Ci portano indietro nel tempo, dritti al cuore della civiltà elamita, le parole del prof. Gian Pietro Basello, docente di Elamico, Filologia Iranica e Storia dell’Iran Antico e Tardo-Antico. A completamento del quadro teorico fornito dalle lezioni, si sta svolgendo un Laboratorio epigrafico accessibile agli studenti dei Corsi di Laurea Magistrale. Ma, partendo dagli inizi, quando e dove si parlava elamico? “Se vogliamo andare nell’antico Elam dobbiamo prendere un aereo, atterrare a Teheran e da lì, con un volo interno o un viaggio in auto attraverso panorami sempre diversi di montagne e deserti, raggiungere il sud-ovest dell’Iran, dove potremo visitare il sito archeologico di Susa e la ziqqurat di Chogha Zanbil. Qui, e nelle piane intermontane più a est che avrebbero poi preso il nome di Persia, si parlava l’elamico”. Una lingua che ha una storia parecchio lunga con importanti risvolti politici, sociali e culturali. Anzi, a confronto – continua il docente – “l’italiano ha alle sue spalle ‘solo’ mille anni”. E oggi? “L’elamico è una lingua morta che pochi studiano, però dobbiamo ricordarci che fu il mezzo con cui hanno pensato e comunicato centinaia di migliaia di persone prima di noi per oltre duemila anni”. Insieme al sumerico e all’accadico, infatti, “è una delle più antiche lingue dell’umanità a essere stata messa per iscritto, usando un sistema di scrittura detto cuneiforme”. Studiare una lingua ‘parlata’, in fondo, non è così diverso da studiare una lingua morta. “Vorrei poter insegnare l’elamico come una lingua viva: per questo chiedo sempre agli studenti di leggere i testi ad alta voce, di cogliere le assonanze nel lessico, di memorizzare più parole possibili. Vorrei che la fatica di leggere la scrittura cuneiforme e di interpretare il testo scomparisse per poter apprezzare da un lato il suono della lingua, dall’altro il contenuto”. Lezioni frontali, ma dove gli studenti hanno l’opportunità di partecipare attivamente. “Ogni segno, ogni parola, ogni testo ci aprono nuovi scenari sulla civiltà elamita, spingendoci a riflettere sull’economia, la società, la religiosità…”. Insomma, le cose da sapere sulla civiltà elamita sono molte. “Non basta un solo studioso per raccontarle tutte. Comunque la civiltà elamita non è poi così tanto sconosciuta: nel Louvre, ad esempio, quattro sale sono dedicate a monumenti elamiti”. Una lingua che in Europa s’insegna “in corsi universitari solo a Parigi all’École Pratique des Hautes Études, a Louvain-la-Neuve in Belgio e da noi. Ciò fa sì che alcuni studenti vengano appositamente dall’estero, dall’Iran – dove gli studi su quella che fu una delle lingue dei loro avi stanno crescendo rapidamente – ma anche, ad esempio, dall’Australia”. E a L’Orientale l’elamico entra in contatto con una varietà di insegnamenti a sfondo linguistico, storico-artistico, filologico, archeologico attivi presso il Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo: l’Assiriologia, la Storia del Vicino Oriente Antico ma anche lo studio della Storia dell’Iran Antico e l’Archeologia e Storia dell’Arte Iranica. Galeotto fu per il docente durante gli studi universitari proprio un corso di Filologia. “Io ho iniziato all’Università di Bologna con l’idea di studiare lingue orientali antiche. Lo studio del greco e del latino al liceo mi aveva fatto capire che era possibile far tornare a parlare i testi antichi. Frequentando il corso di Filologia Iranica venni a conoscenza di una lingua in cui erano scritte le iscrizioni reali trilingui dei re achemenidi, insieme ad antico persiano e accadico, di cui non si occupava quasi nessuno. Fu una scommessa perché l’interesse per questa lingua era, inevitabilmente, esiguo a livello internazionale. Ma non in Italia, dove a L’Orientale di Napoli era stato attivato uno dei pochissimi corsi universitari di elamico, fortemente voluto dall’iranista Adriano Valerio Rossi e tenuto da Grazia Giovinazzo, una pioniera dell’insegnamento di questa lingua, ora in pensione”.
Il Laboratorio. Mettersi alla prova lavorando direttamente sull’esemplare originale di un testo cuneiforme: lo scopo primario del Laboratorio di Epigrafia inserito nell’ambito del corso di Elamico. È sicuramente una sfida per gli studenti imparare a leggere le iscrizioni, confrontarsi con “la fisicità e materialità del testo e le difficoltà che essa comporta: la superficie consumata, i segni che non si leggono bene, la regolazione dell’illuminazione per ‘mettere in ombra’ gli incavi tridimensionali che chiamiamo cunei. Il senso ultimo però è quello di capire il testo, chiederci perché fu scritto e cosa voleva comunicare”. Purtroppo le iscrizioni elamiche in Italia sono pochissime, con la fortuna di averne una proprio a Napoli, presso il Museo Scerrato nella sede del Rettorato a Palazzo Du Mesnil che ospita un mattone iscritto medio-elamico donato da Edda Bresciani, una delle più grandi egittologhe italiane.
Il Laboratorio. Mettersi alla prova lavorando direttamente sull’esemplare originale di un testo cuneiforme: lo scopo primario del Laboratorio di Epigrafia inserito nell’ambito del corso di Elamico. È sicuramente una sfida per gli studenti imparare a leggere le iscrizioni, confrontarsi con “la fisicità e materialità del testo e le difficoltà che essa comporta: la superficie consumata, i segni che non si leggono bene, la regolazione dell’illuminazione per ‘mettere in ombra’ gli incavi tridimensionali che chiamiamo cunei. Il senso ultimo però è quello di capire il testo, chiederci perché fu scritto e cosa voleva comunicare”. Purtroppo le iscrizioni elamiche in Italia sono pochissime, con la fortuna di averne una proprio a Napoli, presso il Museo Scerrato nella sede del Rettorato a Palazzo Du Mesnil che ospita un mattone iscritto medio-elamico donato da Edda Bresciani, una delle più grandi egittologhe italiane.