Francesca Bauduin, una delle prime iscritte al Corso, racconta….

Ventotto anni, napoletana, Francesca Bauduin è stata fra i primi iscritti di Ingegneria Biomedica a Napoli: “era proprio il primo anno di attivazione del Corso – ricorda Francesca che all’epoca aveva appena terminato il liceo classico – Ne sentii parlare a scuola, durante un incontro di orientamento. Volevo studiare Ingegneria, ma mi interessava anche un po’ il mondo della Medicina e pensai a questo indirizzo come un’opportunità stimolante”. Le materie più appassionanti del ramo si fanno attendere: “prima prevale l’imprinting ingegneristico. Sebbene l’interesse per la sanità sia importante, i due percorsi culturali seguono logiche diverse e, in alcun modo, Ingegneria Biomedica può essere un ripiego per una mancata ammissione a Medicina. Questo è un errore diffuso”. Diventare ingegnere biomedico significa, infatti, imparare a calare tutti i fenomeni legati alla trasmissione del calore, alla Fisica Tecnica, all’Elettronica, all’Elettrotecnica nei processi biologici. Al termine del triennio, Francesca svolge la tesi di primo livello in azienda, occupandosi di reni artificiali, nell’ambito di un progetto interdisciplinare con il Dipartimento di Idraulica, sul trattamento delle acque reflue, e la tesi specialistica a Madrid, durante l’Erasmus. Utile per tanti aspetti, l’attività sul campo consente di sviluppare una dote preziosa: “in Medicina ogni termine ha una sua importanza. Nessun medico lavorerebbe mai con qualcuno che non è padrone del linguaggio e, all’occorrenza, non saprebbe farsi capire. Noi ingegneri approfondiamo il lato pratico delle cose, tutti i nostri esami prevedono lo scritto e, sebbene facciamo ricorso ad una precisa terminologia, badiamo poco alla forma in relazione alla funzione, mentre sapersi esprimere e interagire con altre figure è fondamentale”. Dopo uno stage ed un’esperienza aziendale, oggi Francesca sviluppa piani di fattibilità a supporto del Ministero della Salute, per conto della società di consulenza Price Waterhouse Coopers, compiendo il monitoraggio e la gestione dei flussi informativi relativi a farmaci e dispositivi. “Sono stata fortunata perché inserirsi nel mondo del lavoro non è affatto semplice. Gli stage non prevedono retribuzione e la domanda è, ancora oggi, inferiore rispetto all’offerta”. In parte perché la figura dell’ingegnere biomedico non è ancora interessata da una normativa cogente, motivo per cui, insieme ad altri colleghi, è impegnata affinché la sua figura professionale venga riconosciuta: “è giusto per noi e per chi si sta formando adesso. Senza norme a tutela, il mercato del lavoro prende altre strade. Troppo spesso si affidano incarichi di tipo commerciale a persone di passaggio, o la valutazione del parco macchine regionale a tecnici del Provveditorato. Ci sono situazioni in cui nella sala operatoria devono entrare solo medico, équipe e ingegnere biomedico, e nessun altro. Ma senza leggi chiare sui nostri diritti e doveri, non sarà mai possibile affermarci come dovremmo e dare un senso ai cinque anni di studi che abbiamo seguito. I ragazzi iscritti all’università dovrebbero impegnarsi per questo diritto e lottare fin da ora”.
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