Lavorare meno, lavorare tutti

La nostra vita è fatta di corse continue, c’è il rischio di cadere; se ci fermassimo un attimo a riflettere? Questo il senso di “Meno Lavoro, Più Lavoratori”, volume dell’ingegner Giancarlo Avolio edito da Ateneapoli. Oggi 40enne, Avolio si è laureato alla Federico II nel 2005, dopo un’esperienza di due anni nella multinazionale americana Accenture, è entrato a far parte della MSC Crociere, reparto informatico. “Il mio libro non vuole essere un saggio di
economia, ma una fotografia della società con uno spaccato drammatico”, sottolinea. Si è già occupato in volumi precedenti delle problematiche relative all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e dell’impatto dell’euro sull’economia italiana, oggi tocca un tema sociale, oltre che economico: “la disoccupazione in Italia è raddoppiata negli ultimi dieci anni. Nello stesso tempo, nonostante gli enormi progressi tecnologici, ai lavoratori viene richiesto
di lavorare come e più di prima. Risultato? La società è divisa tra chi vive il dramma della mancanza di occupazione e di reddito e chi, invece, non riesce a coniugare in modo equilibrato vita lavorativa e
vita privata, a causa della perenne e frustrante mancanza di tempo libero”. All’ombra di questi due spaccati, a dominare sono, rispettivamente, rabbia, sfiducia, alienazione sociale ma anche stress, insonnia, attaccamento morboso ai social network, ignoranza diffusa, poca pratica sportiva, lontananza da esperienze sociali collettive. “Oggi in Italia si contano tre milioni di disoccupati, mentre tra chi lavora la malattia del secolo è lo stress. Non si riesce a conciliare il lavoro con la famiglia. Otto italiani su dieci sono stressati, uno su due non legge neanche un libro all’anno, il 50% non pratica sport in maniera abituale. Ne consegue una popolazione di salute cagionevole, non avvezza a lavorare in team, che non rispetta le regole e che partecipa poco alla vita politica del Paese. Tutti problemi che nascono dalla mancanza di tempo. Trent’anni fa si dormiva due ore in più a notte, questo è solo un
piccolo esempio”. La soluzione c’è o è un’utopia? “Iniziare a parlare di questa situazione per me è già un
primo passo verso la soluzione del problema. Il nostro modello culturale neoliberista impone un sacrificio perenne della vita privata a favore dell’ambito lavorativo. Siamo apprezzati solo se rinunciamo al nostro tempo libero. La riduzione dei salari e dei diritti (si guardi al Jobs Act) non è di certo una soluzione, difatti posti di lavoro non se ne sono creati. In più, parte del lavoro è volato laddove i salari sono più bassi, in India o in Cina, e i progressi tecnologici hanno ridotto la manodopera”. Un’opzione per migliorare la situazione potrebbe essere una
ridistribuzione del lavoro attraverso una riduzione generalizzata dell’orario: “preso atto che non si può creare nuovo lavoro, redistribuiamo quello che c’è, riducendo le ore lavorative individuali, affidando le eccedenti a chi ne ha bisogno. Vent’anni fa il governo socialista francese l’ha fatto e la Francia continua ad essere una delle più grandi
potenze europee. Senza contare che storicamente in Italia siamo già giunti a questa soluzione: nel 1923 si è passati dalle dieci alle otto ore lavorative; nel ’73 ai cinque giorni settimanali. La soluzione di certo non è a portata di mano, ma dobbiamo iniziare a parlarne, altrimenti non cureremo mai patologie diffuse come l’ignoranza e l’eccessivo attaccamento ai social, dovuto alla mancanza di socializzazione reale, nonché la disomogenea distribuzione della ricchezza. Se qualcuno inizierà a porsi delle domande, per me sarà già stato un successo”. Il
libro è disponibile in formato ebook all’indirizzo www.ateneapoli.it/
bookstore.
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