Gli splendidi anni ’60, il periodo d’oro della Geologia napoletana

Sotto quella cupola, qui a San Marcellino, siamo cresciuti”. Il count down è partito. La sede storica di San Marcellino si appresta a dire addio ai suoi studiosi, pronti ad accasarsi a Monte Sant’Angelo. Così, per un po’, alla Federico II, Geologia ha fatto rima con nostalgia, un sentimento condiviso da tutta la comunità scientifica che ha partecipato al seminario intitolato: “Dalle geosinclinali alle zolle litosferiche. La Geologia a Napoli durante l’avventura scientifica degli anni ‘60”. L’incontro, tenutosi il 22 gennaio nell’aula Paola De Capoa, è stato un excursus degli anni d’oro della Geologia napoletana. A parlare al folto pubblico giunto a Largo San Marcellino, due dei protagonisti di quella storia, i professori Paolo Scandone e Bruno D’Argenio. Perché parlare di uno studio di più di cinquanta anni fa? Il motivo è stato presto spiegato dall’organizzatore dell’evento, il professor Alessandro Iannace: “L’obiettivo di oggi è indagare un momento fondamentale per la nostra produzione di conoscenza. Il lavoro svolto negli anni Sessanta rappresentava per noi studenti degli anni Ottanta il prima e il dopo della Geologia. Lo schema geologico dell’Appennino meridionale ha consentito di fare un salto dal passato al moderno. Le persone che abbiamo invitato sono gli autori fondamentali di questo studio”. Il faccia a faccia tra i due Maestri è stato moderato da un’altra importante personalità dell’Ateneo federiciano, il professor Piero de Castro, il quale, dopo i saluti dell’Assessore regionale Guido Trombetti, ha ricostruito lo sfondo del panorama scientifico precedente agli anni Sessanta del Novecento: “In ambito universitario lo studio di Scienze della terra inizia con Ferdinando IV di Borbone, quando nel 1860 istituì il Museo geomineralogico”. Cento anni di storia raccontati brevemente per arrivare a quel fatidico 1960, quando la geologia è diventata grande grazie “alla crescita delle ricerche di minerali, molle potenti che agivano a livello politico e locale”. 
 
Giuseppe De Lorenzo, un genio
 
Ricche di riferimenti storici anche le parole del primo relatore, il professor D’Argenio, che, con non poca emozione, ha innanzitutto ricordato i suoi esordi da docente, circa cinquanta anni fa. La sua relazione è stata un viaggio lungo, le cui tappe hanno avuto nomi ben precisi. Li cita tutti, dai Direttori d’Istituto di Geologia che si sono succeduti tra gli anni Cinquanta e Settanta, i professori D’Erasmo, Lazzari e Scarsella, ai bidelli, fino a soffermarsi su “un personaggio mitico”, Giuseppe De Lorenzo, definito “un genio polivalente che fu geologo, petrografo, paleontologo, ma anche un umanista raffinato”. È quello il contesto nel quale lui è stato studente: “quando mi sono iscritto nel 1954 eravamo non più di 7-8 studenti”, che frequentavano un Corso di Laurea definito “un vestito di Arlecchino – molti esami erano mutuati da altre Facoltà del tempo – efficace e formativo”. Un vestito che ha rappresentato il punto di partenza del lavoro ricordato al seminario: “nella seconda metà degli anni ’60 si approfondirono le conoscenze sui modelli sedimentari da usare per interpretare i diversi domini di facies che si erano individuati negli anni precedenti”. Quella comunità scientifica ha avuto un respiro internazionale ed è riuscita a imporsi in maniera significativa: “credo si possa parlare di Scuola di Napoli. Questo è anche un merito di Scarsella, che non si era proposto di crearla ma che lasciò germogliare con una buona dose di liberalità e di equidistanza”. Ricorda il Direttore Scarsella anche il professor Scandone: “le sue lezioni erano un po’ noiose, ma lui era un liberale e lasciava mano libera all’interpretazione dei giovani che lo circondavano”. 
 
Signorini e Selci, due mostri sacri
 
Il suo pensiero va poi a due “mostri sacri”, il professor Signorini, “persona amabilissima”, e il geologo Selci, una persona “apparentemente dura, ma in realtà gradevolissima”. Tutti ingranaggi di un meccanismo perfetto e, forse, perduto per sempre: “quella degli anni Sessanta è un’esperienza fortunata, ma irripetibile. Oggi ci sono gli allievi, noi eravamo autodidatti. Tutto questo può essere raccontato ma non rivissuto. Siamo quindi nel campo del puro amarcord”. A meno che qualcosa non cambi: “l’università dovrebbe tornare a fare ricerca spendibile per beni comuni come l’ambiente, le georisorse rinnovabili e altre”. 
Se il passato è descritto come un Paradiso, il presente, allo stato attuale, sembra poter vestire, al massimo, i panni del Purgatorio. Nelle parole degli studenti traspare insoddisfazione e sfiducia per una realtà di certo non aiutata dalle decisioni prese dal governo in questi anni. Era solo il 2011 quando, come riportato da diverse testate, l’allora governo Berlusconi decise di chiudere i tre quarti dei Dipartimenti di Geologia italiani. Non nasconde l’amarezza Chiara Gargiulo, in procinto di laurearsi alla Magistrale: “oggi ci hanno mostrato come hanno vissuto quegli anni d’oro. Loro sono stati autodidatti, noi siamo allievi. Il messaggio è stato molto duro. Qui siamo molto vincolati. Non dai professori, ma dalla società, perché non ci sono mai i fondi disponibili. Così, anche per fare esperienza pratica all’università, abbiamo dovuto spendere soldi nostri”. Stesso sentimento quello provato dalla sua collega, Sara Pecorario Martucci: “la realtà di oggi non è quella di allora. Forse manca il coinvolgimento che c’era in passato. La nostra preparazione è puramente teorica, quella loro invece è fatta sul campo. A noi manca la pratica. Un incontro del genere forse lascia più amarezza che speranza. Usciamo da qui senza essere né carne né pesce”. Nota le differenze con il passato ancora un altro studente della Magistrale, Fulvio Tacito: “secondo me prima si lavorava meglio e c’era di più il piacere di fare gruppo. Oggi, invece, c’è molto più individualismo. Le prospettive sono poche e siamo in uno stato psicologico molto difficile, siamo abbattuti”. 
Lo splendore degli anni Sessanta è lontano. Alla sede di San Marcellino restano i buoni ricordi. Le speranze di ripresa partono da Monte Sant’Angelo. 
Ciro Baldini
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