A condurre la vita da pensionato non ci pensa proprio, impegnato com’è. Il prof. Bruno Assumma chiude la sua ultra-quarantennale carriera da docente universitario (andrà in pensione il prossimo 1° novembre), per il resto continuerà la sua vita fra lo studio legale di Roma, la docenza presso la Scuola della Guardia di Finanza ed altri mille impegni. “La mia carriera è iniziata più di 40 anni fa – racconta – quando, fresco di laurea (a La Sapienza di Roma), partecipai ad una borsa di studio presso la Facoltà di Scienze Politiche della Federico II. Successivamente, nel 1974, vinsi un concorso per ‘contrattista quadriennale’ (odierno assistente di cattedra) all’Università di Salerno”. L’esperienza a Salerno si concluse nel 1979, quando il docente arrivò all’Università di Campobasso: “Avevo un doppio incarico, insegnavo sia Criminologia che Diritto penale. Ricordo con affetto quei 7 anni passati in Molise, sono arrivato poi alla Federico II a Giurisprudenza nel 2003”. Il professore evoca i cambiamenti avvenuti in questi anni: “L’Università è cambiata moltissimo, soprattutto se ci relazioniamo ai cambiamenti avuti anche nelle università estere. Raramente abbiamo l’abitudine di confrontarci con gli stranieri in quanto a metodologia e organizzazione. Purtroppo, le nostre università sono strozzate dalla mancanza di fondi, indispensabili per avere risorse e fare ricerca. In questo senso siamo svantaggiati rispetto agli altri Paesi”. Tutto ciò ha portato ad identificare i nostri percorsi di studio: “Solo con gli esami e non come luoghi dove si fa ricerca e si forma la personalità di ogni singolo ragazzo. Negli ultimi 30 anni c’è stato, da parte degli Atenei, uno svilimento dello studente. Gli interessi di quest’ultimo sono diventati di secondo livello, le Università devono prima preoccuparsi di far quadrare il bilancio”. Il docente ritiene che le lezioni dovrebbero avere “un taglio più pratico. Occorrerebbe creare un ponte laurea – mondo del lavoro che faccia da tramite per gli studenti. Invece, nelle nostre università, per il post laurea si fa veramente poco e non ci sono grosse possibilità di interazione”. I ragazzi pagano “uno scotto di mentalità retrograda che non ha una prospettiva imprenditoriale al di là dell’offerta didattica. Anni fa proposi a Giurisprudenza un Master sul diritto d’impresa proprio per riuscire a creare un collegamento con le aziende. L’idea non fu accolta con benevolenza e questa cosa mi ha sempre lasciato l’amaro in bocca”. Lo studio deve essere accompagnato a momenti anche ludici, formativi, diversi. Qualche esempio delle iniziative promosse dal docente: portò Renato Zero nelle aule universitarie – “uno spasso, i ragazzi ancora lo ricordano a distanza di anni” -; ha promosso per molti anni visite guidate al carcere di Rebibbia – “mi piaceva l’idea che i ragazzi potessero vedere con i loro occhi cosa comporta l’esecuzione della pena, sensibilizzandoli sull’argomento. Ogni volta è sempre stata un’esperienza molto forte, soprattutto dal punto di vista umano”. Di quegli incontri: “Mi ha sempre colpito la risposta degli studenti. Hanno bisogno di calarsi anticipatamente nell’attività professionale per rendersi conto di ciò che studiano”. Il timore del futuro: “i giovani non credono nelle prospettive di lavoro, li sento ripetere spesso che se non si ha uno studio di famiglia alle spalle la vita post universitaria è problematica”. Per dare speranze, il docente ha ospitato anche testimonianze di ex allievi, ad esempio quella di “un Dirigente della Polizia di Stato, mio ex alunno laureato a Napoli. Parlò della ‘scena del delitto’, una lezione pratica accolta con fervore dalla platea studentesca. L’ex studente raccontò l’inizio della sua carriera, senza conoscere nessuno è arrivato dove voleva”. In 40 anni n’è passata di storia sotto i ponti. Professore cosa le mancherà? “L’insegnamento, in primis il rapporto quotidiano con i ragazzi”.
Susy Lubrano
Susy Lubrano