Mauro Felicori, Direttore della Reggia di Caserta, spiega agli studenti la professione di Manager culturale

Chissà cosa direbbero i Borbone se sapessero che della loro Reggia oggi si parla in termini di efficacia e di efficienza, di percentuali di crescita e di contrattazioni sindacali. Ma, finiti i tempi in cui Sua Maestà Ferdinando II si adagiava mollemente nella poltrona attizzando il fuoco nel camino, circondato dai suoi tanti figli, oggi è il dott. Mauro Felicori a dirigere la Reggia di Caserta, ospite il 3 marzo dell’Università Parthenope, dove ha parlato della ‘Figura del management culturale’ agli studenti del Dipartimento di Studi Aziendali ed Economici. Incontro organizzato dal prof. Floro Ernesto Caroleo, docente di Microeconomia del Lavoro. Da un anno e mezzo alla guida della Reggia Vanvitelliana, Felicori, laureato in Filosofia e trapiantato da Bologna dove
ha sempre lavorato come dirigente al Comune del capoluogo emiliano, ha portato non pochi mutamenti in quel di Caserta e tra polemiche e malumori ha fatto crescere il sito turistico di ben 37 punti percentuali nel numero di visitatori con il 50% in più di incasso solo nell’ultimo anno. È l’esempio di un’Italia che funziona?Sicuramente incarna perfettamente la figura professionale del manager culturale, esperto che ha trovato la sua interpretazione nella Riforma
Franceschini, come lo stesso Felicori racconta alla platea di docenti e studenti: “I musei sono stati separati dalle sovrintendenze e così finalmente
hanno avuto un direttore. Questo ha aperto alla possibilità di superare la funzione tutela e arrivare alla vera gestione del museo, che è ben altra cosa: il museo è aperto al pubblico, ha orari, dipendenti, dotazioni, come un’azienda”. Felicori, ricordando, in risposta alle tante polemiche degli scorsi mesi, che
per dirigere un museo non bisogna necessariamente essere un archeologo ma un buon manager, richiama all’appello le accademie: “In questa battaglia politica vi siete fatti intimidire, mentre proprio adesso inizia la stagione in cui questo mestiere può trovare spazio. Di esperti in management, marketing e comunicazione museale non ce n’è, mentre la Riforma va in questa direzione, per cui è un mercato aperto, e voi sarete i primi”, aggiunge rivolgendosi agli studenti. Nella sua lectio si sofferma su alcuni concetti come l’efficienza e l’efficacia, mutuati dal mondo imprenditoriale, ma oggi parte integrante di quello che è il servizio presso la Pubblica Amministrazione. “I sistemi pubblici sono mediamente inefficienti e lo è anche il sistema culturale pubblico”, afferma
il direttore, dimenticando forse che ormai troppo spesso all’efficienza vengono sacrificati i diritti dei lavoratori. Ed è proprio verso questi
che punta il dito: “I musei oggi hanno un direttore ed un bilancio autonomo, ma si tratta di una riforma parziale perché non è autonoma la gestione del personale, che resta dipendente del Mibact (Ministero dei Beni Culturali). Noi non assumiamo e non licenziamo: per dirla in breve. Le regole che presiedono il personale sono tali che non permettono una gestione aziendale”. Purtroppo, lamenta Felicori, rivolgendosi ai più giovani, “non sentirete
mai parlare di efficienza nel sistema culturale, come per tutti gli altri sistemi, ma sentirete solo dire che ‘la cultura non si misura’. Se abbiamo ambizioni culturali, con risorse calanti sappiamo che non possiamo altro che fare appiglio sull’efficienza”. Il direttore lamenta, ad esempio, le difficoltà nel reperimento di cinque nuove unità necessarie al buon funzionamento della struttura: “Noi non possiamo assumere, quindi è stato emanato un bando per la mobilità intraministeriale a cui non ha risposto nessuno. Adesso il Ministero prenderà i suoi provvedimenti, mi auguro assegnandoci il personale di cui abbiamo bisogno”. Per superare problemi come questo e rendere effettiva la Riforma dei Beni Culturali, la strada dovrebbe essere quella delle fondazioni: “Con i musei trasformati in Fondazioni, totalmente pubbliche, si potrebbe lavorare meglio. Con 1,5 milioni di euro incassati quest’anno avrei potuto assumere non 5, ma 10 persone. Certo, magari con contratti precari perché non è possibile sapere se il prossimo anno si avranno uguali entrate”. Con le Fondazioni si creerebbe un sistema più dinamico, che magari andrebbe a solleticare anche le imprese: durante l’incontro si è parlato anche di Art Bonus e di quanto sia stato recepito dal sistema imprenditoriale. “Poco purtroppo, e devo constatare con rammarico come il Banco di Napoli non abbia dato un euro al nostro museo. Ma bisogna anche capire il perché. Nel settore privato l’efficienza è il pane quotidiano, e così io mi chiedo perché chi si occupa ogni giorno di efficienza debba investire su un sistema che invece non ha questo termine tra le sue linee guida. Le Fondazioni potrebbero interessare al sistema imprenditoriale”. “Ma questo non arricchirebbe i musei del Nord dove ci sono tante aziende, mentre quelli del Sud sarebbero sempre più poveri?”, gli chiede una docente. “È chiaro che il tessuto imprenditoriale del Nord è più ricco e che si investe di più in cultura, ma una riforma in tal senso potrebbe giovare proprio al Sud perché le imprese che ci sono potrebbero essere tentate ad investire nell’Art Bonus, cosa che ora non fanno”. In sala qualcuno fa notare che l’efficienza va cercata anche attraverso incentivi ai lavoratori, che, come è noto, subiscono un blocco contrattuale da 8 anni: “Purtroppo gli incentivi, per un sentire comune tra sindacati e amministrazione, vengono dati a pioggia e la mobilità verticale non c’è: muori come sei nato”. Certo, con 250 dipendenti, molti ormai prossimi alla pensione, che guadagnano poco e che non hanno davanti prospettive di miglioramento, l’efficienza va affidata alla buona volontà e al forte spirito di servizio. “Siamo riusciti a sfruttare le competenze interne per ottenere i risultati di ‘efficacia’ che testimoniano i numeri – sottolinea Felicori – lavorando molto sul lato della comunicazione e dell’immagine. La Reggia era un oggetto quasi dimenticato, mentre noi abbiamo cercato di darle una nuova immagine”. Si tratta di un museo popolare, “che ha lo stesso pubblico di Gardaland – azzarda – Fatto cioè di famiglie: genitori, nonni, bambini, e per attrarli ci vuole anche un lavoro di marketing territoriale”. Su questo tema punta l’attenzione nelle ultime fasi della sua lezione, ricordando che si vuole puntare sul turismo, non bisogna solo rallegrarsi degli ultimi dati sugli arrivi a Napoli o a Caserta a Natale, ma puntare a realizzare un piano competitivo urbano. “Quando parlo di Napoli – sottolinea – parlo di un’area che arriva fino a Pompei o a Caserta, e quando penso ad un piano competitivo mi riferisco a quello che sono riuscite a fare città europee come Barcellona, che hanno saputo competere come se fossero imprese”. Si fa strada sempre di più la necessità di una collaborazione tra istituzioni: “Andrebbe superata la figura attuale del Prefetto, ancora troppo poco Ufficiale di Governo. Il Prefetto dovrebbe rappresentare il governo sul territorio e riuscire ad indirizzare le istituzioni verso una maggiore collaborazione. Al Sud la leva di sviluppo sta nel sistema pubblico, che deve avere una progettualità e un’efficienza tale da permettergli di diventare una struttura produttiva”. Un piccolo esempio di ‘progettualità’ è dato dalla Borbonia ArteCard che dovrebbe consentire di visitare tutti i siti borbonici attraverso un unico percorso, come per l’Arte Card. Ma per realizzare tutto ciò occorrono anche trasporti efficienti ed efficaci. “Il nostro mercato è il centro- nord cui siamo collegati con un
treno Freccia Argento che raggiunge Roma in 70 minuti: è un buon tempo. Il problema è che ci sono solo tre corse al giorno. Da Napoli, invece, ci sono corse praticamente ogni 10 minuti, ma il treno impiega un’ora per fare 30 km. È una battaglia che non posso vincere da solo”.
Valentina Orellana

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