Maurizio De Giovanni, successo a Lettere per lo “scrittore di storie”

“Con ventisei opere tradotte in numerose lingue e in più paesi, sta rapidamente affermandosi come artista internazionale. Nelle sue opere, che non appartengono ad alcun genere, Maurizio De Giovanni non parla del criminale, bensì del crimine, di come questo può evolversi senza una netta dicotomia tra bene e male; per lo scrittore i due poli coesistono”, ha detto la prof.ssa Daniela Carmosino, docente di ‘Critica Letteraria e Letterature Comparate’, nell’introdurre l’incontro con lo scrittore partenopeo che si è tenuto il 12 novembre al Dipartimento di Lettere e Beni culturali.
Un evento cardine, quello che si è tenuto lo scorso 12 novembre presso il Dipartimento di Lettere e Beni culturali con protagonista lo scrittore e scenografo Maurizio De Giovanni, che dà il via ad una serie di incontri che si terranno nel corso dell’anno accademico e che saranno incentrati sul tema della scrittura. Circa 350 i presenti, compresi gli studenti di vari licei dislocati sul territorio casertano. Dopo i saluti della Prorettrice alla Cultura, prof.ssa Rosanna Cioffi, la prolusione di rito della Direttrice di Dipartimento, prof.ssa Maria Luisa Chirico, e l’introduzione della prof.ssa Carmosino, prende dunque la parola l’autore che accoglie il numeroso pubblico: “non amo presenziare ad incontri organizzati in orario scolastico, perché generalmente questo vuol dire essere costretti ad ascoltarmi; in sostanza, non sopporto di parlare a persone che non vorrebbero sentirmi. Naturalmente in università è qualcosa di diverso e quindi sono molto felice di essere presente”, ha chiosato. “Lo scrittore può essere un narratore di parole o di storie, i primi sono rari e dispongono di un talento puro, scrivono brillantemente pur senza avere alcuna storia da raccontare, i secondi hanno necessariamente bisogno di una storia: io sono uno scrittore di storie”, ha sottolineato l’autore. Proprio in merito al raccontare, “si tratta di guardare a tutto quello che si trova all’esterno come a un’inesauribile fonte di storie tutt’altro che perfette; d’altra parte la perfezione è come un pazzesco autogol. L’imperfezione, che io santifico, è attraente, mentre la perfezione è piatta. Anche il crimine, naturalmente, è attraente, perché è qualcosa di inconsueto, di diverso, di destabilizzante. Quando si parla di cattiveria, si deve sempre riconoscere di star parlando di qualcosa che è valido per noi, ma non di un concetto universale; non esiste la cattiveria, esistono solo diversi gradi di egoismo che lo scrittore può decidere di rappresentare. Ma non commettiamo l’errore di pensare che sia il narratore a fare tutto il lavoro! Il processo creativo inizia con il libro, ma vive nel momento in cui il lettore ne usufruisce e ogni volta è una vita diversa; se una o cento persone guardano un film vedono la stessa cosa, non devono immaginare niente, ma cento persone che leggano un libro immaginano cento storie diverse tra loro”.
Il mestiere dello scrittore, secondo l’autore, è primariamente una passione; i personaggi che si creano non sono mere illusioni, ma sono come figli che, una volta cresciuti, prendono la propria direzione: “il libro che mi è piaciuto meno scrivere”, dice l’autore, “è ‘Il giorno dei morti – l’autunno del commissario Ricciardi’. Centro della storia è la morte di un bambino della Napoli fascista degli anni Trenta, uno scugnizzo senza famiglia e dimora, con solo un cagnolino per amico. Fino a metà del racconto ho creduto che fosse profondamente infelice, poi, in una scena in cui questi corre seguito dal suo amico a quattro zampe, ho capito che non era così. Lui era felice e io l’ho ammazzato! Da metà libro in poi, scriverlo non è stato facile. I personaggi sono vivi, non si può scegliere di cambiarli a proprio piacimento perché altrimenti salta fuori l’artificio e il lettore si accorge che il personaggio, proprio come una persona reale, non avrebbe mai avuto determinati atteggiamenti”.
La scrittura “deve 
restare nel mondo
delle passioni”
Lo scrittore spiega poi quale sia secondo lui il vero crimine, ossia lasciare le passioni latenti, o sfruttarle nel modo sbagliato finché non si sviluppi una sorta di odio: “ci sono persone che si sforzano di lavorare con la scrittura, forzando una passione, perseguendola nel modo sbagliato, ostinandosi a pretendere che diventi un mestiere; la verità è che la scrittura è una passione e deve restare nel mondo delle passioni. Se si forza una passione diventa un incubo, e finiremo con l’odiarla”. E ancora, con l’ironia che caratterizza la sua oratoria, De Giovanni ha raccontato gli esordi, il successo editoriale, il momento in cui fu contattato dal produttore Domenico Procacci e il suo rapporto con Napoli, anche nell’ottica della sua fede calcistica. Molta commozione poi quando, in chiusura, lo scrittore ha letto un suo racconto breve sul tema del terremoto dell’Irpina del 1980. Dopo aver risposto alle molte domande rivoltegli e salutato brevemente i presenti, l’autore si è infine dedicato agli autografi per i suoi ammiratori. 
Un incontro molto interessante, dunque, che vuole essere il capofila di una serie variegata a tema scrittura e che, al contempo, nobilita il Dipartimento che compartecipa alla divulgazione culturale sul territorio. Non solo, come più volte ricordato dalla Direttrice di Dipartimento, la prof.ssa Chirico, tutte le attività sono atte a dimostrare che studiare Lettere può portare a successi soddisfacenti e che, proprio come per Maurizio De Giovanni, una semplice passione ben coltivata può significare dare una svolta inaspettata alla propria vita. 
Nicola Di Nardo
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