Le rotte di un artigiano del mare: Maurizio Borriello

Maurizio Borriello è un artigiano del mare. Si trova attualmente nel villaggio di Tanah Beru, a sud dell’isola di Sulawesi, in Indonesia, dove da cinque mesi conduce ricerche di etnografi a marittima nell’ambito del suo percorso di dottorato iniziato un anno fa. Percorso che s’inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca condotto dalle docenti Antonia Soriente e Chiara Zazzaro e vede la collaborazione tra il Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo e l’Universitas Indonesia di Jakarta. Nato a Napoli, oggi 45 anni, Maurizio sin da bambino coltiva la passione per i viaggi. Inizia subito, prima della maturità, a spingersi oltreoceano, in Sri Lanka e Madagascar, a cui faranno seguito tappe in Papua, Malesia, India e Tanzania (e, dai suoi racconti, in molti altri punti dell’atlante geografico). Si laurea a L’Orientale in Lingue e Civiltà Orientali con una tesi in Antropologia. Dopodiché inizia a dedicarsi alla pratica dell’etnografi a visuale – “il mio amore più grande” – fi n quando non decide di entrare nel vivo di quelle conoscenze intangibili che implica la progettazione di una barca, attingendo a tradizioni marinare non solo mediterranee. Così, dopo una lunga permanenza nel Sud-Est asiatico, inizia a costruire barche. Si trasferisce allora in paesaggi completamente diversi, vivendo per sette anni in Scandinavia. Prima in Finlandia si specializza presso l’Istituto Salpaus di Lahti, uno dei più prestigiosi centri di design in Europa. E dopo in Norvegia lavora come restauratore di navi di interesse storico nei musei marittimi delle città di Kristiansad, Hardanger, e Gratangen in Lapponia. Dal restauro di una grande nave passeggeri costruita un secolo fa è nato nel 2016 un documentario, “Faber Navalis” (più di 500mila visualizzazioni su YouTube), presentato in oltre venti festival internazionali e vincitore del Maritime Award al San Francisco International Ocean Film Festival. In latino vuol dire ‘costruttore di barche’, un mestiere di antiche origini che affonda le sue radici nel patrimonio millenario di ciascuna civiltà. E che oggi grazie all’industrializzazione e alla volontà dei protagonisti di alcune storie uniche, come quella di Maurizio, attende di solcare nuove acque. La tua formazione accademica inizia a L’Orientale. Perché hai scelto un percorso di orientalistica? “Mi ero diplomato in Chimica presso un istituto professionale ma sentivo l’esigenza di ampliare le mie conoscenze umanistiche, in particolare l’interesse geografi co e quello antropologico. Ho sempre considerato la lingua uno strumento per entrare in contatto con le popolazioni locali. Sono però un animale ibrido, uno studioso più incline alla ricerca sul campo. Mi sono trasferito, perciò, in Indonesia dove ho lavorato due anni come lettore di lingua italiana presso l’Università statale di Jakarta. In quel periodo, ho condotto indipendentemente alcune ricerche di etnografi a marittima sulle comunità di costruttori di imbarcazioni tradizionali raccogliendo informazioni sulle tipologie di barche e relativi usi, sulle tecniche di costruzione e trasmissione del sapere, sugli effetti generati dall’introduzione di tecnologie moderne sulla cultura locale, l’economia, l’ambiente”. Quali sono stati gli step più significativi del tuo percorso? “Ha segnato una svolta nella mia vita lo Tsunami dell’Oceano Indiano nel 2004, in seguito al quale ho cominciato a estendere i miei studi sui saperi tecnologici nautici a buona parte dell’Asia del Sud-Est e all’India dove ho lavorato come volontario ad alcuni progetti di ricostruzione delle imbarcazioni distrutte dal maremoto”. E poi, finalmente, il ritorno a Napoli. In cosa consiste il progetto di dottorato? “Si colloca nell’ambito del programma del MIUR dei ‘dottorati innovativi a caratterizzazione industriale’, coordinato dalla prof.ssa Antonia Soriente e con i docenti Chiara Zazzaro e Andrea D’Andrea come co-tutori. L’obiettivo è quello di investigare a livello comparativo la tecnologia navale della cantieristica tradizionale in legno in Indonesia e in Campania proponendomi di sviluppare una tecnologia innovativa e al contempo ecologicamente sostenibile. Nello specifico, sono ora nel distretto di Bulukumba di Sulawesi, sito cantieristico le cui imbarcazioni prahu e il rispettivo sistema costruttivo sono stati recentemente iscritti dall’UNESCO nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale”. Maestro d’ascia, costruttore navale, ricercatore e film-maker. Di cosa trattano i tuoi documentari etnografici? “L’ultimo, ‘A Malay boatbuilding village’, è un lavoro in collaborazione con L’Orientale nell’ambito del Public Engagement Programme promosso dalla prof.ssa Zazzaro e risultato di una documentazione tenuta in un cassetto per circa quindici anni e che documenta una cultura tecnologica in pericolo di sparizione nelle provincie di confine della Thailandia meridionale”.
Sabrina Sabatino
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