la quale il Corano è parola di Dio increata e vincolante in ogni aspetto. L’idea che un testo sacro sia intangibile crea un problema, ma bisogna guardare avanti ed evitare di polarizzare il confronto”. Conclude il prof. Paolo Wulzer, docente di Storia delle relazioni internazionali: “siamo di fronte al fallimento di un disegno della politica estera dell’Unione europea che nasce verso la metà degli anni ’90. Paradossalmente, quando non c’è più l’equilibrio mantenuto dalla guerra fredda, l’Europa sente il dovere di avviare una politica di buon vicinato orientale e meridionale. Le minacce alla situazione europea erano da rintracciare nelle immigrazioni, nel fondamentalismo e nel terrorismo, ragion per cui si riteneva necessario sviluppare un rapporto di collaborazione su tre livelli con obiettivo la democratizzazione della sponda sud del Mediterraneo, la collaborazione economica e il dialogo interculturale. Tuttavia, l’Europa ha fallito per carenza strutturale o per l’inapplicabilità del modello eurocentrico al contesto arabo-musulmano, e dopo il 2001 ha cambiato strategia sostenendo i dittatori di turno. Il problema è che l’Europa non può stabilizzare l’intero vicinato del Mediterraneo alternando geopolitica e democrazia, ma deve limitarsi a guardare alle emergenze e recuperare credibilità”.
Sabrina Sabatino
Segue l’intervento della prof.ssa Rossella Bonito Oliva, docente di Etica interculturale e di Filosofia morale: “i terroristi hanno attaccato la sede di un giornale satirico – luogo centrale della rivendicazione ideologica e della libertà di stampa – quindi la battaglia non è riconducibile solo ad uno scontro di civiltà o religione. Si tratta di immigrati di seconda e terza generazione, di francesi che non si sentono tali. Bisognerebbe capire quanto si sono trasformati nel tempo questi cittadini e che l’Europa aveva offerto loro benessere e felicità, ma non libertà. Dopo la prima guerra mondiale, l’Europa non ha garantito sicurezza nemmeno ai cittadini europei e l’idea è che ci siano stati in passato sintomi di disagio per quanto riguarda i diritti umani. Se osserviamo le foto della manifestazione di solidarietà, ci sono i politici che sgomitano per essere in prima fila e le barriere per separarli dalla gente: questo è un esempio per dire che la crisi profonda si sia biforcata tra una cultura d’élite e una cultura di massa, dopodiché tra queste non c’è stato più dialogo e ora l’Europa deve interrogarsi”. A esprimere delle considerazioni in materia giuridica il prof. Giuseppe Cataldi, docente in Diritto internazionale: “tra le questioni sul tavolo, ci sono quelle dell’immigrazione e della cittadinanza. Si parla di un’Europa che nei fatti non c’è, e in queste occasioni i diritti umani servono proprio a contrastare il facile aggancio agli stereotipi e alla doppia morale. Basti pensare che nel 2008 fu licenziato un giornalista di Charlie Hebdo, perché aveva ironizzato su una falsa conversione all’ebraismo del figlio di Sarkozy. Per quanto riguarda il rapporto con l‘Islam, l’intesa non si è mai potuta realizzare, perché non si tratta di una Chiesa con al vertice un capo, ma di una galassia. Questa difficoltà di approccio si riscontra nuovamente nella diversa valutazione delle norme sui diritti umani che, in alcuni casi, non hanno efficacia all’interno degli ordinamenti singoli nel mondo arabo, poiché molto spesso i trattati internazionali si ratificano solo per addomesticare l’opinione pubblica. La nostra risposta al terrorismo deve essere democratica. Difendiamo principi universali senza farci spaventare da chi usa la violenza come strumento di lotta”. Centrale il discorso della prof.ssa Lea Nocera, docente in Lingua e Letteratura turca, che si è soffermata sulla situazione di un paese “importante dal punto di vista strategico, perché in esso transitano armi e terroristi. Pare, infatti, che prima degli attentati la compagna di Coulibaly sia partita proprio per la Turchia. Si tratta di un paese costituzionalmente laico, ma in maggioranza musulmano in cui è stato avviato da dieci anni un processo di adesione all’Unione europea, ma di fatto molti capitoli delle negoziazioni sono rimasti fermi per la questione di Cipro e per motivi interni e regionali. Malgrado lo sviluppo economico che tutto sommato procede, la Turchia ha registrato un passo indietro sui diritti civili e politici, in primis sulla libertà di espressione, in cui si può leggere una certa doppia faccia. Il primo ministro, che era in prima linea durante la manifestazione di Parigi contro l’islamofobia, qualche giorno dopo ha bloccato i camion che trasportavano i giornali per verificare con perquisizioni inaspettate il contenuto dell’edizione turca di Charlie Hebdo”. A proporre un diverso punto di vista la riflessione del prof. Rosario Sommella, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, docente di Geografia politica ed economica: “quello che è successo a Parigi dipende da conflitti che hanno il proprio centro pulsante altrove. Una delle interpretazioni più generiche della politica internazionale è che l’instabilità sia da ricercare all’origine della formazione degli stati nel Medio Oriente e nel Nord Africa. È da considerare che negli ultimi venticinque anni sia predominante la prospettiva americana, come se il mondo si guardasse dallo stretto di Hormuz. Noi siamo abituati a guardare verso sud, ma da questo punto di vista il Mediterraneo appare periferico, laddove diventa centrale invece il golfo Persico. Questo ci aiuta a capire come la frontiera del Mediterraneo sia in realtà un vuoto, in cui agisce fortemente la politica estera francese. Se l’Europa tende sempre al mantenimento dello status quo, per gli Americani la frontiera è legata al passato e la si può scavalcare solo guardando avanti”. Prende in seguito la parola il prof. Roberto Tottoli, Direttore del Dipartimento Asia Africa e Mediterraneo, docente di Islamistica: “stupisce come la realtà politica e giornalistica venuta fuori con l’ennesima crisi possa risvegliare l’opinione pubblica internazionale su cos’è l’Islam e chi sono i musulmani. L’episodio di Parigi così mediatizzato e insidioso ha di nuovo aperto il confronto con ciò che è sconosciuto e pericoloso. Se vi è una crisi dell’Occidente, vi è anche una crisi del mondo musulmano, che è una realtà tutt’altro che coesa e stabile e che è frutto di processi di reislamizzazione in atto dagli anni ’70, quando si è verificato il crollo di legittimità politica delle forze che avevano guidato il mondo arabo verso la decolonizzazione. Da quel momento in poi, molte realtà hanno sostenuto l’espressione politica dell’Islam, che ha spinto verso un’adesione identitaria alla religione. Un elemento al centro degli attentati è l’atteggiamento della comunità musulmana verso alcuni aspetti fondanti: al di là della non rappresentabilità di Maometto, bisogna fare i conti con una concezione teologica secondo la quale il Corano è parola di Dio increata e vincolante in ogni aspetto. L’idea che un testo sacro sia intangibile crea un problema, ma bisogna guardare avanti ed evitare di polarizzare il confronto”. Conclude il prof. Paolo Wulzer, docente di Storia delle relazioni internazionali: “siamo di fronte al fallimento di un disegno della politica estera dell’Unione europea che nasce verso la metà degli anni ’90. Paradossalmente, quando non c’è più l’equilibrio mantenuto dalla guerra fredda, l’Europa sente il dovere di avviare una politica di buon vicinato orientale e meridionale. Le minacce alla situazione europea erano da rintracciare nelle immigrazioni, nel fondamentalismo e nel terrorismo, ragion per cui si riteneva necessario sviluppare un rapporto di collaborazione su tre livelli con obiettivo la democratizzazione della sponda sud del Mediterraneo, la collaborazione economica e il dialogo interculturale. Tuttavia, l’Europa ha fallito per carenza strutturale o per l’inapplicabilità del modello eurocentrico al contesto arabo-musulmano, e dopo il 2001 ha cambiato strategia sostenendo i dittatori di turno. Il problema è che l’Europa non può stabilizzare l’intero vicinato del Mediterraneo alternando geopolitica e democrazia, ma deve limitarsi a guardare alle emergenze e recuperare credibilità”.
Sabrina Sabatino