In pensione cinque anni prima: la scelta insolita del prof. Carlo Panico

Quarant’anni fra numeri, teorie economiche e ricerca. E poi una scelta insolita: il prof. Carlo Panico ha anticipato la pensione lasciando prima del tempo il Dipartimento di Giurisprudenza e l’insegnamento di Economia Politica. A 65 anni, il docente ha preferito allontanarsi dalla vita accademica per dedicarsi ad altri aspetti e prospettive professionali. “Sarei dovuto andare in pensione a 70 anni – racconta – ma ho deciso di anticipare questo momento per motivi personali. Certo non sto con le mani in mano: viaggio, tengo corsi all’estero ed insegno ancora, ma lo faccio con maggiore libertà, senza sentire più il ‘peso’ universitario”. Laureato nel 1976 in Economia alla Federico II, ottiene solo dopo due mesi un assegno di formazione presso la stessa Facoltà. Dottorato a Cambridge nel 1983, ricercatore stabile alla Federico II dall’87, ottiene la cattedra di associato a Messina e poi quella di ordinario a Catania per ritornare nel ’93 a Scienze Politiche a Napoli. È nel 2003 che incontra la Facoltà di Giurisprudenza dove porta una prima innovazione: un blog di Economia Politica dove gli studenti possono scambiare materiale, formarsi e dibattere su importanti temi. 
Il calo di 
entusiasmo
“Non dimentico ciò che è stato fatto con i ragazzi – continua il prof. Panico – Diventare docente mi ha dato tantissimo. Quando sono andato via, molti ragazzi mi hanno scritto. Questa è stata la maggiore ricompensa di tanto lavoro, mi sono sentito utile per coloro che rappresentano il futuro del Paese”. Negli ultimi anni però: “ho avuto la sensazione che l’Università italiana, anziché aiutare questi ragazzi, stia tornando indietro. I troppi tagli alle risorse impediscono che i Corsi di Laurea spazino con i progetti complementari. Ho pensato che l’impossibilità di organizzare tante cose avrebbe spento il mio  entusiasmo. Questo è stato l’elemento che forse ha inciso sul mio andare via. Le cose non mi emozionavano più e non ho voluto continuare ad andare in una direzione che non sentivo mia”. Secondo il docente, accanto alla formazione di base, imprescindibile, occorre vivere di altro. L’Università non è un esamificio ma un luogo dove fare esperienza. Confessa: “Sa, io agli esami mi sono sempre annoiato. Quello che mi piaceva di più erano le lezioni, i seminari, i convegni, iniziative che promuovevo in parallelo con i corsi e che rendevano concreta la parte teorica dei manuali. Il mio lavoro mi è sempre piaciuto, non mi piace, invece, andare avanti formando a senso unico”. Ed infatti fra i ricordi del docente: “ci sono quei ragazzi che sentivano di non aver ancora espresso tutte le proprie potenzialità. Ho incontrato allievi che non si sentivano compresi del tutto e solo grazie agli eventi corollari ai corsi hanno trovato una diversa dimensione, ottenendo risultati migliori. Di questi ragazzi conservo ancora l’affetto che mi hanno dimostrato”. Agli studenti va un consiglio per il futuro: “Chi si iscrive all’Università, deve farla per bene, sostenendo con grande impegno tutte le discipline. Ci troviamo di fronte ad un tasso di disoccupazione altissimo, solo chi fa un percorso brillante ha maggiori chance in campo lavorativo. Quando incontravo i ragazzi, mi rendevo subito conto di chi aveva studiato solo in funzione dell’esame e di chi, invece, aveva studiato per apprendere. Ho notato che nel post-laurea questi ultimi hanno maggiore possibilità di trovare lavoro”. Altri suggerimenti:  “vivere qualche esperienza all’estero, rimboccarsi le maniche e sfruttare tutte le possibilità. Al mondo nessuno vi regala niente, il futuro bisogna costruirlo”.
Da soli non si vince
È importante poi: “trovare degli amici, riconoscersi nelle gioie e nei problemi per darsi forza”. Perché nel nostro Paese negli ultimi anni si tende a far credere che soprattutto da soli si vince: “Non sono d’accordo con questa teoria. Quando ero uno studente, negli anni ’70, l’Università era uno spazio comune dove poter dialogare e discutere insieme. Con il tempo tutto questo è andato scemando, le iniziative che ho portato avanti volevano contrastare questo fenomeno di svuotamento delle aule. Inteso non come frequenza dei corsi, ma come luogo dove poter trovare numerosi spunti di riflessione”. L’Università italiana è sempre stata ottima: “Quando approdai a Cambridge, i miei studi universitari furono considerati già Master. Una delle più importanti Facoltà economiche al mondo teneva molto in considerazione la Federico II e la formazione conseguente. Ho paura però che questa cosa ce la stiamo un po’ giocando…”. Il presente da neo pensionato: “continuo a fare ricerca, lavoro su ciò che credo. Però mi sento meno peso sulle spalle e questo mi rende sereno e tranquillo. Non ho rimpianti, faccio ciò che mi piace. Non andrò più a lezione ma sul piano umano sono lo stesso di sempre: mi piace dialogare e confrontarmi con colleghi e studenti”. 
Susy Lubrano
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