“Teatro, cinema e letteratura si incrociano con le esperienze dei protagonisti del fare arte: l’obiettivo del programma F2 Cultura. È necessario partire da Enzo Moscato per affrontare la storia della cultura teatrale negli ultimi decenni”,
l’esordio del prof. Giancarlo Alfano, docente di Letteratura Italiana, nel presentare il drammaturgo napoletano, ospite dell’evento che si è svolto nel pomeriggio del 4 novembre presso l’Aula Magna Piovani del Dipartimento di Studi Umanistici in via Porta di Massa. “Come è strana la vita. Più di 40 anni fa ero come voi, studente di Filosofia, e non avevo una prospettiva precisa davanti a me. Oggi, invece, sono qui a parlarvi della mia opera. Un monito per dire che la vita trascende qualsiasi fruizione estetica”, afferma commosso Moscato, rivolgendosi agli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria. Il primo di un ciclo di incontri ‘moscatiani’ che proseguiranno fino a fine mese presso la Sala Assoli, a due passi dal Teatro Nuovo, in pieni Quartieri Spagnoli. Il fuoco dell’appuntamento è ‘Bordello di mare con città’, testo nato nel 1986, allestito quest’anno, per la prima volta in assoluto dopo ben 30, con la regia di Carlo Cerciello al Teatro Bellini e che vede lo stesso Moscato nel ruolo di attore. “Questo lavoro è stato un doloroso spartiacque sia nella mia vita che nella mia
opera. Ho cominciato a scriverlo appena dopo una terribile notizia”, la tragica morte dell’amico e collega, Annibale Ruccello. “Annibale aveva una spiccata sensibilità per il talento altrui e obiettivi precisi per la sua giovane età. Una scomparsa più che fisica, direi metafisica, in cui siamo ancora tutti coinvolti”. È quest’alveo di sofferenza personale
il grembo in cui viene concepito il testo in questione. “Il prodotto finale della scrittura per la scena è sempre un mezzo fallimento, almeno per me. Succedere al talento di Annibale, farsi erede di quello di Eduardo, venuto a mancare due anni prima, era per me un’eredità troppo gravosa. Quando è morto Pasolini, Moravia diceva: ‘con un poeta muoiono generazioni di speranze, perché un poeta nasce ogni cent’anni’”.
Storie dalle viscere del territorio
Stando al canone, Moscato è solitamente collocato in una triade di autori ai quali corrispondono interessi e pubblici diversi. “Ruccello si occupava delle periferie, Santanelli della borghesia. Io ho deciso di partire dal basso, ma in senso poetico, dalle viscere del territorio, dai vicoli, dai lupanare, dai quartieri, dai luoghi in cui sono cresciuto e a cui sono tornato attraverso la lingua. Il napoletano mi parla”. In quest’ottica, ‘Bordello di mare con città’ è una scrittura che parte dal naturalismo e giunge al delirio poetico, comincia con una morte e si dirige verso una resurrezione, di un amico, di un popolo, di una città. L’intreccio, in breve: in un’ex casa di tolleranza una prostituta, improvvisamente divenuta una santa taumaturga, si dedica alla cura di mali endemici e misteriosi che affliggono
la popolazione. La speranza di resurrezione perisce nel testo, “prima con la morte del personaggio della vergine bambina e poi con quella della santa, unica figura positiva e nel contempo istigatrice del crimine commesso”. Primo e secondo atto hanno una struttura diametralmente opposta. “Il primo segna un momento che termina nella mia scrittura e chiude un ciclo iniziato negli anni Ottanta con ‘Scannasurice’, il secondo rappresenta un’iniziazione
teatrale verso le derive della scuola lirico-epistemologica, strada che avrei percorso successivamente”.
“Ho preferito l’arte al potere”
In oscillazione perpetua tra sacro e profano, la pièce percorre le viscere della storia, della lingua e delle tradizioni partenopee. “Napoli è una microspia del cosmo. Una realtà particolare, quella della città dopo il terremoto, che diviene metafora per indicare una possibile rinascita che di fatto non avviene”. La mancata palingenesi della città
d’origine viene recuperata sul piano del linguaggio. “Le parole. La forza delle parole. Io di casa non mi muovo, eppure i miei testi viaggiano”. Numerosi, difatti, i lavori di Enzo Moscato rappresentati sulle scene italiane e internazionali, “ma sempre in lingua originale. ‘Compleanno’ attraverserà i teatri della penisola e ‘Toledo Suite’ in dicembre sarà addirittura a Tokyo”, afferma raggiante il prof. Alfano. Come è possibile ciò? Moscato azzarda un’ipotesi: “perché ho preferito l’arte al potere, per questo sono fuori dal sistema. La cultura, parlo anche da ex insegnante, è una forma di attaccamento alla vita, di sopravvivenza. Se il destino è nelle mani dei poeti, l’unica chance per una città in declino è l’istruirsi”. E quale se non il teatro, lo strumento prediletto per dare altre letture del reale, che tengano conto di ciò che è e anche di ciò che non è più. “Un luogo di fantasmi. Bisognerebbe forse recitare in luoghi spettrali, nei cimiteri. È lì che l’essenza si mostra. Io non sono mai certo che il teatro esista. Attendo che la gente lo dimostri. Per me non è che un dipolo: uscire da sé, tornare in sé, un inevitabile gioco di ossimori, un insieme di ossessioni rituali che, nate sulla pagina, hanno l’intento sul palco di spiazzare e rivoltare gli spettatori”. Su questo punto interviene la prof. ssa Antonia Lezza, docente di Letteratura Teatrale Italiana presso l’Università degli Studi di Salerno, da anni studiosa militante della drammaturgia moscatiana. “Testualità: io mi occupo dell’aspetto filologico dei testi fino alla loro resa drammaturgica. Il testo è sempre complementare
alla messa in scena, che è invece il testo che cresce e cambia di sera in sera. È solo con la regia che la materia testuale trova completamento e piena espressione. Nel caso di Moscato è interessante osservare come la musicalità del testo divenga sulla scena una vera e propria ‘Partitura’ ritmica, travolgente, a tratti ipnotica”.
Affascinata la platea
Entusiasta la platea di studenti, giovani e non pochi liberi uditori, richiamati dalla popolarità del nome. Molti sembrano ben attrezzati al dialogo: “ho letto ‘Orfani veleni’ quando avevo sedici anni. Mio padre, da giovane, conosceva i lavori di Ruccello e Moscato. È un grande privilegio poterlo incontrare da vicino e interrogarlo sulla sua storia”, afferma Marianna De Stefano. “Io sono arrivato a Moscato assistendo a uno spettacolo con l’attrice Isa
Danieli. Il testo rappresentato era ‘Trianon’, in cui la figura della prostituta viene eletta a simbolo della condizione di umana prigionia e di decadenza della città”, prosegue con passione Antonio Coppola, aspirante drammaturgo. Secondo Giuliana Ficca, “la cosa interessante è la natura interattiva della discussione. Moscato ci ha invitato a proporre ipotesi di programma per il corso di incontri, invitato a fare domande nella maniera più libera possibile, curioso di ascoltarci. Non abbiamo avvertito quella distanza cattedratica da professore, bensì un interlocutore reale, aperto a un’autocritica severa”. D’accordo la collega Assunta Torres: “È un’occasione importante potersi confrontare direttamente con un autore teatrale di navigata esperienza, anche su dettagli tecnici che solitamente lo
spazio della lezione non andrebbe ad abbracciare”. Il dubbio, sempre ben accetto, non va però ad intaccare un indiscutibile valore. “Non sono molto interessato al genere di teatro che Moscato porta avanti. Ma indubbiamente riconosco la sensatezza del suo lavoro e la traccia di cui si fa portatore, al di là dei giudizi di merito sulle opere e sulle messinscene”, commenta secco Luca Serafino. C’è poi al contrario chi è addirittura in ovazione. “Moscato è il mio scrittore preferito in assoluto. Chiamarlo autore di teatro è semplicemente riduttivo. La sua lingua è la lingua dei poeti, dei filosofi, dei letterati, dei mistici, una condensazione magica di differenti visioni del mondo. È la lingua degli sciamani, degli incantatori, capace di evocare cose lontane in modo vivido, autentico”, conclude Fabio Faliero all’uscita dalla lezione.
Sabrina Sabatino
l’esordio del prof. Giancarlo Alfano, docente di Letteratura Italiana, nel presentare il drammaturgo napoletano, ospite dell’evento che si è svolto nel pomeriggio del 4 novembre presso l’Aula Magna Piovani del Dipartimento di Studi Umanistici in via Porta di Massa. “Come è strana la vita. Più di 40 anni fa ero come voi, studente di Filosofia, e non avevo una prospettiva precisa davanti a me. Oggi, invece, sono qui a parlarvi della mia opera. Un monito per dire che la vita trascende qualsiasi fruizione estetica”, afferma commosso Moscato, rivolgendosi agli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria. Il primo di un ciclo di incontri ‘moscatiani’ che proseguiranno fino a fine mese presso la Sala Assoli, a due passi dal Teatro Nuovo, in pieni Quartieri Spagnoli. Il fuoco dell’appuntamento è ‘Bordello di mare con città’, testo nato nel 1986, allestito quest’anno, per la prima volta in assoluto dopo ben 30, con la regia di Carlo Cerciello al Teatro Bellini e che vede lo stesso Moscato nel ruolo di attore. “Questo lavoro è stato un doloroso spartiacque sia nella mia vita che nella mia
opera. Ho cominciato a scriverlo appena dopo una terribile notizia”, la tragica morte dell’amico e collega, Annibale Ruccello. “Annibale aveva una spiccata sensibilità per il talento altrui e obiettivi precisi per la sua giovane età. Una scomparsa più che fisica, direi metafisica, in cui siamo ancora tutti coinvolti”. È quest’alveo di sofferenza personale
il grembo in cui viene concepito il testo in questione. “Il prodotto finale della scrittura per la scena è sempre un mezzo fallimento, almeno per me. Succedere al talento di Annibale, farsi erede di quello di Eduardo, venuto a mancare due anni prima, era per me un’eredità troppo gravosa. Quando è morto Pasolini, Moravia diceva: ‘con un poeta muoiono generazioni di speranze, perché un poeta nasce ogni cent’anni’”.
Storie dalle viscere del territorio
Stando al canone, Moscato è solitamente collocato in una triade di autori ai quali corrispondono interessi e pubblici diversi. “Ruccello si occupava delle periferie, Santanelli della borghesia. Io ho deciso di partire dal basso, ma in senso poetico, dalle viscere del territorio, dai vicoli, dai lupanare, dai quartieri, dai luoghi in cui sono cresciuto e a cui sono tornato attraverso la lingua. Il napoletano mi parla”. In quest’ottica, ‘Bordello di mare con città’ è una scrittura che parte dal naturalismo e giunge al delirio poetico, comincia con una morte e si dirige verso una resurrezione, di un amico, di un popolo, di una città. L’intreccio, in breve: in un’ex casa di tolleranza una prostituta, improvvisamente divenuta una santa taumaturga, si dedica alla cura di mali endemici e misteriosi che affliggono
la popolazione. La speranza di resurrezione perisce nel testo, “prima con la morte del personaggio della vergine bambina e poi con quella della santa, unica figura positiva e nel contempo istigatrice del crimine commesso”. Primo e secondo atto hanno una struttura diametralmente opposta. “Il primo segna un momento che termina nella mia scrittura e chiude un ciclo iniziato negli anni Ottanta con ‘Scannasurice’, il secondo rappresenta un’iniziazione
teatrale verso le derive della scuola lirico-epistemologica, strada che avrei percorso successivamente”.
“Ho preferito l’arte al potere”
In oscillazione perpetua tra sacro e profano, la pièce percorre le viscere della storia, della lingua e delle tradizioni partenopee. “Napoli è una microspia del cosmo. Una realtà particolare, quella della città dopo il terremoto, che diviene metafora per indicare una possibile rinascita che di fatto non avviene”. La mancata palingenesi della città
d’origine viene recuperata sul piano del linguaggio. “Le parole. La forza delle parole. Io di casa non mi muovo, eppure i miei testi viaggiano”. Numerosi, difatti, i lavori di Enzo Moscato rappresentati sulle scene italiane e internazionali, “ma sempre in lingua originale. ‘Compleanno’ attraverserà i teatri della penisola e ‘Toledo Suite’ in dicembre sarà addirittura a Tokyo”, afferma raggiante il prof. Alfano. Come è possibile ciò? Moscato azzarda un’ipotesi: “perché ho preferito l’arte al potere, per questo sono fuori dal sistema. La cultura, parlo anche da ex insegnante, è una forma di attaccamento alla vita, di sopravvivenza. Se il destino è nelle mani dei poeti, l’unica chance per una città in declino è l’istruirsi”. E quale se non il teatro, lo strumento prediletto per dare altre letture del reale, che tengano conto di ciò che è e anche di ciò che non è più. “Un luogo di fantasmi. Bisognerebbe forse recitare in luoghi spettrali, nei cimiteri. È lì che l’essenza si mostra. Io non sono mai certo che il teatro esista. Attendo che la gente lo dimostri. Per me non è che un dipolo: uscire da sé, tornare in sé, un inevitabile gioco di ossimori, un insieme di ossessioni rituali che, nate sulla pagina, hanno l’intento sul palco di spiazzare e rivoltare gli spettatori”. Su questo punto interviene la prof. ssa Antonia Lezza, docente di Letteratura Teatrale Italiana presso l’Università degli Studi di Salerno, da anni studiosa militante della drammaturgia moscatiana. “Testualità: io mi occupo dell’aspetto filologico dei testi fino alla loro resa drammaturgica. Il testo è sempre complementare
alla messa in scena, che è invece il testo che cresce e cambia di sera in sera. È solo con la regia che la materia testuale trova completamento e piena espressione. Nel caso di Moscato è interessante osservare come la musicalità del testo divenga sulla scena una vera e propria ‘Partitura’ ritmica, travolgente, a tratti ipnotica”.
Affascinata la platea
Entusiasta la platea di studenti, giovani e non pochi liberi uditori, richiamati dalla popolarità del nome. Molti sembrano ben attrezzati al dialogo: “ho letto ‘Orfani veleni’ quando avevo sedici anni. Mio padre, da giovane, conosceva i lavori di Ruccello e Moscato. È un grande privilegio poterlo incontrare da vicino e interrogarlo sulla sua storia”, afferma Marianna De Stefano. “Io sono arrivato a Moscato assistendo a uno spettacolo con l’attrice Isa
Danieli. Il testo rappresentato era ‘Trianon’, in cui la figura della prostituta viene eletta a simbolo della condizione di umana prigionia e di decadenza della città”, prosegue con passione Antonio Coppola, aspirante drammaturgo. Secondo Giuliana Ficca, “la cosa interessante è la natura interattiva della discussione. Moscato ci ha invitato a proporre ipotesi di programma per il corso di incontri, invitato a fare domande nella maniera più libera possibile, curioso di ascoltarci. Non abbiamo avvertito quella distanza cattedratica da professore, bensì un interlocutore reale, aperto a un’autocritica severa”. D’accordo la collega Assunta Torres: “È un’occasione importante potersi confrontare direttamente con un autore teatrale di navigata esperienza, anche su dettagli tecnici che solitamente lo
spazio della lezione non andrebbe ad abbracciare”. Il dubbio, sempre ben accetto, non va però ad intaccare un indiscutibile valore. “Non sono molto interessato al genere di teatro che Moscato porta avanti. Ma indubbiamente riconosco la sensatezza del suo lavoro e la traccia di cui si fa portatore, al di là dei giudizi di merito sulle opere e sulle messinscene”, commenta secco Luca Serafino. C’è poi al contrario chi è addirittura in ovazione. “Moscato è il mio scrittore preferito in assoluto. Chiamarlo autore di teatro è semplicemente riduttivo. La sua lingua è la lingua dei poeti, dei filosofi, dei letterati, dei mistici, una condensazione magica di differenti visioni del mondo. È la lingua degli sciamani, degli incantatori, capace di evocare cose lontane in modo vivido, autentico”, conclude Fabio Faliero all’uscita dalla lezione.
Sabrina Sabatino