“Sulla scorta dello studio e delle riflessioni che abbiamo condotto insieme sino ad oggi, è bene pensare a tutte le possibilità in cui un ingegnere biomedico può essere impiegato. L’ingegnere clinico costituisce un nuovo ruolo di estrema importanza”, afferma la prof.ssa Giovanna Rotriquenz, docente a contratto, Direttore del Servizio Prevenzione e Protezione dell’ASL Caserta e Referente Regionale della Sicurezza sul Lavoro – in apertura del seminario “L’innovazione tecnologica in sanità: il ruolo dell’ingegnere clinico”, inserito nell’ambito del corso di Ingegneria Clinica, I anno del CdL Magistrale in Ingegneria Biomedica. La lezione, che ha avuto luogo il 24 aprile nella sede di via Nuova Agnano, è stata tenuta dall’ing. Lorenzo Leogrande, Presidente dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC): “L’ingegneria clinica – ha esordito – è una costola dell’ingegneria biomedica. Nella nostra associazione vi è una quantità di iscritti in continua crescita. L’ingegneria clinica si occupa prevalentemente della gestione delle tecnologie, ma anche dell’innovazione a 360° all’interno delle strutture ospedaliere”. La figura dell’ingegnere clinico è in continua trasformazione: “Uno degli aspetti più critici della nostra professione è che spesso si tende a dare per scontato chi siamo, cosa facciamo e quale può essere la nostra utilità nei vari contesti. Questa è una disciplina che nel tempo si è evoluta tantissimo. Nasce negli Stati Uniti negli anni ’70 quando i direttori generali delle zone ospedaliere si trovano di fronte ad un numero elevato di strumenti tecnologici e con l’esigenza di un professionista che li gestisca. All’inizio si trattava di un’attività di base, essenzialmente di tipo manutentivo, tesa a garantire la sicurezza di queste tecnologie”. A partire dagli anni ‘90 in poi, la professione si è evoluta tantissimo come conseguenza dell’evoluzione delle tecnologie biomediche, così “da un’attività esclusivamente manutentiva si passa al project manager. Si comincia ad interessarsi anche alla formazione”. Oggi, l’ingegnere clinico è cambiato ulteriormente: “si allontana un po’ dalla tecnologia e si avvicina di più a concetti legati alla valutazione economica. Sino ad arrivare alle dinamiche più evolute, come i dispositivi medici. Ad oggi, comunque, ci occupiamo prevalentemente di apparecchiature elettromedicali. Quello che a noi interessa è di andare a presidiare il ciclo di vita dell’apparecchiatura, da quando ne nasce la necessità all’interno di una struttura ospedaliera sino a quando bisogna dismetterla”.
Si tratta di esperti in tecnologia: “Chi, più di noi, è esperto di tecnologia e innovazione? La tecnologia è un qualcosa che va gestito. C’è da tener conto che i vari processi tecnologici stanno diventando sempre più complessi. Anche un programma può considerarsi un dispositivo medico. L’innovazione tecnologica in sanità è un’opportunità e insieme un’eccellenza. Per poterci occupare di innovazione, dobbiamo considerare che essa è di tipo incrementale. Di miglioramento graduale”.
I problemi non mancano: “La sanità richiede dei costi altissimi. Dinanzi a questo problema ci si domanda: dobbiamo dare tutto a tutti? La risposta è che le strutture sanitarie devono essere in grado di fare le scelte giuste. Bisogna andare a delineare una lista di priorità in base alle risorse che mancano all’interno dell’azienda. Scelte che avvengono spesso con criteri condivisi, altre volte senza un accordo unanime. È qui che si inserisce la HTA (Healt Technology Assessment), un approccio, o meglio un ponte, che permette di collegare conoscenze e decisioni, di far conoscere ai piani alti, dove risiedono i dirigenti, le esigenze dell’azienda. Chi decide deve essere aiutato a decidere. I professionisti hanno il compito di illustrare ai dirigenti i vari problemi e, quindi, di consentire loro di arrivare ad una decisione. Un decisione che, però, deve essere multidimensionale. Non si decide sulla base della sola valutazione clinica, ma anche economica, funzionale, della sicurezza, eccetera. L’HTA non è esente da problemi. Quello maggiore è proprio nella sua peculiarità: trovare l’evidenza. Se si prende in esame una tecnologia molto recente non c’è evidenza, non c’è nessuno che abbia fatto già degli studi su di essa. L’HTA è debole sulla sua caratteristica principale, su tutto ciò che è particolarmente innovativo. Quello che si può fare è provare ad attuare delle valutazioni sul campo”.
Soluzioni sì, ma con dei limiti: “Alcuni risolvono il problema con il MINI HTA, approccio che prevede l’utilizzo di un form con cui si strutturano le diverse dimensioni. Non è altro che una semplificazione, la quale non prevede un team di valutazione, ma solo una scheda da compilare. Potrebbe essere un punto di partenza, ma, a mio parere, l’intervento di un team di esperti resta indispensabile”.
Fabiana Carcatella
Si tratta di esperti in tecnologia: “Chi, più di noi, è esperto di tecnologia e innovazione? La tecnologia è un qualcosa che va gestito. C’è da tener conto che i vari processi tecnologici stanno diventando sempre più complessi. Anche un programma può considerarsi un dispositivo medico. L’innovazione tecnologica in sanità è un’opportunità e insieme un’eccellenza. Per poterci occupare di innovazione, dobbiamo considerare che essa è di tipo incrementale. Di miglioramento graduale”.
I problemi non mancano: “La sanità richiede dei costi altissimi. Dinanzi a questo problema ci si domanda: dobbiamo dare tutto a tutti? La risposta è che le strutture sanitarie devono essere in grado di fare le scelte giuste. Bisogna andare a delineare una lista di priorità in base alle risorse che mancano all’interno dell’azienda. Scelte che avvengono spesso con criteri condivisi, altre volte senza un accordo unanime. È qui che si inserisce la HTA (Healt Technology Assessment), un approccio, o meglio un ponte, che permette di collegare conoscenze e decisioni, di far conoscere ai piani alti, dove risiedono i dirigenti, le esigenze dell’azienda. Chi decide deve essere aiutato a decidere. I professionisti hanno il compito di illustrare ai dirigenti i vari problemi e, quindi, di consentire loro di arrivare ad una decisione. Un decisione che, però, deve essere multidimensionale. Non si decide sulla base della sola valutazione clinica, ma anche economica, funzionale, della sicurezza, eccetera. L’HTA non è esente da problemi. Quello maggiore è proprio nella sua peculiarità: trovare l’evidenza. Se si prende in esame una tecnologia molto recente non c’è evidenza, non c’è nessuno che abbia fatto già degli studi su di essa. L’HTA è debole sulla sua caratteristica principale, su tutto ciò che è particolarmente innovativo. Quello che si può fare è provare ad attuare delle valutazioni sul campo”.
Soluzioni sì, ma con dei limiti: “Alcuni risolvono il problema con il MINI HTA, approccio che prevede l’utilizzo di un form con cui si strutturano le diverse dimensioni. Non è altro che una semplificazione, la quale non prevede un team di valutazione, ma solo una scheda da compilare. Potrebbe essere un punto di partenza, ma, a mio parere, l’intervento di un team di esperti resta indispensabile”.
Fabiana Carcatella