Il professore Vincenzo Morra si è dimesso il 30 aprile dall’incarico di Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse. Ha inviato una lettera al Rettore Gaetano Manfredi per comunicare la sua decisione. Entro maggio il decano, il professore Giuseppe Capaldi, convocherà le elezioni per sostituire il Direttore dimissionario. Entro la fine di giugno dovrebbe essere eletto il successore. Nelle more, il timone è affidato al Vicedirettore del Dipartimento, il professore Domenico Calcaterra.
È stata, quella di Morra, una decisione che ha colto di sorpresa i suoi colleghi, anche perché assunta in prossimità della scadenza del secondo mandato. In Dipartimento molti s’interrogano su cosa sia accaduto di così grave da indurlo a ritenere di dover lasciare l’incarico senza poter attendere neanche qualche mese. Ateneapoli glielo ha chiesto il 6 maggio.
Professore, rimbalza la voce che lei abbia parlato, per giustificare la sua decisione, di una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Cosa è accaduto?
“Preferisco per ora glissare sull’episodio specifico. Quello che posso senz’altro dire è che la mia decisione è giunta a valle di una serie di episodi dai quali ho capito che tanti colleghi non si accorgono della complessità del ruolo di un Direttore. Credono che esista solo il caso che sta loro a cuore e, magari, pretenderebbero che solo su quello ci si concentri. Sono comportamenti, quelli di tali colleghi, rivelatori, perché ti fanno percepire bene che tutto quello che fai non è capito. Può subentrare allora una forma di delusione che, unita alla stanchezza provocata dalla pesantezza dell’incarico, induce ad andare via”.
Nella lettera di dimissioni al Rettore lei scrive: pochi mi hanno dato una mano, tanti mi hanno fatto capire che non ne valeva la pena. Che cosa intendeva dire?
“Dopo la legge Gelmini, sul Direttore di Dipartimento sono stati scaricati compiti ed incombenze incredibili. Siamo travolti da una parossistica mole di pratiche burocratiche, che spaziano dagli acquisti alla valutazione. Si lavora anche la sera a casa e nei festivi. Capita di non dormire la notte per un pensiero o per una preoccupazione. Chi tra noi si è candidato ed ha ricoperto il ruolo, lo ha fatto soprattutto per spirito di servizio istituzionale. Piacerebbe che fosse condiviso da tutti”.
Invece cosa accade?
“I Direttori restano da soli, abbandonati da chi pensa solo a fare le sue ore di lezione o le sue dieci pubblicazioni”.
Il giudizio che lei dà delle recenti trasformazioni introdotte dalle normative nazionali negli Atenei è dunque totalmente negativo?
“Da tempo avverto un malessere e non sono un novellino, in materia di incarichi istituzionali. Mi sono fatto 15 anni al Cun e sei anni da Direttore del Dipartimento. Con la Gelmini è stato un avvilimento”.
Perché non è rimasto in carica ameno fino a settembre, fino alla naturale scadenza del mandato?
“Stanchezza e delusione avrebbero reso pesante questo scorcio di mandato. Sono convinto che, quando si è assunta una decisione, il meglio che si può fare, per se stessi e per gli altri, è di metterla in pratica”.
Il Dipartimento di Scienze della Terra della Federico II è uno degli unici due sopravvissuti nella forma originaria alla tagliola della Gelmini nel Mezzogiorno. Altrove le discipline geologiche sono confluite in Dipartimenti “misti”, dove coabitano con materie ingegneristiche, biologiche o di altra natura. Lei crede che ci sia un futuro per la Geologia in Italia?
“Se consideriamo specificità e caratteristiche del territorio, l’implementazione dello studio e della ricerca nelle Scienze della Terra dovrebbe essere una priorità. Purtroppo non sempre sono prevalse scelte intelligenti a livello nazionale. Mi conforta, però, che proprio adesso sia in Parlamento un disegno di legge che prevede interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche”.
Quali sono i punti essenziali del provvedimento?
“Sono tre articoli. Il primo stabilisce che, al fine di incentivare le iscrizioni ai Corsi di studio universitari nel campo delle scienze geologiche, sono istituiti fino al 2020 premi e borse di studio specificamente destinati agli studenti di queste discipline. L’articolo 2 destina l’uno per cento del fondo per la prevenzione del rischio sismico al finanziamento dell’acquisto, da parte delle università, della strumentazione tecnica necessaria per attività di ricerca finalizzate alla prevenzione ed alla previsione dei rischi geologici. L’articolo 3 ammorbidisce il requisito dei 40 docenti, per Università oltre i mille professori, o dei 35, per quelle al disotto di quota mille, indispensabili a costituire un Dipartimento. Ne bastano 20, purché gli stessi costituiscano almeno l’ottanta per cento di tutti i professori, ricercatori di ruolo ed a tempo determinato dell’Università appartenenti ad una medesima area disciplinare”.
Fabrizio Geremicca
È stata, quella di Morra, una decisione che ha colto di sorpresa i suoi colleghi, anche perché assunta in prossimità della scadenza del secondo mandato. In Dipartimento molti s’interrogano su cosa sia accaduto di così grave da indurlo a ritenere di dover lasciare l’incarico senza poter attendere neanche qualche mese. Ateneapoli glielo ha chiesto il 6 maggio.
Professore, rimbalza la voce che lei abbia parlato, per giustificare la sua decisione, di una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Cosa è accaduto?
“Preferisco per ora glissare sull’episodio specifico. Quello che posso senz’altro dire è che la mia decisione è giunta a valle di una serie di episodi dai quali ho capito che tanti colleghi non si accorgono della complessità del ruolo di un Direttore. Credono che esista solo il caso che sta loro a cuore e, magari, pretenderebbero che solo su quello ci si concentri. Sono comportamenti, quelli di tali colleghi, rivelatori, perché ti fanno percepire bene che tutto quello che fai non è capito. Può subentrare allora una forma di delusione che, unita alla stanchezza provocata dalla pesantezza dell’incarico, induce ad andare via”.
Nella lettera di dimissioni al Rettore lei scrive: pochi mi hanno dato una mano, tanti mi hanno fatto capire che non ne valeva la pena. Che cosa intendeva dire?
“Dopo la legge Gelmini, sul Direttore di Dipartimento sono stati scaricati compiti ed incombenze incredibili. Siamo travolti da una parossistica mole di pratiche burocratiche, che spaziano dagli acquisti alla valutazione. Si lavora anche la sera a casa e nei festivi. Capita di non dormire la notte per un pensiero o per una preoccupazione. Chi tra noi si è candidato ed ha ricoperto il ruolo, lo ha fatto soprattutto per spirito di servizio istituzionale. Piacerebbe che fosse condiviso da tutti”.
Invece cosa accade?
“I Direttori restano da soli, abbandonati da chi pensa solo a fare le sue ore di lezione o le sue dieci pubblicazioni”.
Il giudizio che lei dà delle recenti trasformazioni introdotte dalle normative nazionali negli Atenei è dunque totalmente negativo?
“Da tempo avverto un malessere e non sono un novellino, in materia di incarichi istituzionali. Mi sono fatto 15 anni al Cun e sei anni da Direttore del Dipartimento. Con la Gelmini è stato un avvilimento”.
Perché non è rimasto in carica ameno fino a settembre, fino alla naturale scadenza del mandato?
“Stanchezza e delusione avrebbero reso pesante questo scorcio di mandato. Sono convinto che, quando si è assunta una decisione, il meglio che si può fare, per se stessi e per gli altri, è di metterla in pratica”.
Il Dipartimento di Scienze della Terra della Federico II è uno degli unici due sopravvissuti nella forma originaria alla tagliola della Gelmini nel Mezzogiorno. Altrove le discipline geologiche sono confluite in Dipartimenti “misti”, dove coabitano con materie ingegneristiche, biologiche o di altra natura. Lei crede che ci sia un futuro per la Geologia in Italia?
“Se consideriamo specificità e caratteristiche del territorio, l’implementazione dello studio e della ricerca nelle Scienze della Terra dovrebbe essere una priorità. Purtroppo non sempre sono prevalse scelte intelligenti a livello nazionale. Mi conforta, però, che proprio adesso sia in Parlamento un disegno di legge che prevede interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche”.
Quali sono i punti essenziali del provvedimento?
“Sono tre articoli. Il primo stabilisce che, al fine di incentivare le iscrizioni ai Corsi di studio universitari nel campo delle scienze geologiche, sono istituiti fino al 2020 premi e borse di studio specificamente destinati agli studenti di queste discipline. L’articolo 2 destina l’uno per cento del fondo per la prevenzione del rischio sismico al finanziamento dell’acquisto, da parte delle università, della strumentazione tecnica necessaria per attività di ricerca finalizzate alla prevenzione ed alla previsione dei rischi geologici. L’articolo 3 ammorbidisce il requisito dei 40 docenti, per Università oltre i mille professori, o dei 35, per quelle al disotto di quota mille, indispensabili a costituire un Dipartimento. Ne bastano 20, purché gli stessi costituiscano almeno l’ottanta per cento di tutti i professori, ricercatori di ruolo ed a tempo determinato dell’Università appartenenti ad una medesima area disciplinare”.
Fabrizio Geremicca