Le law firms, dove si lavora in team

Una testimonianza che ha aperto una finestra su un mondo che affascina molti studenti di Giurisprudenza: quello delle professioni legali all’estero, che sembrano maggiormente basate sulla meritocrazia e sul lavoro in team rispetto all’Italia, dove in genere si accede a studi importanti solo se si ha qualche conoscenza. L’avvocato Ugo M. Giordano, partner dello studio legale londinese Dewey & LeBoeuf, ha raccontato la sua esperienza di “avvocato d’affari” italiano a Londra ad una folta platea di laureandi, laureati e specializzandi il 14 maggio. L’incontro è stato organizzato dall’Ufficio di Job Placement della Facoltà di Giurisprudenza nell’ambito dell’iniziativa “Maggio di orientamento al lavoro”.
Giordano ha evidenziato le differenze strutturali e dimensionali tra gli studi legali italiani e quelli anglosassoni: “perché un grande studio legale italiano conta 300 persone e uno anglosassone 3000? Le risposte sono tre. La prima è che, essendo la realtà economica italiana basata su piccole e medie imprese (e anche quelle grandi, in realtà, restano strette nelle mani delle famiglie proprietarie), da un punto di vista della consulenza legale bastano piccoli e medi studi. La seconda risposta, invece, è centrata sull’obiettivo della formazione anglosassone, che consiste nel portare il maggior numero di persone più in alto possibile. Diversamente, in Italia la formazione è tarata sui migliori, è ancora d’élite, per cui il focus è sull’individuo, mentre in Inghilterra è sul team. Se ne deduce quindi (e questa è la terza risposta) che gli studi italiani non sono cresciuti perché gli avvocati italiani non sanno lavorare insieme, troppo concentrati sui propri risultati e vittime di una competizione sfrenata che impedisce di fare gruppo”. Giordano avverte “la sirena estera può essere molto attraente, ma bisogna essere pratici. Il mio consiglio è quello di concentrarsi innanzitutto sul terreno di casa, e poi guardare fuori. È già difficile essere bravi nella propria giurisdizione, figuriamoci entrare in un’altra, come può essere quella anglosassone. Infatti, io faccio l’avvocato italiano a Londra, non l’avvocato londinese. Le barriere sono concettuali, non solo linguistiche. Bisogna partire dal basso, fare tanto contenzioso e viaggiare molto, perché il confronto con la controparte o con persone diverse da noi rende umili e fa crescere”. 
Dunque, volendo puntare subito dopo la laurea ad una carriera all’estero, senza aver prima fatto esperienza nel proprio Paese, si rischia di rimanere delusi. “In ogni caso, se l’obiettivo è quello di fare l’avvocato italiano a Londra, è bene puntare sul diritto finanziario e su quello bancario”, suggerisce Giordano. 
Al termine dell’incontro sono partiti i primi colloqui organizzati dall’Ufficio di Job Placement (JPGIURI), per offrire agli studenti interessati la possibilità di farsi conoscere e di attivare un primo contatto con una delle più importanti law firms a livello internazionale. “Tutte le attività di incontro tra studenti ed esponenti del mondo del lavoro o delle professioni sono finalizzate a creare opportunità di inserimento e stage” spiega la prof.ssa Lucilla Gatt, responsabile del JPGIURI, “in particolare, la Facoltà di Giurisprudenza ha attivato una convenzione con lo studio Dewey & LeBoeuf grazie all’intermediazione dell’avvocato Giordano, che consentirà ai laureati di eccellenza, anche specializzandi, di svolgere stage presso la sede di Londra”. 
Marzia Parascandolo
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