Mani che lavorano, la tradizione cucita insieme con l’innovazione, showroom dall’atmosfera calda e accogliente e una costante ricerca del bello: ecco l’abito tessuto ad arte indossato da Kiton, l’azienda campana eccellenza mondiale nel campo della sartoria tradizionale, protagonista del seminario “La valorizzazione del capitale umano: il caso Kiton” tenutosi martedì 13 novembre presso il campus universitario di Monte Sant’Angelo. Seminario che rientra nel ciclo di incontri organizzati dal prof. Mauro Sciarelli nell’ambito delle sue lezioni di Governo ed Etica d’Impresa (cattedra L-Z) e del Laboratorio di Imprenditorialità e Finanza Etica (Life).
A presentare e rappresentare l’azienda, il direttore generale Simone Cavallo: “Guardate questi video. Osservate attentamente, che cosa notate? Mani che si muovono e realizzano prodotti, cose antiche, sughero. È il nostro modo di presentare questa azienda fondata da Ciro Paone, un genio che, nel momento in cui l’Italia si avviava verso un vestiario confezionato in serie, decise di andare contro corrente e riportare in auge la cultura tipicamente napoletana del vestito su misura”. È di sartoria industriale che parla il dott. Cavallo. Non è forse un ossimoro? “No, perché noi abbiamo una vera e propria catena di produzione composta non da macchine bensì dalle menti e dall’esperienza dei nostri sarti che creano abiti, fatti a mano, di altissima qualità”. Ma chi è il cliente Kiton? “Abbiamo un numero limitato di compratori, indubbiamente ricchi. Arrivano da tutto il mondo in aerei privati, pranzano con noi e possono permettersi di spendere anche un milione di euro in vestiario. Ma attenzione… da parte nostra non c’è alcuna ostentazione. I nostri abiti non hanno marchi o segni di riconoscimento. Chi veste Kiton parte da una posizione sociale tale da non sentire l’esigenza di dimostrare chi sia. Chi veste Kiton lo fa per se stesso, per stare bene all’interno del proprio abito. Ad oggi, abbiamo 800 dipendenti di cui 100 all’estero, punti vendita in Europa, Cina, Stati Uniti e Sud Est asiatico, la sede centrale ad Arzano e distretti in tutta Italia facenti parte tutti della stessa società, il che ci dà la possibilità di controllare in prima persona tutta la filiera produttiva. Questo naturalmente comporta dei costi alti. Il prezzo dei nostri abiti parte dai 5-6000 euro fino a toccare picchi di 30 mila dollari. Vi sembra poco etico? Allora considerate queste somme in relazione ai servizi e all’altissimo valore che offriamo”.
La parola agli studenti. Qualcuno si informa sugli studi e sulle esperienze professionali del dott. Cavallo, forse sperando di poter emulare la sua carriera. Lei è laureato in Ingegneria. È così che ha acquisito il metodo di pensiero che le ha consentito di raggiungere questa posizione? “Tutte le lauree consentono di acquisire un metodo scientifico. La laurea è fondamentale proprio perché ci rende capaci di affrontare ogni problema con metodo. È questo che dico anche ai miei figli”. Ci ha detto di aver lavorato molto fuori dall’Italia e nel campo dell’ingegneria. Perché poi ha scelto Napoli e l’azienda Kiton? “Sono stato negli Stati Uniti, a Tel-Aviv e in varie parti dell’Europa. È stata un’esperienza formativa, un’immersione nelle altre culture. Ma poi si ha voglia di tornare alle radici. Quando sono rientrato in Italia, il nostro paese non era appetibile da un punto di vista tecnologico. L’Italia è più forte nei campi del food e della moda. Ho lavorato all’interno della Kimbo per sei anni. E infine ho scelto la Kiton perché è un’eccellenza e rappresentava per me una sfida stimolante”. Momento curiosità. Perché l’azienda si chiama Kiton? “Kiton deriva da chitone, la veste cerimoniale indossata dall’antica aristocrazia greca. Era un abito prezioso, proprio come lo sono i nostri. Negli anni Sessanta, inoltre, la k veniva adottata anche un po’ per scaramanzia”. Tra i vostri clienti ci sono anche arabi. Avete mai pensato di produrre abiti tradizionali del mondo arabo come la tunica bianca? “Ricordate che la cultura conta. La perfezione risiede anche nella padronanza e nella conoscenza storica di un prodotto. Perché produrre tuniche arabe? Gli arabi saranno sicuramente più bravi di noi a farle perché è un prodotto che fa parte della loro cultura”.
Il prof. Sciarelli riporta gli studenti sulla retta via e rientra in argomento: “Non dimentichiamo che l’incontro di oggi è dedicato alle risorse umane. In che modo la vostra azienda impiega queste risorse? Come combina genio e capitale umano?”. “Le parole chiave sono competenza e continuità. I sarti sono il nostro seme. Forse non tutti sanno che l’azienda ha creato una scuola interna di sartoria. Ogni tre anni, tramite un bando, hanno accesso alla scuola 25 persone che vengono formate da professionisti che lavorano in azienda. All’inizio magari non sapranno fare un abito da soli, ma nel tempo progrediranno e acquisiranno delle competenze. C’è di più. La nostra produzione è distribuita in più distretti e abbiamo bisogno di standardizzare i processi produttivi affinché la creatività dei nostri artigiani non esca dalla nostra tipica linea di produzione. Così formiamo anche dei quadri intermedi che si muovono tra le aziende diffondendo le medesime competenze”. Ancora la parola agli studenti. Come avviene il processo produttivo? Chi sono i vostri stilisti? I clienti possono scegliere il modello di un abito? “I nostri sono stilisti storici cresciuti all’interno dell’azienda e conoscono i valori sui cui si basa la nostra produzione. Ma i tempi cambiano e devono mediare tra il mercato che si evolve e il pubblico che è abituato ad un certo tipo di prodotto che non deve essere snaturato. Naturalmente delle innovazioni non possono non essere inserite. Dobbiamo essere anche al passo con i tempi”. La nuova linea per i più giovani ad esempio? “Oggi c’è una nuova fascia di clienti che man mano diventano più abbienti. Abbiamo visto che nel mondo i giovani sono disposti a spendere molto di più degli over 50. Per questa fascia c’è una specifica collezione che non ha marchio Kiton, ma Knt con, ad esempio, pantaloni nuovi senza più passanti, realizzati nella parte alta con tessuti stretch come fossero delle tute e che nella parte bassa rispecchiano il modello classico. Non bisogna mai effettuare cambiamenti in modo troppo drastico o si rischia che il cliente abituale si senta tradito. Bisogna introdurlo all’innovazione nel modo giusto”. Allora come ci si adatta alle nuove esigenze della moda? “Consideriamo il mercato moderno. Un domani l’uomo potrebbe non portare più la cravatta perché siamo tempestati dall’immagine della t-shirt sotto il vestito. Lo stesso vale per la camicia. Già da anni la Kiton ha cominciato a puntare su altro oltre ai capi spalla e nel tempo abbiamo introdotto piccole novità. Le nostre giacche, ad esempio, non sono più rigide, non sono più foderate all’interno e hanno un taglio più giovanile. Il tutto va fatto un passo alla volta per convincere il cliente che l’azienda non sta perdendo la sua natura”. Come vi difendete dalla concorrenza? “Scommettiamo sulle nostre collezioni che presentiamo due volte all’anno. Facciamo un incredibile lavoro di ricerca per offrire al cliente qualcosa di nuovo prima che lo facciano gli altri. Stare avanti vuol dire anche innovare nel modo giusto, l’innovazione è un lampo di genio e arriva quando si è circondati dal bello”. A concludere il dibattito è il prof. Sciarelli che centra nuovamente il discorso sulla gestione interna dell’azienda e sul suo codice etico. “Abbiamo un organismo di vigilanza esterno che riceve eventuali segnalazioni e che agisce in base al nostro codice etico. Dobbiamo garantire a tutte le persone che osservano i nostri processi che questi effettivamente ci siano, che seguano determinate regole, che siano identificati i punti critici che possono generare una cattiva condotta e responsabilizzare i nodi dell’azienda. Tutto ciò si fa organizzando un’impresa secondo i dettami del decreto legge 2,3,1 all’interno del quale si parla anche di codice etico. Tutti quelli che girano intorno alla nostra azienda sono obbligati ad accettare e rispettare il nostro codice etico”, conclude il dott. Cavallo.
Carol Simeoli
A presentare e rappresentare l’azienda, il direttore generale Simone Cavallo: “Guardate questi video. Osservate attentamente, che cosa notate? Mani che si muovono e realizzano prodotti, cose antiche, sughero. È il nostro modo di presentare questa azienda fondata da Ciro Paone, un genio che, nel momento in cui l’Italia si avviava verso un vestiario confezionato in serie, decise di andare contro corrente e riportare in auge la cultura tipicamente napoletana del vestito su misura”. È di sartoria industriale che parla il dott. Cavallo. Non è forse un ossimoro? “No, perché noi abbiamo una vera e propria catena di produzione composta non da macchine bensì dalle menti e dall’esperienza dei nostri sarti che creano abiti, fatti a mano, di altissima qualità”. Ma chi è il cliente Kiton? “Abbiamo un numero limitato di compratori, indubbiamente ricchi. Arrivano da tutto il mondo in aerei privati, pranzano con noi e possono permettersi di spendere anche un milione di euro in vestiario. Ma attenzione… da parte nostra non c’è alcuna ostentazione. I nostri abiti non hanno marchi o segni di riconoscimento. Chi veste Kiton parte da una posizione sociale tale da non sentire l’esigenza di dimostrare chi sia. Chi veste Kiton lo fa per se stesso, per stare bene all’interno del proprio abito. Ad oggi, abbiamo 800 dipendenti di cui 100 all’estero, punti vendita in Europa, Cina, Stati Uniti e Sud Est asiatico, la sede centrale ad Arzano e distretti in tutta Italia facenti parte tutti della stessa società, il che ci dà la possibilità di controllare in prima persona tutta la filiera produttiva. Questo naturalmente comporta dei costi alti. Il prezzo dei nostri abiti parte dai 5-6000 euro fino a toccare picchi di 30 mila dollari. Vi sembra poco etico? Allora considerate queste somme in relazione ai servizi e all’altissimo valore che offriamo”.
La parola agli studenti. Qualcuno si informa sugli studi e sulle esperienze professionali del dott. Cavallo, forse sperando di poter emulare la sua carriera. Lei è laureato in Ingegneria. È così che ha acquisito il metodo di pensiero che le ha consentito di raggiungere questa posizione? “Tutte le lauree consentono di acquisire un metodo scientifico. La laurea è fondamentale proprio perché ci rende capaci di affrontare ogni problema con metodo. È questo che dico anche ai miei figli”. Ci ha detto di aver lavorato molto fuori dall’Italia e nel campo dell’ingegneria. Perché poi ha scelto Napoli e l’azienda Kiton? “Sono stato negli Stati Uniti, a Tel-Aviv e in varie parti dell’Europa. È stata un’esperienza formativa, un’immersione nelle altre culture. Ma poi si ha voglia di tornare alle radici. Quando sono rientrato in Italia, il nostro paese non era appetibile da un punto di vista tecnologico. L’Italia è più forte nei campi del food e della moda. Ho lavorato all’interno della Kimbo per sei anni. E infine ho scelto la Kiton perché è un’eccellenza e rappresentava per me una sfida stimolante”. Momento curiosità. Perché l’azienda si chiama Kiton? “Kiton deriva da chitone, la veste cerimoniale indossata dall’antica aristocrazia greca. Era un abito prezioso, proprio come lo sono i nostri. Negli anni Sessanta, inoltre, la k veniva adottata anche un po’ per scaramanzia”. Tra i vostri clienti ci sono anche arabi. Avete mai pensato di produrre abiti tradizionali del mondo arabo come la tunica bianca? “Ricordate che la cultura conta. La perfezione risiede anche nella padronanza e nella conoscenza storica di un prodotto. Perché produrre tuniche arabe? Gli arabi saranno sicuramente più bravi di noi a farle perché è un prodotto che fa parte della loro cultura”.
Il prof. Sciarelli riporta gli studenti sulla retta via e rientra in argomento: “Non dimentichiamo che l’incontro di oggi è dedicato alle risorse umane. In che modo la vostra azienda impiega queste risorse? Come combina genio e capitale umano?”. “Le parole chiave sono competenza e continuità. I sarti sono il nostro seme. Forse non tutti sanno che l’azienda ha creato una scuola interna di sartoria. Ogni tre anni, tramite un bando, hanno accesso alla scuola 25 persone che vengono formate da professionisti che lavorano in azienda. All’inizio magari non sapranno fare un abito da soli, ma nel tempo progrediranno e acquisiranno delle competenze. C’è di più. La nostra produzione è distribuita in più distretti e abbiamo bisogno di standardizzare i processi produttivi affinché la creatività dei nostri artigiani non esca dalla nostra tipica linea di produzione. Così formiamo anche dei quadri intermedi che si muovono tra le aziende diffondendo le medesime competenze”. Ancora la parola agli studenti. Come avviene il processo produttivo? Chi sono i vostri stilisti? I clienti possono scegliere il modello di un abito? “I nostri sono stilisti storici cresciuti all’interno dell’azienda e conoscono i valori sui cui si basa la nostra produzione. Ma i tempi cambiano e devono mediare tra il mercato che si evolve e il pubblico che è abituato ad un certo tipo di prodotto che non deve essere snaturato. Naturalmente delle innovazioni non possono non essere inserite. Dobbiamo essere anche al passo con i tempi”. La nuova linea per i più giovani ad esempio? “Oggi c’è una nuova fascia di clienti che man mano diventano più abbienti. Abbiamo visto che nel mondo i giovani sono disposti a spendere molto di più degli over 50. Per questa fascia c’è una specifica collezione che non ha marchio Kiton, ma Knt con, ad esempio, pantaloni nuovi senza più passanti, realizzati nella parte alta con tessuti stretch come fossero delle tute e che nella parte bassa rispecchiano il modello classico. Non bisogna mai effettuare cambiamenti in modo troppo drastico o si rischia che il cliente abituale si senta tradito. Bisogna introdurlo all’innovazione nel modo giusto”. Allora come ci si adatta alle nuove esigenze della moda? “Consideriamo il mercato moderno. Un domani l’uomo potrebbe non portare più la cravatta perché siamo tempestati dall’immagine della t-shirt sotto il vestito. Lo stesso vale per la camicia. Già da anni la Kiton ha cominciato a puntare su altro oltre ai capi spalla e nel tempo abbiamo introdotto piccole novità. Le nostre giacche, ad esempio, non sono più rigide, non sono più foderate all’interno e hanno un taglio più giovanile. Il tutto va fatto un passo alla volta per convincere il cliente che l’azienda non sta perdendo la sua natura”. Come vi difendete dalla concorrenza? “Scommettiamo sulle nostre collezioni che presentiamo due volte all’anno. Facciamo un incredibile lavoro di ricerca per offrire al cliente qualcosa di nuovo prima che lo facciano gli altri. Stare avanti vuol dire anche innovare nel modo giusto, l’innovazione è un lampo di genio e arriva quando si è circondati dal bello”. A concludere il dibattito è il prof. Sciarelli che centra nuovamente il discorso sulla gestione interna dell’azienda e sul suo codice etico. “Abbiamo un organismo di vigilanza esterno che riceve eventuali segnalazioni e che agisce in base al nostro codice etico. Dobbiamo garantire a tutte le persone che osservano i nostri processi che questi effettivamente ci siano, che seguano determinate regole, che siano identificati i punti critici che possono generare una cattiva condotta e responsabilizzare i nodi dell’azienda. Tutto ciò si fa organizzando un’impresa secondo i dettami del decreto legge 2,3,1 all’interno del quale si parla anche di codice etico. Tutti quelli che girano intorno alla nostra azienda sono obbligati ad accettare e rispettare il nostro codice etico”, conclude il dott. Cavallo.
Carol Simeoli