La bottega d’arte del prof. Giorgio Franceschetti

Che tipo è il professor Giorgio Franceschetti? chiediamo ai ragazzi che in aula aspettano il suo arrivo per la lezione. 
“E’ assolutamente geniale, potrebbe spiegare qualsiasi cosa!” risponde Mario con l’esuberanza che è propria degli studenti dei primi anni. Eppure il ragazzo non si allontana di molto dal vero se consideriamo che il professore insegna Campi elettromagnetici, Microonde, Antenne, Radiotecnica, Telerilevamento ed è titolare della cattedra di Propagazione guidata presso la Federico II, nonchè docente di molte altre discipline presso l’Università della California e quella dell’Illinois.
Ma si fa capire quando spiega? mettiamo alla prova l’entusiasmo di Mario.
“A volte dà alcune cose per scontate e diventa difficile seguirlo. – ammette il ragazzo ma poi aggiunge con immutata ammirazione – Ad avercelo un prof. come lui!”.
Un altro futuro ingegnere, Peppe, ci racconta che il prof. è una persona corretta e precisa e che l’unico giorno in cui non si presentò a lezione fu una volta che la Nasa chiese il suo aiuto per ritrovare il segnale smarrito proveniente dal satellite inviato in prossimità di Marte. I ragazzi raccontano che “Franceschetti fece due calcoli e la caccia al tesoro si concluse brillantemente”.
Il prof. appena giunto, cancella meticolosamente la lunghissima lavagna e domanda ai 160 ragazzi che affollano l’aula: “Avete seguito voi il corso dell’ora precedente? E’ la prima volta che vedo formule graziose, roba seria, frutto di ragionamento.” Poi annuncia: “Oggi parleremo di guide d’onda. Riandiamo ai tempi in cui questi sistemi sono stati adoperati per la prima volta”.
Franceschetti non si accomoda alla cattedra ma preferisce passeggiare per catturare l’attenzione anche dei ragazzi seduti lateralmente. “Per trasmettere messaggi elettricamente, in origine si utilizzava la differenza di potenziale. – prosegue con voce alta e chiara che non ha bisogno del supporto di un microfono – A quei tempi si era limitati da questo modello di trasmissione del segnale, non si sapeva che esiste un’onda che si propaga, ossia un’energia elettromagnetica che può portare un segnale”.
Franceschetti spiega che proprio come un’onda acustica, per non disperdersi, ha bisogno di essere incanalata in un tubo, così un’onda elettromagnetica, per propagarsi, ha bisogno di una guida; poi si ferma in piedi dietro la cattedra, si propende in avanti e gesticolando per dare risalto a quel che dice, tuona: “Fu Maxwell a capire che le onde radio, i campi elettrici, le correnti, i campi magnetici, la luce, tutto quello che avevano studiato fin ad allora era costituito da onde elettromagnetiche. Son tutti fenomeni simili che interagiscono tra loro; è bene che voi abbiate questa visione unitaria delle cose”.
Il fisico asciutto e scattante e l’aspetto estremamente vitale rendono difficile credere che il prof. abbia da poco compiuto 71 anni. “Avete letto il passo della Creazione nella Genesi? – chiede – Quando Dio creò il mondo, disse “Questa è la luce” separandola dalle tenebre, ma avrebbe potuto senz’altro dire: “Questa è un’onda elettromagnetica!”.
Così, partendo dall’equazione di Maxwell, riempie di formule la lunghissima lavagna e dopo una decina di minuti si rivolge agli studenti: “vi vedo stralunati, come se non aveste mai sentito parlare di matrici! A me sembra una cosa ovvia, invece, dalle vostre espressioni…”
Una festa a
fine corso
Non è sempre agevole seguire tutti i passaggi della cascata di numeri e simboli che si accavallano velocemente sul nero dello sfondo, tuttavia i ragazzi rimangono affascinati dalla carica di questo professore che, pur essendo conteso dalla Nasa e  dalle università di mezzo mondo (dalla California, all’Illinois, alla Somalia, alla Spagna) trova ogni anno l’energia ed il tempo persino per organizzare per loro una giornata festosa di fine corso.
“Ho salutato i miei allievi alla fine del semestre con musica classica, musica napoletana, anche con dei prestigiatori” racconta Franceschetti al termine dell’ora. 
“Gli insegnanti non devono fornire tecniche e formule perchè gli studenti le dimenticheranno, ma comunicare un messaggio di comportamento, un atteggiamento culturale. E’ importante far capire che ci sono altre cose da coltivare come la musica, l’arte”.
Non è però così semplice per uno studente di Ingegneria trovare il tempo per imparare a suonare uno strumento…
“Gli ingegneri hanno un’ulteriore palla al piede: fanno studi pesanti, possono dedicarsi in minor misura ai concerti, alle manifestazioni culturali, ai musei. Inoltre, una volta laureati e inseriti nel mondo lavorativo, non svilupperanno le forme di interazione sociale che saranno coltivate dai medici o dagli avvocati”.
L’ingegnere e
la socialità
Il rischio è che finiscano per vivere fuori dal mondo?
“Sì, basti pensare che se ad una cena si chiede a dei professionisti di improvvisare un brindisi,  l’avvocato lo fa con naturalezza, è  il suo mestiere, il medico se la cava, l’ingegnere invece di solito balbetta”.
Ritiene che gli studi di Ingegneria disincentivino la socialità?
“Ai nostri ingegneri manca la capacità di lavorare in gruppo. Lo sport nei college inglesi, ad esempio, serve per imparare a far gruppo. Non si può obbligare i ragazzi a studiare insieme ma si  può creare lo spirito di corpo giocando a pallone!”. 
Come ricorda gli anni da studente?
“Ne ho ricordi positivi e negativi: essere giovani è un enorme privilegio, tuttavia la preparazione che ho avuto a suo tempo fu modesta. Sono dovuto andare a Roma a specializzarmi alla Fondazione Bordoni e poi negli USA al Politecnico di New York”.
Quand’è che si è appassionato al settore delle Telecomunicazioni? 
“Mi sono laureato in Elettronica nel ’59, quasi 50 anni fa. Stavano nascendo allora le innovazioni elettroniche che hanno rivoluzionato il nostro mondo. Quando ho capito le potenzialità straordinarie del futuro delle telecomunicazioni ho deciso di voler divenire protagonista di questo cambiamento”.
All’inizio del XXI secolo l’avanzamento tecnologico stravolgerà di nuovo la quotidianità ed il modo di pensare, proprio come è avvenuto alla fine del secolo scorso?
“Le telecomunicazioni stanno cambiando le abitudini e il modo di percepire e concepire le cose. Le trasformazioni saranno ancora enormi. Ci avviciniamo al villaggio globale. Se il telegrafo fosse stato inventato prima della ruota, il mondo oggi sarebbe migliore”.
Una peggiore mobilità e migliori contatti a distanza, non determinerebbero minori relazioni tra gli uomini?
“No, le relazioni si infittirebbero”.
Ma sarebbero virtuali?
“Abbiamo imparato a trasmettere voci, immagini, a breve trasmetteremo ambienti a 360° e poi, in futuro, anche sensazioni. Potremo essere più selettivi e relazionarci con chi vogliamo all’interno del villaggio globale.”
Davvero pensa che si potranno trasmettere sensazioni equiparabili a quelle reali?
“Forse ho esagerato ma non si può mai dire. Già la realtà virtuale riesce a far provare delle sensazioni”.
Tra riconoscimenti
internazionali e
passione per
l’insegnamento
Lei è divenuto ordinario a soli 33 anni ed ha poi inanellato una lunghissima serie di successi che le hanno fatto ottenere prestigiosi riconoscimenti quali la medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica Italiana per i suoi contributi scientifici o la nomina a Life member dell’IEEE e a membro dell’Electromagnetic Academy: come riesce a contemperare tutti i suoi impegni professionali con l’insegnamento?
“Mi piace insegnare e faccio di tutto per ravvivare gli entusiasmi degli allievi. Molti professori li spengono formalizzando. Io concepisco l’insegnamento come un’attività affine a quella che si svolgeva in una bottega del ‘300. Il modo di procedere artigianale è proprio della ricerca, invece la programmazione è un’idiozia, è legata all’industria. Occorre riprodurre nell’Università la bottega d’arte”.
Ma i grandi numeri non l’impediscono?
“E’ una bella domanda. Bisogna cercare di distinguere nei grandi numeri un livello decoroso da raggiungere, ma è fondamentale salvaguardare le punte di eccellenza”. 
E’ lecito parlare dell’insegnamento come “propagazione guidata del sapere”?
“E’ ciò che dovrebbe fare un Istituto. La scuola non deve indirizzare, equalizzare. Le personalità devono rimanere intatte. Il sapere deve essere guidato ma non deve costringere all’uniformità i cervelli”.
Significa puntare a trasferire passione e curiosità?
“Sì, i contenuti non sopravvivono all’esame. Rimangono dormienti ma, se occorreranno un domani sul lavoro, li si andranno a  riguardare. L’importante è esaltare le persone, far capire agli studenti di Telecomunicazioni che possono vivere un futuro da protagonisti. E’ per questo colloco sempre gli argomenti trattati in un inquadramento storico e cerco di dare una prospettiva del futuro a cui si tende”.
Latmiral e Papas
i suoi maestri
Quale è il suo professore che ricorda con maggiore gratitudine?
“Dopo esser stato a Roma e a New York, ho conosciuto il professor Gaetano Latmiral, una persona straordinaria  che insegnava all’Università Parthenope, l’ex-Istituto  Universitario Navale. Iniziare a lavorare con lui è stato per me un giro di boa. Latmiral non mi ha insegnato tutte le nozioni tecniche ma mi ha dato infinitamente”.
E tra i grandi maestri che ha incontrato all’estero?
“Avevo una corrispondenza con il professor Papas che insegnava al California Institute of Technology e ricordo che, quando entrai per la prima volta nel suo studio, mi sentii come Alice nel paese delle meraviglie, ero raggiante, felice. Quando lavoravo da Papas, lui ogni tanto mi diceva “Giorgio, let’s full around a bit!” ovvero “facciamo un po’ i mattacchioni!”. Andava alla lavagna e, gesso alla mano, mi confidava: “ho pensato questo, tu che ne dici?” Così venivan fuori idee, germogli, ecc. Ho scritto un libro sull’elettromagnetismo e l’ho dedicato a Latmiral e Papas che hanno profondamente cambiato il mio modo di pensare.”
Manuela Pitterà
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