Un detenuto racconta di quando il suo bambino lo viene a trovare in carcere, dei giochi che fanno; racconta della figlia di un suo compagno, soltanto una bambina anche lei, convinta che il papà non abbia le gambe perché abituata a vederlo a metà dietro il divisorio dei colloqui nell’orario delle visite. Un gruppo di detenuti a tavola, in cella: qualcuno dopo il primo piatto chiede se c’è il secondo e gli altri lo prendono in giro, mica si può pretendere di mangiare come al ristorante. Due detenuti in palestra, che sollevano pesi e parlano della fede. “Io da quando ho scoperto Dio mi sento un uomo nuovo, ho un vangelo piccolino, se vuoi te lo presto”. Scene di quotidianità nel carcere di Rebibbia, tratte dal documentario Piccoli ergastoli dell’attrice e regista Francesca D’Aloja, che dall’esperienza di volontaria nel penitenziario romano ha tratto spunto anche per la stesura di un romanzo largamente autobiografico, Il sogno cattivo, edito da Mondadori. D’Aloja era tra i relatori della riuscita tavola rotonda su Compatibilità delle carceri italiane con la dignità della vita tenutasi il 27 novembre presso la Facoltà di Giurisprudenza Federico II. Organizzato dal C.I.R.B, Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica, l’incontro ha visto la partecipazione del vice capo del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), dott. Emilio Di Somma, e del prof. Adolfo Russo, docente della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. A introdurre la discussione, moderata dal direttore del C.I.R.B. prof. Enrico Di Salvo–di recente rieletto alla guida del Centro fino al 2009-, ha pensato il Presidente di Corte d’Appello dott. Luigi Martone; l’intervento su Finalità e funzioni della pena è stato svolto dal prof. Pasquale Troncone. Non è mancato il saluto del prof. Michele Scudiero, Preside della Facoltà di Giurisprudenza, che ha ringraziato il C.I.R.B per avere ancora una volta realizzato un’occasione di riflessione su un tema importante, connesso con quello della dignità dell’uomo che è alla base di tutte le moderne costituzioni. Ultimamente di carcere si parla spesso, è un argomento venuto alla ribalta soprattutto in seguito all’approvazione dell’indulto. Il prof. Di Salvo ha però spiegato che l’idea di organizzare un momento di discussione sul tema gli è venuta l’estate scorsa “dopo aver letto su Time Magazine che nella propria vita media un nord americano pensa alla popolazione delle carceri per tre ore”. E se questo avviene in America, dove ancora esiste la pena di morte, vuol dire che qui da noi ci si pensa per molto meno di tre ore nell’arco di 70 o 80 anni. Praticamente mai. Perché il carcere è un luogo “altro” da noi, le cui mura danno sicurezza a tanti cittadini, come ha efficacemente sottolineato Di Somma durante il suo intervento intitolato Il diritto alla dignità nella vita reclusa. “Chi ha sbagliato deve pagare e nessuno lo contesta – ha detto- però il delitto deve restare alle porte del carcere, dentro entra l’uomo. L’uomo può cambiare e deve essergliene data l’opportunità per fare in modo che il tempo del carcere non sia solo il tempo dell’esclusione”. Eppure, nonostante i tentativi normativi di andare in direzione diversa, il penitenziario continua ad essere il luogo dell’emarginazione. Adolfo Russo, che come cappellano del carcere di Poggioreale si è definito “non un tecnico ma un testimone”, ha letto alcuni dati relativi all’anno 2004 che tracciano un identikit dello stato degli istituti di pena italiani: 15 mila detenuti in soprannumero, di cui il 27% tossicodipendenti e il 20% affetti da patologie del sistema nervoso e da disturbi mentali. Nel 2004 ci sono state 330 manifestazioni collettive di protesta, 10 mila proteste individuali, 5.900 episodi di autolesionismo, 713 tentativi di suicidio di cui 52 riusciti, 22 casi di morti non accertate. Il prof. Russo ha parlato di Prossimità al vissuto carcerario volendo sottolineare che i numeri del disagio sono il frutto di un errato modo di intendere il senso della pena, sul cui sfondo non può esserci un’idea di giustizia basata unicamente sull’ “unicuique suum”. “La giustizia non è semplicemente quella che dà a ciascuno ciò che si merita, ma quella che si fa carico della condizione del povero e dell’emarginato. Dio rende giustizia giustificando anche l’empio, nel senso che lo mette in condizione di non essere più tale”. Sul modo di intendere la pena si riflette da teologi ma anche da giuristi, come ha fatto il prof. Troncone evidenziando che il carcere non è indispensabile e che “va spezzato il nesso tra carcere e pena”. Ne è seguito un breve excursus sugli interventi del legislatore in materia. L’incontro ha posto nella giusta luce i diversi aspetti che riguardano la realtà del penitenziario, dando finalmente particolare attenzione a quelli più strettamente collegati con la dignità e le elementari esigenze di vita dell’uomo. Non solo e non tanto di indulto, nuove e vecchie carceri, permessi e libere uscite si è parlato, quanto di salute, affettività, sessualità, quotidianità per chi è tenuto a pagare il conto con la società. Francesca D’Aloja, entrata in un penitenziario per il suo lavoro di regista undici anni fa, quando oggi parla di carcere esprime un sentimento d’amore, che come ha detto Enrico Di Salvo, “è l’unica vera testa d’ariete con cui si può entrare nelle carceri”.
Sara Pepe
Sara Pepe