Gli archeologi de L’Orientale in missione

Un variopinto paesaggio di archeologie in stretto contatto, seppur lontanissime, che da cinquant’anni dialogano e mutuano vicendevolmente i propri interessi di ricerca sulle civiltà antiche. È l’attuale conformazione dei corsi
di Archeologia a L’Orientale, che culminano proprio in questo periodo dell’anno in molteplici missioni di rilievo, nel panorama italiano e internazionale. Una tradizione consolidata che risale alla metà degli anni Sessanta con l’attivazione di un primo seminario sull’Archeologia Orientale e che oggi si impernia su due Corsi di Laurea distinti per ciclo di studi Triennale e Magistrale. “Da quegli anni si è registrato un costante e continuo aumento degli
insegnamenti di ambito archeologico – dal bacino Mediterraneo alla penisola araba fino a toccare le propaggini asiatiche – che si sono sempre avvalsi dei risultati ottenuti grazie alle ricerche condotte sul campo dai docenti”, afferma la prof.ssa Roberta Giunta, docente di Archeologia e Storia dell’arte musulmana e Coordinatrice del Corso
di primo livello in Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente. Sbocco naturale della vivace laboriosità dei docenti sono le numerose missioni “che si svolgono sia in Italia in sinergia con le Sovrintendenze sia in diverse aree dei continenti Africa e Asia, grazie soprattutto a finanziamenti da parte del Ministero degli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, nel quadro di accordi tra l’Ateneo e le Autorità dei paesi stranieri”. La finalità intrinseca dell’adesione a campagne di scavo risiede senza alcun dubbio nella formazione empirica, “nonché la costruzione di banche dati e di una cartografia archeologica utili per la gestione del patrimonio culturale”.
In alcune aree, un contributo fondamentale è indirizzato “alla protezione, salvaguardia e valorizzazione delle antichità che rappresentano, come d’altra parte in Italia, anche un’occasione di sviluppo sostenibile”.
In Italia Il cantiere scuola di Cuma
Partendo dal suolo nostrano, sono in corso d’opera “i lavori del prof. Fabrizio Pesando a Torre del Greco e in vari comuni delle Marche, volti soprattutto, attraverso metodologie non invasive, all’acquisizione di una documentazione utile a successivi interventi di restauro e recupero delle strutture romane. Alcune di queste sono oggi sommerse e richiedono quindi indagini di archeologia subacquea”. Riservano grandi opportunità per gli studenti le attività archeologiche che si svolgono sul territorio napoletano. Tra queste, lo storico progetto “avviato vari anni fa dal prof. Bruno D’Agostino e oggi diretto dal prof. Matteo D’Acunto” sull’insediamento romano di Cuma. In particolare, “gli scavi più recenti hanno messo in luce per la prima volta nella storia delle ricerche un ampio settore dell’abitato greco-romano”. Gli scavi cumani rappresentano: “un cantiere- scuola di 70/100 studenti
provenienti dall’Ateneo e da altre Università italiane e straniere coinvolti per 5-6 settimane tra settembre
e gli inizi di ottobre in tutte le fasi di lavoro, dallo scavo stratigrafico alla documentazione grafica e fotografica,
alla pulizia e alla classificazione dei reperti”. Ulteriori fermenti di studio sono concentrati intorno ai “materiali e ai monumenti del centro storico di Napoli, grazie soprattutto all’impegno della prof.ssa Anna Maria D’Onofrio, in linea con un tradizionale interesse dell’Ateneo che ha condotto tra l’altro scavi a Palazzo Corigliano, ancora oggi visibili nell’aula delle Antichità”.
In Africa
Egitto, Sudan, Eritrea ed Etiopia. “La prof.ssa Rosanna Pirelli dirige con il dott. Andrea D’Andrea le ricerche finalizzate alla ricostruzione della planimetria del tempio solare di Niuserra ad Abu Ghurab, a sud-ovest del Cairo, attraverso l’uso di tecnologie digitali, tra cui il laser scanner 3D e la fotogrammetria”. Peraltro, l’egittologa è impegnata nel “progetto di studio e conservazione del monastero di Abba Nefer a Manqabad, in Medio Egitto”. Sulla riva opposta del Nilo, opera invece la prof.ssa Irene Bragantini. “Da sempre il Deserto orientale è un’area strategica per le comunicazioni tra la Valle del Nilo e il Mar Rosso. Qui si intende ricostruire il paesaggio geoarcheologico, indagando i modi e i tempi dello sfruttamento delle risorse minerarie nelle diverse epoche della storia egiziana”. In collaborazione con l’Università di Boston, “il prof. Andrea Manzo conduce una missione nel sito faraonico di Mersa Wadi Gawasis, porto da cui intorno al 2000 a.C. partivano le spedizioni navali verso la terra di Punt, nel Mar Rosso meridionale”. Si avvalgono della presenza di studenti della Magistrale e dottorandi dell’Ateneo altri due progetti guidati dal prof. Manzo: “nel Sudan orientale ed Eritrea, in una regione dove gli Egiziani nel III e II millennio a.C. si procuravano avorio, ebano e aromi; e in Etiopia – in collaborazione con la dott.ssa Luisa Sernicola, laureata e dottorata presso L’Orientale – vicino all’antica capitale Aksum di cui si vogliono studiare le origini che risalgono al I millennio a.C.”. Sull’altro versante del Mar Rosso, “il prof. Romolo Loreto coordina due missioni: una a Dumat al-Jandal, nella zona settentrionale dell’Arabia Saudita, importante centro carovaniero citato anche nelle fonti assire dell’VIII e VI secolo a.C.; e sulla costa dell’Oman per studiare i modi di vita delle antiche popolazioni costiere”. Inoltre, l’archeologo orientalista è coinvolto assieme alla prof.ssa Chiara Zazzaro “nella prima missione archeologica italiana subacquea nel Mar Rosso. Le operazioni di ricognizione, cominciate nel settembre del 2015, hanno portato all’individuazione dei resti di una nave mercantile del XVIII secolo, naufragata in prossimità di un banco corallino, alcune miglia dalla costa, a 20 metri di profondità”.
In Asia
Iran, Uzbekistan, Cina, Afghanistan, Kurdistan. “Fino a tempi recenti, il prof. Bruno Genito ha diretto tre progetti in Iran: uno studio preliminare topografico dell’area della città sasanide di Bishapur, una ricognizione topografica del sito di Lelar databile dall’età del Ferro all’epoca sasanide e la realizzazione di un archivio informatizzato dei reperti portati in luce durante gli scavi della Grande Moschea di Isfahan”. Tra i suoi interessi più attuali, “a Kojtepa in Uzbekistan un insediamento fortificato databile tra il VI sec. a.C. e il II d.C. e a Xi’an in Cina un progetto che mira all’individuazione dei tratti culturali delle popolazioni nomadiche fino all’epoca altomedievale lungo le Vie della Seta”. Per nulla avulse dalle ricerche archeologiche in fieri le cosiddette zone ‘a rischio’, “che offrono, tuttavia, adeguate garanzie di sicurezza, sempre di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, condizione imprescindibile soprattutto se c’è un coinvolgimento degli studenti”. Per esempio, in Afghanistan, dove – oltre alle stesse ricerche nel settore islamico della prof.ssa Giunta – “la missione diretta dalla prof. ssa Anna Filigenzi non tiene aperti
cantieri propri, ma affianca scavi, ricognizioni e restauri dell’Afghan National Institute of Archaeology”. Le campagne d’indagini nel cuore dell’Eurasia, in particolare, sono intese a “sostenere la costruzione e lo sviluppo di capacità tecnico-scientifiche locali e curare attraverso un’apposita piattaforma digitale i dati archeologici di vecchia e nuova acquisizione e il loro inserimento critico nel circuito accademico e nel panorama della storia culturale globale”. In ultimo, non bisogna trascurare “la missione di ricognizione nel Kurdistan iracheno, in cui la prof.ssa Simonetta Graziani ha collaborato tre anni fa nel quadro di un accordo con l’Università di Venezia”.
Sabrina Sabatino
- Advertisement -




Articoli Correlati