“Resterò a Napoli per due anni e svolgerò qui le mie ricerche”. A parlare è Fatima Jalavier, 33 anni, iraniana, originaria di Teheran. Laureata in Ingegneria all’Università Sharif, l’Istituto di Tecnologia dell’Iran, un Master e un dottorato a Stanford, svolgerà presso il Dipartimento di Ingegneria Strutturale della Federico II, il post-doc, sviluppando, insieme al gruppo del prof. Gaetano Manfredi, delle ricerche nel campo della prevenzione sismica. “Dopo la laurea ho iniziato a lavorare in una società di consulenza di Teheran, ma il nostro responsabile ci spingeva ad andare all’estero per vedere il mondo e imparare cose nuove. Il modo più semplice per andare all’estero è cercare di ottenere una borsa di studio per gli Stati Uniti”. Fino ad alcuni anni fa, per essere ammessi, occorreva sostenere delle prove di idoneità che valutano conoscenze linguistiche e corrispondenza del titolo accademico, ma tra Iran e Stati Uniti non esistono relazioni diplomatiche. Fatima e i suoi colleghi hanno sostenuto questi esami in Turchia. “Il mondo universitario è molto aperto. Nonostante le tensioni internazionali, a Stanford gli studenti e i ricercatori iraniani, pakistani o indiani erano molti”. L’interesse per gli argomenti scientifici è nato come sfida quando era molto giovane. In Iran la scuola superiore è propedeutica agli studi universitari. In base alla scuola scelta, in seguito ci si potrà iscrivere solo a facoltà dello stesso ambito. “I bambini cominciano a pensare presto al futuro. A 15 anni, devi avere già le idee chiare. Il mio non è un paese industrializzato, così scienziati e ingegneri sono tenuti in grande considerazione, un po’ come accade agli intellettuali, nei paesi maggiormente industrializzati. Volevo dimostrare che anch’io potevo studiare la Matematica ed essere brava”. L’università è a numero chiuso, l’esame di ammissione è molto duro. Ragazze e ragazzi frequentano scuole diverse e si incontrano solo all’università. Nel dottorato svolto negli Stati Uniti, Fatima ha sviluppato, implementando una strategia di attuazione immediata, dei temi simili a quelli che sta affrontando ora a Napoli. “L’Iran è un paese sismico e volevo andare in un centro di eccellenza per specializzarmi in qualcosa che potesse essere utile per il mio paese”. L’incontro con l’Italia non è stato casuale: “conoscevo questo paese grazie al cinema e mi è sempre piaciuto molto. In Iran tutti conoscono il Neorealismo, Fellini, Sordi e Totò. Ho lavorato a Roma per otto mesi poi, l’anno scorso, durante un convegno, ho rivisto Iunio, un amico napoletano conosciuto a Stanford ed ho incontrato il prof. Manfredi, che mi ha parlato delle sue ricerche e mi ha offerto questo lavoro”. Una bella esperienza: “qui, mentre cerchi di raggiungere un obiettivo, ti godi anche la strada che fai, è più simile al mio paese e questo mi piace molto”. La carriera accademica: l’aspirazione futura. LA RICERCA. “In questo laboratorio ci occupiamo di rischio sismico, verificando la sicurezza degli edifici esistenti in base alla normativa del 2003” spiega Fatima. Per tutelare il nostro patrimonio dal pericolo dei terremoti è nata una rete nazionale di laboratori, la Reluis. “Cerchiamo di quantificare il rischio sismico in una scala di valori. Questo ci permetterà di qualificare maggiormente gli interventi”. Il metodo utilizzato è probabilistico. “È impossibile conoscere in anticipo quando si verificherà un evento sismico, quale sarà la sua intensità e dove avrà origine. Per ricavare dei dati da analizzare studiamo i terremoti del passato e la loro distribuzione” prosegue la ricercatrice, mostrando la mappa italiana del rischio, concentrato soprattutto lungo l’Appennino, con punte in Basilicata e Sicilia. I dati strutturali si ricavano attraverso delle simulazioni. Si poggiano dei modellini strutturali su delle tavole vibranti che simulano gli effetti di un terremoto e se ne valuta la risposta alle sollecitazioni. Le informazioni sugli eventi passati, determinano la direzione e l’intensità delle oscillazioni. “Quando vogliamo mettere alla prova la resistenza dei materiali e fare delle prove su elementi individuali, come ad esempio un pilastro, usiamo apparecchiature più semplici”. La sperimentazione sui materiali e sugli edifici esistenti, con l’obiettivo di determinare delle modalità di intervento, rappresenta una delle novità principali dell’intero progetto di ricerca. A questo scopo, l’edificio di Piazzale Tecchio è stato instrumentato. “Nel campo dell’Ingegneria Civile, l’applicazione di calcoli probabilistici a materiali compositi, utilizzati di solito in ambito aeronautico, ferroviario o nautico, è nuova ma ha già dato risultati molto soddisfacenti. Non a caso, lavoriamo per delle industrie e abbiamo un programma di innovazione e ricerca con la Mapei” dice il ricercatore Iunio Iervolino, amico di Fatima dai tempi di Stanford.
Simona Pasquale
Simona Pasquale