Isis e terrorismo, “l’Occidente non comprende l’Islam”

La strage di Parigi del 13 novembre, ad opera di militanti che inneggiavano ad Allah. L’esplosione in volo di un aereo russo appena decollato da Sharm el Sheikh. Gli attentati in Libano ed in Mali rivendicati dall’Isis (il primo) e da una costola di Al Qaeda (il secondo), i militanti della quale hanno risparmiato solo gli ostaggi in grado di recitare versi del Corano. Nei recenti episodi di violenza che hanno toccato vari continenti, il sangue è stato sparso in nome dell’islam. Ateneapoli ha chiesto al professore Agostino Cilardo, che insegna Diritto islamico all’Università L’Orientale, una riflessione che aiuti anche a capire, al di là della scontata ed ovvia condanna, come e perché una componente, sia pur minoritaria, di quel mondo abbia sposato la causa della violenza più cieca. 
Professore, cosa è l’Isis?
“Una organizzazione sunnita che mira, attraverso metodi violenti e barbari, a ripristinare il Califfato”.
Cosa vuol dire sunnita?
“Alla morte di Maometto una parte dei musulmani, guidati da Ali, cugino e genero di Maometto, avendone sposato la figlia, voleva che il potere restasse nella famiglia. Era la Shi at Ali, la fazione di Ali. Di lì il termine sciiti. Sono al potere, tra l’altro, in Iran ed in Iraq dopo il rovesciamento del regime di Saddam Hussein. I sunniti sono coloro i quali sostennero che, nella successione a Maometto, il vincolo di sangue non doveva avere peso. Bisognava appartenere alla tribù di Maometto, dissero, per succedergli, ma non alla sua famiglia. Attualmente i sunniti governano, per esempio, negli Emirati Arabi ed in Arabia Saudita. Tra i musulmani nel mondo la stragrande  maggioranza è sunnita”.
Storicamente, il Califfato al quale si ispira l’Isis quanto tempo è durato?
“Parliamo di una vicenda estremamente lunga. Califfo significa vicario, reggente di Maometto, ed il Califfato è iniziato alla morte di quest’ultimo. In senso proprio è durato fino al sedicesimo secolo. Poi è proseguito sotto forma di Sultanato, con i turchi. Questi ultimi non erano arabi e, non appartenendo alla tribù di Maometto, non potevano definirsi Califfi. Considerando Califfato e Sultanato insieme, possiamo dire che è durato fino al 1924”. 
Come è possibile che faccia presa, sia pure su settori minoritari del mondo musulmano, il sogno di ripristinare qualcosa, il Califfato, che ad un occidentale pare anacronistico almeno quanto il Sacro Romano Impero?
“Perché l’Islam è, dall’inizio, religione e vita civile insieme. Il Califfato rappresenta la realizzazione perfetta della religione e quindi della vita civile. È il luogo nel quale la religione islamica può vivere”.
In Occidente la separazione tra Stato e religione risale ormai ad almeno 4 secoli fa ed è arrivata dopo terribili guerre e stragi. Perché nell’Islam non è un dato acquisito?
“Nel Nuovo Testamento nulla dice che potere religioso e politico debbano strare insieme. È accaduto per una evoluzione storica e, per la stessa evoluzione storica, questa concezione è stata superata. L’Islam è dalle origini religione e vita civile, è nel Corano che si enuncia questo principio”. 
Eppure, professore, ci sono paesi come la Turchia nei quali, in alcuni periodi, è prevalsa una concezione laica dello Stato. Come si spiega?
“Fu uno strappo imposto da una èlite militare ed intellettuale guidata da Ataturk. Una infrazione alla regola, non la regola”.
Torniamo all’Isis. I giovani che hanno massacrato i loro coetanei al Bataclan, quelli che si sono fatti esplodere e quelli che imbracciavano i mitragliatori, si ispirano al jihad, la guerra santa. Cosa è il jihad per un musulmano?
“Se ne parla nel Corano, ma certamente non si può dire che i massacri di questi giorni trovino giustificazione nel Corano”.
Perché?
“Nel testo sacro all’Islam si parla innanzitutto di due jihad. Per jihad maggiore, o delle anime, si intende lo sforzo del credente di migliorare se stesso. Poi c’è il jihad minore, o dei corpi. È l’impegno per diffondere l’islam e riguarda tanto il singolo quanto lo Stato. È un principio del diritto internazionale islamico. Si può praticare, però, in molti modi, tra i quali il combattimento è solo uno dei tanti e non certo il principale. Il jihad, che è un dovere personale e collettivo, si può realizzare, per esempio, attraverso la propaganda”. 
Nei rapporti col mondo islamico, ritiene che gli Stati Uniti e l’Europa abbiano commesso errori tali da favorire l’affermazione di una organizzazione come l’Isis?
“Non c’è dubbio. L’Occidente non comprende l’Islam e non capisce con chi ha a che fare. Democrazia e diritti dell’uomo sono interpretati in maniera diversa in quei paesi. Lo si capisce se si guardano le loro costituzioni. Esportare il modello democratico occidentale, per di più con gli stivali degli eserciti e con le bombe degli aeroplani, è insensato”.
Come è potuto accadere che in Iraq l’Isis guadagnasse terreno così rapidamente?
“Lì, dopo la fine di Saddam Hussein, col sostegno degli Stati Uniti si era insediato un governo sciita che avrebbe dovuto garantire pari diritti ai sunniti. Pare non sia accaduto. I sunniti perseguitati, compresi ex esponenti e militari del partito di Hussein, laici per vocazione, hanno sposato la causa dell’Isis per non soccombere ed hanno portato nell’organizzazione la propria esperienza militare. Almeno inizialmente, c’è chi poi non esclude che l’organizzazione abbia fruito di finanziamenti ed appoggi da parte di alcuni paesi sunniti del Medio Oriente”.
Perché un venticinquenne nato in Francia abbandona da un giorno all’altro lo stile di vita occidentale e decide che i suoi concittadini sono nemici da abbattere?
“Il problema è quello della mancata integrazione delle seconde e delle terze generazioni. Vivono spesso in periferie degradate, non hanno prospettive esaltanti davanti, si barcamenano tra piccole illegalità ed un futuro incerto. In queste condizioni in alcuni individui, per fortuna una minoranza, il richiamo ad una missione assoluta – diventare soldati del Califfato per il trionfo del vero Islam – garantisce il recupero di una identità, di un senso smarrito”.
In Italia c’è chi grida allo scontro di religione. Un quotidiano, dopo la tragedia di Parigi, ha titolato: “Islamici bastardi”. Avverte il rischio di una contrapposizione violenta tra Islam ed Occidente?
“Non saprei. So per certo che meno si tira in ballo la religione, per contrastare il terrorismo dell’Isis, meglio è. I musulmani sono un miliardo e mezzo nel mondo ed in grandissima maggioranza non condividono la violenza. Se, però, si dà loro l’impressione che l’Occidente intero combatta la loro religione, si rischia solo di offrire altri soldati alla causa dell’Isis e degli altri gruppi terroristici”.
Fabrizio Geremicca
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